The Dot Circle 2017 – 1
The DOT Circle 2017. La seconda edizione del premio letterario è dedicato al Doc Fiction, il racconto tra cronaca e finzione. La linea editoriale è curata da The Fashionable Lampoon. L’iniziativa e l’impegno culturale è reso possibile grazie al sostegno di Tiffany & Co.
Quando. Cinque romanzi in gara a partire da giovedì 19 aprile. Il vincitore sarà proclamato il 4 maggio e premiato durante una cena di gala, su invito.
I libri. La ricerca di una letteratura precisa: il Doc Fiction, anche definito come New Journalism – quando la letteratura incontra la realtà.
A seguire i 5 libri in concorso:
Storie dal mondo nuovo, di Daniele Rielli, Adelphi
Trentacinque secondi ancora, di Lorenzo Iervolino, 66thand2nd
Se hai sofferto puoi capire, di Giovanni F. con Francesco Casolo, Chiarelettere
Vivere, di Ugo Bertotti, Fandango
Io sono con te, di Melania G. Mazzucco, Einaudi
Tiffany & Co. sostiene The DOT Circle e l’impegno culturale che il premio persegue, in occasione del lancio della nuova collezione Tiffany City HardWear dedicata alla città, al tessuto urbano cittadino che oggi si vuole intendere come tessuto cerebrale. Le città sono catene di energia, lavoro e bellezza.
La votazione. Aperta a tutti, su questo sito, cliccando il libro scelto sulle schede di questa pagina. Su Instagram, mettendo un like sotto la foto del libro scelto postata su @TheFashionableLampoon il giorno di apertura del concorso – giovedì 20 aprile. Alla votazione pubblica sarà sommata la votazione della giura di The DOT Circle.
I Membri della Giuria.
Maria Lusia Agnese
Asia Argento
Arisa
Gian Paolo Barbieri
Camilla Baresani
Benedetta Barzini
Pier Giorgio Bellocchio
Francesco Bianconi, Baustelle
Giovanni Caccamo
Sandra Ceccarelli
Martina Colombari
Cesare Cunaccia
Denis Curti
Andrea Faustini
Andrea Incontri
La Pina
Luca Lucini
Fabio Mancini
Daniele Manusia
Angelo Miotto
Margherita Missoni
Diamara Parodi Delfino
Diego Passoni
Andrea Pinna
Italo Rota
Chiara Scelsi
Stefano Senardi
Gian Paolo Serino
Pupi Solari
Francesco Sole
Lina Sotis
Filippo Timi
Jacopo Tondelli
Nicolas Vaporidis
Raffaella Banchero
Tiffany & Co. Managing Director Italia e Spagna
Carlo Mazzoni
Editor in Chief The Fashionable Lampoon


Text Claudia Bellante
Storie dal mondo nuovo, Daniele Rielli
Ed. Adelphi
Storie da mondo nuovo è una raccolta di dieci reportage che Daniele Rielli ha pubblicato tra il 2014 e il 2016 su diverse testate italiane come IL, il venerdì di Repubblica, Internazionale, e due scritti inediti.
«Il filo rosso che li lega» – spiega Raelli – «è l’esplorazione di due aspetti complementari del nostro tempo: la coabitazione di isole di innovazione tecnologica spinta e di altre dove invece a farla da padrone sono ancora credenze arcaiche e pre-scientifiche». Emisferi opposti, costretti a coesistere a lungo perché l’ambivalenza tratteggiata da Rielli è connaturata nell’essere umano, che da una parte spinge verso la scoperta e l’evoluzione e dall’altro trova rifugio nelle certezze dogmatiche.
Il mondo nuovo di Rielli, che richiama il romanzo più celebre di Aldous Huxley nel quale lo scrittore americano anticipava temi quali lo sviluppo delle tecnologie della riproduzione, l’eugenetica e il controllo mentale, è abitato, tra gli altri, da promotori di startup, pokeristi online, indiani ricchi che si sposano nel Salento e writer. Tutti personaggi che l’autore avvicina e racconta solo dopo un’accurata fase di ricerca. «Devono essere cose di cui conosco i contorni ma di cui vorrei sapere di più, mi interessando soprattutto piccoli mondi con i loro simbolismi, i loro equilibri di potere, i loro linguaggi specifici».
Per immergersi nelle situazioni «l’importante è ascoltare davvero le persone e studiare i documenti con mente aperta, il modo migliore per fare un lavoro pessimo è arrivare in un luogo per confermare una tesi che ci si è fatti prima ancora di partire».
Per riportare poi quello che ha vissuto Rielli lavora sul ritmo e sulla pulizia della scrittura:«provo ad usare una lingua priva dei luoghi comuni giornalistici, che sia in grado di adeguarsi all’oggetto della narrazione, senza iper-semplificazioni e senza barocchismi, che poi sono due facce dello stesso problema. Detto così sembra facile, non sempre lo è. Comunque lo scopo principale per quanto mi riguarda è raccontare una storia nella maniera più efficace, senza tormentare inutilmente il lettore. Se chi ha in mano il libro si chiede, fra tutte le altre cose, anche Come andrà a finire? io sono molto contento».
L’io narrante di Rielli è sempre presente ma, come sottolinea lui stesso, «è rilevante nella dimensione della storia che stiamo affrontando» ovvero se quello che lui sente e gli accade ha un legame diretto con la realtà che si sta raccontando.
Le storie spesso hanno un inizio ma raramente incontrano una fine. L’autore sceglie di raccontarne una parte, un frammento, un intermezzo, fino a che una conclusione diventa necessaria. Ben sapendo però che il punto messo può essere solo di sospensione perché «da una storia non si va mai via davvero: se succedono cose nuove, e in genere succedono quasi sempre, puoi riaprire il faldone e ricominciare a lavorarci sopra».

Text Claudia Bellante
Trentacinque secondi ancora, Lorenzo Iervolino
ed. 66tha2nd
Tommie Smith e John Carlos non erano amici da tutta la vita, anzi, uno veniva dai campi della California e l’altro dalle strade di Harlem, uno era pacato, studioso, l’altro uno scavezzacollo. Eppure quella foto li ha uniti per sempre, con i loro pugni alzati avvolti da un guanto nero a sfidare l’America ipocrita e razzista dal podio delle Olimpiadi di Città del Messico il 16 ottobre 1968. Quell’immagine li ha trasformati nel simbolo di una lotta che non è ancora finita e che anzi, ciclicamente ritorna, a fare nuove vittime. Lorenzo Iervolino quella foto l’ha staccata dall’album, l’ha ritagliata dai giornali e strappata dalle copertine dei libri. Se l’è messa in tasca ed è partito per andare a raccontare le vite che ci sono dietro quello scatto. Trentacinque secondi ancora – «il tempo necessario per scendere dal podio e raggiungere gli spogliatoi – nasce dal sentirsi ossessionati da una storia prima ancora di capire se si è in grado di raccontarla. Prima che buttasse giù la prima parola sono passati nove mesi, di studio e ricerca. Sono stato ospite dell’archivio della San Jose State University dove Tommie e John si sono conosciuti e poi ho viaggiato andando a ritrovare i luoghi che gli sono appartenuti». Iervolino parte con l’idea di scrivere un romanzo di finzione ma quello che ne viene fuori è un testo ibrido nel quale inventa dialoghi e situazioni rispettando però sempre la veridicità dei fatti.«Mettere la propria voce è un elemento che ti richiama alla realtà ma io mi pongo come uno scrittore non come un giornalista. Non mi sono mai preoccupato dell’appeal che la storia poteva o meno avere sul pubblico anche perché la lontananza nello spazio e nel tempo è relativa: quell’immagine non ha mai smesso di parlare».
«Quella di Tommie e John è la storia di un’integrazione fallita all’interno di uno stesso paese che per decenni ha riservato agli atleti afroamericani una cittadinanza a statuto speciale, senza permettere loro di godere della ricchezza che generavano con le loro vittorie». Applauditi in pista e sul podio ma ghettizzati nelle aule, nei bar e negli alloggi studenteschi. Obbligati alla gratitudine verso un paese arrogante, convinto di avergli fatto un favore a permettergli di arrivare fino a quella medaglia e che non ha perdonato quel gesto di sfida statuario: la testa bassa in memoria dei troppi yes sir e il pugno che squarcia il cielo urlando la sua dignità.
«Raccontare significa anche decidere cosa non raccontare» spiega Iervolino, ed è per questo che il suo incontro con Tommie e John nel libro non c’è: Avrebbe spostato l’attenzione su di me, su quell’unico momento carico di aspettative, mentre a me interessava dare ai due protagonisti una credibilità atemporale», come fossero un testimone da passare a qualcun altro oggi e domani».
Prime di Trentacinque secondi ancora Iervolino è stato autore di Un giorno triste così felice nel quale aveva raccontato la storia di Socrates, calciatore rivoluzionario nel Brasile degli anni ottanta. «Non mi voglio recintare dentro la narrazione sportiva però in questo modo mi sembra di poter parlare a un pubblico più vasto, che travalica i cosiddetti lettori forti o gli addetti ai lavori. Raggiungo i giovani e gli appassionati, per i quali lo sport è una sintesi di umanità e politica. Credo che la solidarietà e il coraggio interessino a tutti».

Text Marta Abbà
Se hai sofferto puoi capire, Giovanni F. e Francesco Casolo
ed. ChiareLettere
E’ un piccolo romanzo di formazione, una storia normale di un ragazzino che cresce. Poteva essere timido, poteva essere obeso, e invece è sieropositivo, ma è, e resta, un romanzo di formazione.
Francesco Casolo, editor e co autore di Se hai sofferto puoi capire ci tiene a precisarlo, ancora prima di raccontare come è nato il libro e come ha conosciuto Giovanni F. il nome che il giovanissimo protagonista si è dato, ispirandosi al magistrato Falcone.
Tutto parte da un blog e dalla voglia del team di psicologi del reparto di Infettivologia pediatrica dell’ospedale Sacco di Milano di«dare possibilità ai ragazzi di raccontare le proprie esistenze e sensazioni». Il libro è «un modo per farli uscire dall’anonimato, senza svelare i loro nomi, ma dando voce alla frustrazione e ai problemi familiari legati all’HIV e anche alla tristezza nel vedere amici e partner che fuggono» spiega Casolo.
Il ‘guerriero’ Giovanni, 12 anni, «mi è stato segnalato come il più adatto per la sua personalità forte, da combattente, e perché aveva appena saputo di essere sieropositivo quindi poteva avere meglio presente come ci si sente e come si gestisce la situazione, e che futuro ci si aspetta». Casolo ha seguito live questo momento di Giovanni e l’ha potuto per questo raccontare ‘da vicino’, senza gli abbellimenti che a volte la memoria regala. Non c’è niente di sfuocato nel racconto di Giovanni F., al contrario ci sono battute, riflessioni strampalate, c’è la voce di un dodicenne senza filtri né censure.
Attorno a lui ci sono altre storie, anche di adulti che continuano a frequentare il Sacco perché, presto orfani, è lì che sono cresciuti. Casolo intreccia le loro vicende con quelle del protagonista mostrando come ci siano molte differenti ragioni per cui si nasce, o ci si ritrova, sieropositivi, provando poi la sensazione comune di ‘sentirsi sbagliati, guasti’.
Frequentando per vari mesi l’Ospedale Sacco «ho avuto l’assurda sensazione che mi vedessero quasi come un salvatore: non ne possono più di doversi nascondere e hanno capito che libri come questo possono essere utili a informare correttamente sui progressi fatti finora nel trattare l’HIV e a far capire che chi si ammala non è destinato necessariamente a un’esistenza di sofferenze e di esclusione.
Lavorando al libro ho trovato molte analogie con l’omosessualità, per come veniva percepita una decina di anni fa. Perché le cose inizino a cambiare, ci vuole qualcuno che ci metta la faccia e che dimostri che si può fare una vita normale. Ci sono invece ancora ragazzi sieropositivi che vengono esclusi dal gruppo di atletica, o lavoratori che perdono il posto».
Passerà, Casolo ne è sicuro, e nelle sue pagine lo si percepisce, mentre racconta di Giovanni F., «un bambino coi baffetti che ha pensieri da grande, anche se non lo è ancora del tutto».

Text Claudia Bellante
Vivere, Ugo Bertotti
Ed. Coconino Press – Fandango
Selma arriva in Italia su un barcone, ha lasciato la Siria, è passata dall’Egitto ed è a un passo da una nuova vita. Ma il suo piede non trova un appoggio sicuro e la fa cadere, picchiando la testa durante quell’interminabile viaggio in mare. A Palermo viene ricoverata in un ospedale dove un medico palestinese l’ascolta, la conforta e rivive con lei le sensazioni di chi non ha più una casa a cui tornare, una terra che possa dire sua. Selma muore e la sua famiglia, in quel momento di estremo dolore, quando sarebbe stato lecito e comprensibile richiudersi in sé stessi e sfogare tutta la propria rabbia, fa un gesto di estrema umanità e: decide di donare gli organi di quella donna, madre e sposa. E così la nuova vita Selma la regala a Don Vito – un prete cattolico, che ironia – a Mimmo – un ex militare, anche qui la ruota della sorte ha colpito – e a Maria, madre, sposa e donna, come lei.
Ugo Bertotti racconta quest’intreccio di storie dopo averle ascoltate da vicino. Lo fa con una graphic novel realizzata in collaborazione con l’ISMETT (Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione) di Palermo per volere del direttore Bruno Gridelli.«All’inizio avevamo pensato a un’animazione che avesse come oggetto la donazione ma poi il progetto è cambiato. E’ stato un lavoro lungo durato due anni. Di questi i primi tre, quattro mesi sono stati solo di incontri e testimonianze raccolte per entrare nei loro vissuti in punta di piedi» racconta Bertotti che con il medico arabo Hasan Hawad ha stretto un’amicizia che ancora dura e che l’ha accompagnato persino a Malta, a trovare il fratello di Selma e a vedere dove la donna è stata sepolta.
«La difficoltà, per chi fa fumetti come me, è riuscire a dare il giusto peso al racconto utilizzando un linguaggio che invece per sua natura è liberatorio, eccessivo, urlato, nel quale è più importante il segno rispetto al contenuto e stride con concetti impegnativi» spiega Bertotti«Quello di Vivere è un disegno intuitivo, veloce, più che un’analisi profonda, se avessi raccontato in maniera analitica rischiava di diventare noioso. Il colore mi sembrava un’ingerenza, il bianco e nero invece mi aiutava a stare stretto sui dettagli a non cedere alla decorazione» e così Bertotti è riuscito a farci vedere l’invisibile.
«Mi sono preso qualche libertà narrativa, nei dialoghi ad esempio, ma quando i familiari di Selma li ha letti mi hanno detto: Io non ti ho raccontato questo, eppure è così. E’ stata una bella sensazione, voleva dire che li avevo capiti».
«Affrontando storie di questo tipo si entra in una nuova dimensione e quindi il fumetto diventa ricerca sperimentale per trovare un compromesso di sintesi, di asciuttezza, di completezza delle brevi cose che si dicono senza essere freddi. Ma quelle poche parole che usiamo devono essere precise, piene. Storie di questo genere sono dei fotogrammi, delle folate emotive, dei respiri che cercano di descrivere dei frammenti di vita e questi frammenti devono racchiudere l’intera esistenza di una persona».
«All’inizio di questo lavoro sono andato un po’ in crisi perché la preoccupazione era quella di fare una cosa in cui prevalesse l’aspetto medicale. Ho visitato l’ospedale per giorni, l’intenzione era di calcare di più la mano su quell’aspetto però poi mi sono allontanato perché il senso era un altro: raccontare storie di vite che vengono accomunate da un gesto civile, intelligente, generoso. Nella vicenda di Selma c’è un valore simbolico molto alto. E’ come se le rispettive identità dei singoli si siano mescolate e abbiano confluito l’una nell’altra». Dando vita, non c’è dubbio, a esseri umani migliori.

Text Claudia Bellante & Marta Abbà
Io sono con te. Storia di Brigitte, Melania Mazzucco
Ed. Einaudi
Ancora non so se riuscirò mai a scrivere la sua storia. Ma sono sicura che, se potrò farlo, sarà solo perché lei sarà stata se stessa con me, e anch’io con lei. Allora io potrò essere anche lei e riuscirò a trovare le parole. E’ questo l’obiettivo di Melania Mazzucco, che lei esplicita sin dalla prime, pagine e del suo ultimo romanzo Io sono con te. Storia di Brigitte: incontrare l’altro e conoscerlo a tal punto da poterne intuire i pensieri, sentire sotto pelle le sue sensazioni e percorrere la sua strada, con i suoi vestiti addosso. Nel caso di Brigitte i vestiti che porta quando arriva alla Stazione Termini, nel gennaio del 2013, non sono nemmeno sufficienti a difenderla dal gelo. Cinque gradi registra Roma quel giorno, la città che sempre immaginiamo assolata, illuminata da un tempo eterno che ci sospende e ci rende immortali. Questo però è un privilegio riservato ad altri, non certo a lei, fuggita dal Congo, torturata per mesi dai militari governativi per aver curato i nemici. Brigitte Zebé, 40 anni, vedova, madre di quattro figli, nel suo paese era un’infermiera e gestiva due cliniche, ora non ha più niente. Solo un paio di jeans blu scuri e una giacca nera. Non sono abbastanza per proteggerla dall’inverno.
«Per capire chi è Brigitte» – afferma la Mazzucco – «bisogna leggere un po’ di pagine perché la storia comincia quando lei è letteralmente una naufragata a Roma. E’ una donna nera, lacera, affamata, che dorme per terra, che non sa perché è lì e dunque è un nessuno».
Melania la incontra e decide di raccontare la sua storia. Lo fa con uno stile asciutto, che non si lascia andare mai a pietismi. Usa parole dirette, che ti permettono di vivere le situazioni, non semplicemente di immaginarle. Se Brigitte mangia dalla pattumiera ecco che anche il lettore ne sente il sapore e lo schifo. Non aggiunge tragedia alla tragedia, perché non ce n’è bisogno, e non insegue i luoghi comuni nemmeno quando ritrae la varietà umana che incontra quella donna, che l’aiuta, la evita, la ignora. Non ci sono né buoni né cattivi, ci siamo noi, con i nostri slanci di comprensione e i nostri momenti no, perché anche se Brigitte è la protagonista ed è a lei che rivolgiamo la nostra attenzione, non è l’unica da avere dei problemi. Io sono con te è un libro denso, pieno di fatti, che riesce in poche pagine a raccontare un’intera vita e ci fa rendere conto che dietro a ogni immigrato, richiedente asilo, profugo (tutte categorie che usiamo generalizzando) c’è una storia che meriterebbe un libro. La Mazzucco racconta Brigitte perché è Brigitte che incontra. Le si avvicina poco a poco e le loro voci si fondono in una narrazione che diventa continua. Senza abbracci, senza una tenerezza ostentata che può suonare fasulla. La Mazzucco rimane fedele all’obiettivo di raccontare, non cerca di guidare il lettore ma lo lascia libero di farsi un’opinione, su Brigitte, sugli stranieri che ogni giorno sbarcano in Italia, sul razzismo che li accompagna. Perché sta a noi, e solo a noi, decidere cosa fare quando il fantasma di un uomo o di una donna ci apparirà davanti, naufragato in una qualunque delle nostre fredde città.

Per ulteriori informazioni:
Alberta Vianello
alberta.vianello@memorianetwork.com
+39.02.8707.5680
On Cover Illlustration by Barbara Dziados @Barbarawurszt – salon.io/barbara-dziadosz
Video Directed by @CriSeresini – Diana Film Sudio, Music Here Comes The Wave by Silence is Sexy
Thanks to Milano Porta Nuova CoimaSGR PNSC Vivi Porta Nuova and ACTLAB, Dipartimento ABC, Politecnico di Milano
Inside Illustration by Anna Tsvell @anna_tsvell – annatsvell.com
Photography Angela Improta @angela_improta – www.angelaimprota.com
Supported by @Tiffany&Co. – Introducing Tiffany City HardWear collection. – www.tiffany.it
Tag:book, carlo mazzoni, lampoon libri