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Marco Mengoni a Sanremo 2023, indossan archivio Gianni Versace 1993
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La perfezione di Marco Mengoni: la bellezza può nascere dalla complicazione?

La bellezza non è mai qualche cosa che piace alla gente: allontana e raffredda, mentre la perfezione di Marco Mengoni ha conquistato l’Italia – come mai?

Marco Mengoni fin troppo perfetto – il corpo, i vestiti, la faccia, le parole e le commozioni: da Sanremo al duetto con Elodie

Marco Mengoni è stato perfetto: la canzone perfetta per i critici e per lo spettacolo popolare; la faccia perfetta, il corpo perfetto; i vestiti perfetti, i sorrisi, la fluidità, le parole e le commozioni. Tutto perfetto. La bellezza intesa come espressione di perfezione. Chi ne vuole indagare la critica, può dire che è stato tutto troppo calcolato – ma se nel mondo ne avessimo altri a calcolare così, può essere che vivremmo meglio.  

La carriera era già consolidata prima della vittoria di Sanremo 2023, e forse la corsa tra lui e gli altri cantanti non aveva effettivamente gara – né con Giorgia lontano dalle classifiche da tempo, né con Ultimo che per quanto abbia un seguito ampio, questo seguito rimane dentro uno stereotipo emulativo; né con Elodie che, anche dopo i tormentoni dell’estate precedente, non ha ancora oggi potere di vendita.

La perfezione di Mengoni ha trovato un appoggio, più che una spinta, a Sanremo – che male non fa, prima di ogni una nuova accelerata. Oltre al successo anche economico conteggiato tra gli stadi e al Circo Massimo, l’estate sui palchi televisivi insieme a Elodie ha confermato ancora questo tema della perfezione: la bellezza di Mengoni ed Elodie insieme, ballando, ammiccando, ridendo complici, ha giocato talmente tanto sulla bellezza quasi da renderla fastidiosa.

Mengoni vincitore in ogni classifica, perfezione a Sanremo 2023 e l’eccitazione generale dai Boomers alle Milf e ai fluidi – tranne forse l’eterobasico

Mengoni piace dal primo momento – che fosse il vincitore del Festival o meno, aveva già preso ogni applauso e gloria. I signori Boomers, le Milf appassionate, i fluidi liberati, le ragazzine incontenibili. Forse l’eterobasico, nella sua margarina, se ne dichiarava poco interessato – ma dietro arrivava l’esercito dei twink in esplosione pubica adolescenziale, richiamati dal figlio di Amadeus che attivava la standing ovation all’Ariston. La fluidità umana diventa un’arte, e ancora prima, un linguaggio universale. Ogni passaggio era stato pensato alla perfezione, a Sanremo 2023.

Marco Mengoni e la perfezione nella moda: l’archivio di Gianni Versace

Quelli della moda possono alzare il ragionamento di settore. Versace oggi non è esteticamente rilevante – ma alcuni tra gli abiti che Mengoni ha indossato arrivano dall’archivio di Gianni, e la testa si inchina. Le tute in pelle appartengono all’immaginario di Tom of Finland e provocano deliri al Village, baluardo della cultura gay pre-Aids: stridevano un poco con i modi da bravo ragazzo, con la poesia onirica di Due vite che certo non invita alcuna natica ad agitarsi. Anche qui la perfezione dell’equilibrio – tra sex symbol per le donne, e icona gay per gli uomini, e la normalizzazione di ogni fluidità. Mengoni quando canta, per far vibrare le sue ossa nella voce, prende pose da violino, la vena sulla fronte si gonfia – e dentro quelle armature di pelle, c’era qualche cosa di incoerente.

Marco Mengoni e Lorenzo Posocco – la differenza tra uno stylist e un dresser

Mengoni ragiona sui suoi abiti da palco con Lorenzo Posocco, un professionista che forse tra i primi ha precisato la sua attività nel sistema moda – non più uno stylist, ma un dresser. Una scelta che trova ragioni commerciali e di profitto, considerando come le case di moda oggi siano più interessate agli indossi di gente in qualsiasi modo famosa, piuttosto che alla composizione di un’immagine creativa.

Lo stylist è proprio una tra le figure che più di altre solleva la domanda sulla differenza che possa sussistere quando si parla di industria della moda o quando sia parla di sistema della moda. Non è questo l’articolo dove approfondire tale argomento, ma posso ricordare quanto difficile sia che un dresser di cantanti possa esser considerato uno stylist rilevante – così come altrettanto difficile sia, per uno stylist, lavorare come dresser e non fare apparire il cantante ridicolo (in passato, ho visto evenienze vicine all’iper dramma).

Mengoni: la perfezione, la fluidità e l’emotività forte e una bolla di cristallo al Teatro Ariston

Mengoni dice di avere un’emotività più forte della gente che lo circonda. Che sia supremazia, che sia timidezza – o ancora, questa fluidità intesa nella sua accezione più intellettuale. Probabile anche sia circondato da persone che abbiano costruito intorno a lui una bolla di cristallo, una bolla dentro cui, innalzandola con la scusa di proteggerlo da chissà cosa, gli abbiano ridotto la visuale. Si dice ci sia un rapporto manageriale condotto da un carattere predominante e che si mescola a una tale fiducia umana da governare anche una buona parte della sfera emotiva del cantante.

La scena di Marco Mengoni era davvero perfezione? L’insegnamento di Malaparte

La perfezione non esiste. Se mai la perfezione esistesse, non ci interesserebbe: Malaparte ci insegnava come l’uomo annoia sul trono, ma ci coinvolge quando si rialza dal fango. Guardiamo meglio allora, soffermiamoci su Mengoni in alto sul suo podio – oltre la patina di perfezione che sterilizza, tra il rumore di un clamore di formazione popolare, c’è qualche cosa che quasi riesce a sfuggirci.

Mengoni, la perfezione e la bellezza da una parte e il dismorfismo e la psico analisi dall’altra: la vita privata che in qualche modo, inevitabilmente, si intravede

C’è qualche cosa che Marco Mengoni trattiene. Non posso capire se sia una sua decisione, un’imposizione che si dà, o una frustrazione che subisce. Non sto parlando a livello personale, non potrei e non vorrei – mi sto limitando a guardarlo cercando su internet. Mengoni dice di vivere tra sedute di psico analisi da sette anni, di soffrire di dismorfismo, ovvero di non riuscire a comprendere la sua bellezza fisica oggettiva che per tanti assomiglia alla perfezione. Non lascia trapelare informazioni sulla sua vita privata, liquidando in una fluidità generica. Nei testi dei suoi brani – come in Guerriero, quando si ricorda di cantare di amore e non di onore perché la sua è musica pop e d’amore deve cantare – c’è anche un poco di auto riferimento che attanaglia la sua generazione: gli sbagli sono degli altri, non sono suoi.

Mengoni, la bellezza – la domanda di Fabio Fazio, il riserbo, la complicazione – non era perfezione

Immagino l’analista gli avrà ripetuto come prima di tutto debba amare se stesso. Mengoni chiede a Fabio Fazio se lo trova cresciuto, dieci anni dopo la prima vittoria a Sanremo – e Fazio, purtroppo, risponde con ovvie banalità invece che dare una sua osservazione giornalistica su un talento di cui ha visto evolversi la carriera. Era la sera dopo Sanremo – ma solo adesso, a distanza di qualche mese e superando l’apoteosi di questa estate, Mengoni appare effettivamente più sicuro.

Guardarsi dentro, scavarsi a fondo. Sembra che sia riuscito a farlo – prima, sembrava ci fosse qualche cosa nei meandri del suo buio, qualcosa che sul palco avesse sempre deciso di non portare. A Sanremo, con la base al Lido dove lavoravano i suoi stati generali, un raggio di luce puntava verso il cielo.

C’è qualche cosa che continuerà ad appartenere solo a lui, che Mengoni non vuole condividere, ma che in ogni modo trapela attraverso quello che fa. Non credo che un giorno possa mai decidere di raccontare, o forse sì  (– e un attimo: che sia chiaro, qui non sto affatto parlando di inutili etichette da tirare fuori da alcun armadio).

Mengoni nella sua perfezione e nella sua bellezza, mantiene un riserbo – e iniziamo a comprendere la sua qualità umana oltre la bravura. Perché forse non era perfezione, quella che abbiamo visto a Sanremo, ma complicazione. Nella complicazione – non nella semplicità, a differenza di quello che tanti ripetono – si produce bellezza.

La perfezione, la bellezza e la gloria di Marco Mengoni – la battaglia nel fango

Mengoni credo abbia capito le stesse cose: ma Mengoni trattiene, mette in stop, non uccide. Diversamente da altri artisti, non riesce freddare quello che ha vissuto e che tiene per sé. Forse sta spendendo troppi soldi con l’analista, forse potrebbe solo lasciare andare come cantava Paul McCartney – invece no, Mengoni si ostina nel tentativo di elaborare il buio.

È probabile che Mengoni conosca bene quel buio che non potrà accettare mai – eppure, ci sta ancora provando, ad accettarlo, in uno sforzo non umano. Forse, ad accettare c’è riuscito – non ad accettare il buio, ma ad accettare la battaglia nel buio e nel fango, la battaglia che non finirà mai. In questa battaglia, comprendiamo la sua bellezza che non si confonde nell’abbronzatura di un’estate.

Carlo Mazzoni

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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