The New American Cinema Torino 1967
Text Giovanni Gastel
Fernanda Pivano disse della scena underground newyorchese che era l’avvenimento più bruciante di quel periodo.
Alla Fondazione Prada di Milano dal primo al trenta di aprile verrà proiettata la rassegna originale di film presentata al festival (Exposition) del 1967, quando a Torino il New American Cinema Group proponeva un genere cinematografico d’avanguardia, autoprodotto. La rassegna a cinquant’anni di distanza è curata da Germano Celant. Il New American Cinema Group originale riuniva i registi pionieri del panorama indy che provenivano dall’adesione al manifesto culturale di Jonas Mekas, lituano, classe 1922. Il movimento si opponeva alla staticità estetica di Hollywood e alle produzioni delle Major con un percorso di creazione e di distribuzione alternativo di pellicole sanguigne, rozze, vere.
Come sostiene Mekas, nell’introduzione alla rassegna del ‘67 il contributo principale del New American Cinema è costituito dal fatto che la sua area di lavoro è formata esclusivamente dall’aspetto poetico dell’autoespressione. Il cinema che fino al 1960 era un’arte a metà – poiché poteva soltanto raccontare storie – ha permesso agli artisti cinematografici una piena espressione di se stessi e una piena libertà.
Questa forma di avanguardia ha inventato un vocabolario di cinema poetico; ne ha sviluppato la sintassi e il linguaggio.
Dopo un’attività di ricerca condotta in collaborazione con i maggiori distributori di cinema sperimentale, la Fondazione ha contribuito alla digitalizzazione di più di 30 film, disponibili finora solo in 16 o 35 millimetri, facilitando una maggiore circolazione delle opere più rare proposte nella rassegna torinese
Raccontare se stessi e non una storia, appunti di viaggio, non sceneggiature.
Atmosfere da live music che attingevano dal jazz ruvido e non colonne sonore melodiose.
Esprimersi con un linguaggio sperimentale e non sperimentato, non celebrato e celebrativo. Questo è il senso del nuovo cinema NACG, che devia fortemente, anzi: prende le distanze dai metodi narrativi tipici di Hollywood. Una maniera di fare cinema che esprime tutta la contrarietà e la forza di contrasto della contro cultura degli anni ’60: Jonas Mekas insieme a mille nomi stellari ma al contempo oscurati perfezionano, confezionandoli rozzamente, film come The Cool World, 1063. La dichiarazione di intenti è chiara e netta, eccola senza traslazioni dal sapore tenue o neutro, qui si gioca sul nero e sul bianco:
«Non vogliamo film mistificatori, ben fatti, persuasivi, ma grezzi e mal fatti, purché vitali. Siamo contro il cinema roseo, siamo per il cinema rosso sangue… Oggi la nostra ribellione contro il vecchio, l’ufficiale, il corrotto è innanzitutto di carattere etico… Siamo interessati all’uomo. Siamo interessati a quel che succede nell’uomo.»
Nel New Cinema la soundtrack interrompe, irrompe sulla scena, rompe l’armonia devastata delle scene, la musica come nella vita accompagna e si intromette nel film come farebbe un falco nel mezzo di un volo di piccioni.
C’è tutta la beat generation, la generazione dei beati e non dei battuti, come amava scherzare Kerouac, ci sono le sperimentazioni filmiche di Andy Warhol, c’è perfino Basquiat e Keith Haring che pescano meraviglie dai porti del linguaggio di strada, c’è il tumulto che arriva alla Fernanda Pivano amante irruenta dei linguaggi. C’è tutta la scena musicale degli anni ’60. I concerti rock e la psichedelia, il living theatre e mille altre contaminazioni provenienti da ogni scena artistica confluiscono non solo nelle manipolazioni dei registi ma in ogni gesto quotidiano, che quasi per magia e automaticamente diviene arte, contro cultura, fermento vivo, rozzo, perfino, ma sempre vivido.
Poesia dell’autonarrazione… cosa di più vicino alla contemporaneità, all’oggi?
Oggi, dove manca la poesia ma si celebra l’auto-narrazione in ogni espressione, dal telefono coi selfie maledetti al video in diretta per raccontare un nulla che deve essere condiviso a qualunque costo, specialmente a costo zero?
Deve forse avere pensato questo, il genio Celant, che ha attraversato le terre sconfinate della Land Art per riproporre quello che Torino aveva già intuito e messo in scena nel 1967…
Anche la scena che oggi è fatta di controcultura mira però sempre al main stream, i soldi fanno gola anche al regista più arcanamente legato alla sperimentazione, all’isolazionismo più veritiero e solido.
Contaminazione pericolosa è il denaro, che affascina tutti.
Creiamo e arricchiamoci. Che male c’è?
Nessuno, io credo, ma se potessi lo chiederei a Jonas Mekas. Poi a Francesco Vezzoli, ma anche Fernanda Pivano e a Basquiat.
Oggi ci sono i Radiohead con il loro pezzo che dura 18 giorni, ci sono le cose buie sottratte alla luce dei lampioni che illuminano solo le strade del successo: io credo che le stelle sempre più vadano cercate nel sottosuolo, non sui marciapiedi di Hollywood Boulevard.
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