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Interni del rinnovato Teatro Lirico di Milano. Credits Matteo Mammoli
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La moda a Milano, tra decadenza e reset: il futuro è craftcore

La creatività esiste solo se reagisce sui limiti di una produzione attuale: niente plastica, niente colla, niente colori – non ci si può più nascondere dietro il pretesto della coolness, una brutta parola inglese

Esiste una differenza fra moda e abbigliamento

L’industria dell’abbigliamento è la produzione commerciale di capi: per consuetudine, l’industria dell’abbigliamento prende alcune idee dall’industria della moda, selezionandole tra le più commercializzabili e semplificandole, a volte semplicemente copiandole, per metterle in circolazione in un mercato espanso tra grandi distribuzioni e scontistiche. L’abbigliamento è l’industria che oggi si trova imputata dell’accusa più infame: il consumismo. L’industria dell’abbigliamento è a volte anche indicata con il termine pronto-moda. Il meccanismo è stato raccontato in maniera semplice ma efficace nel film Il Diavolo veste Prada parlando di un golfino ceruleo – e ancora, tempi addietro, il concetto era sceneggiato per Sally Spectra.

L’industria della moda

L’industria della moda esiste quando la ricerca creativa si applica alle abilità manifatturiere, producendo idee che possano essere considerate novità. Anche l’industria della moda è imputata di consumismo – laddove si prevede il rilascio di queste idee per almeno due volte all’anno – ma a una più corretta osservazione, tale accusa sussiste, insiste e persiste quando l’industria della moda si mescola all’industria dell’abbigliamento. Questo è quanto succede ormai da troppo tempo, qui a Milano.

Moda, abbigliamento, consumismo

La moda oggi può esistere solo se essa porta con sé un messaggio, un racconto, un impegno. La moda è la narrazione del tempo in cui viviamo. Che senso può avere produrre vestiti sintetici, colorati, elastici – ovvero, in plastica – in un momento in cui stiamo uscendo da una pandemia e stiamo vivendo una guerra? quando l’approvvigionamento delle materie prime e dell’energia è un tema ci sta dando tremore alle ginocchia? La moda dovrebbe condurre l’industria manifatturiera italiana – tessile, metallica, conciaria, quante altre – nel trovare idee nuove utilizzando materie prime locali e naturali, senza scegliere il poliestere per rendere tutto più stabile e facile.

La moda dovrebbe farci comprendere come una creatività sotto sforzo può reagire se costretta a inventarsi senza elastici in ogni maglia. La moda potrebbe farci comprendere come tutto può essere nuovo, moderno – contemporaneo e attuale – quando le sfumature delle tonalità sono meno fosforescenti ma più materiche, quando i tessuti non sono più lisci e morbidi come acqua o fango, ma ruvidi come la lana delle pecore italiane. La moda senza creatività è soltanto abbigliamento. L’abbigliamento oggi è consumismo, quando il consumismo è forse la più bassa espressione del vivere comune.

Il valore culturale e civile della moda

La moda è il ritmo del tempo che viviamo: vive quando sa anticipare i tempi, sparisce quando si muove in ritardo. Sembra un assioma invece appare come una contraddizione, perché i manager della moda devono far quadrare i conti aziendali, ragionare sulle vendite istantanee e pensare a breve termine. I manager del sistema moda oggi lavorano su numeri e risultati da presentare per una valutazione triennale: se sono molto buoni, cambieranno azienda salendo di ruolo. Quando tutto questo è coerente, i risultati economici sono buoni – ma invece succede che alcuni di questi manager decidono di presentare un’azienda di abbigliamento definendola una casa di moda, e così succede che sia i numeri sia il percepito crollano. Non si può restare indifferenti: oltre a ricordare come le aziende del settore tessile sono una voce rilevante per il PIL nazionale italiano, a patire più di tutto è il sistema – un sistema che si chiama Italia.

La definizione di moda e il concetto di trend

C’è un’altra parola che forse sarebbe giusto usare: questa parola è trend. ‘Il trend del momento’ è una frase che sembra uscita da un settimanale femminile dedicato a trucchi e rossetti, mentre invece possiede consistenza. Il trend è la sequenza emulativa – ovvero, banalmente: se funziona, lo faccio anche io – che porta sia le aziende di abbigliamento sia le case di moda a presentare repliche, copie, riedizioni e riproposizioni. A volte succede quello che abbiamo visto da Gucci nella sfilata per la primavera che sta arrivando, con i gemelli: la riproposizione dell’archivio, in questo caso, degli anni firmati da Tom Ford. Le bande degli slip escono dai pantaloni a vita bassa, i tuxedo, i blazer sui jeans – si può dire sia un rinforzo dell’identità di brand, necessaria dopo gli ultimi anni di fraintendimento.

La moda che genera il trend del momento

La sfilata di Gucci, nel rivisitare le idee di Tom Ford, segue il trend del momento, ovvero insegue le poche idee consistenti che ci sono oggi sulla scena. Il trend fu generato da Hedi Slimane per Saint Laurent ormai quasi dieci anni fa: a quei tempi, quasi nessuno comprese. Rimase per un poco fermo nel suo campo: la silhouette anni Settanta, il nero, l’androginia, la sartorialità applicata al corpo. Poi si evolse in un punto in serietà in reazione all’imperversare dello street style, nei suoi colori e volumi che più confuso era più strano piaceva. Slimane rimaneva fermo nel suon rigore. Anthony Vaccarello entrò e lo rielaborò – meno sofisticato, più comprensibile. Lo street style si declassò a fenomeno commerciale, compromesso da una diffusione eccessiva su Instagram, ridicolizzato in un autocompiacimento per ragazzi che smaniavano per illudersi famosi. Apparve Bottega Veneta di Daniel Lee. Oggi, quello che Saint Laurent propone, lo ritrovi una stagione dopo, ovunque.

Le tute elastiche di Glenn Martens per Diesel e l’inizio del craftcore

Nel 2021 apparvero le tute fosforescenti, elasticizzate, su doppio layer – adesso le stiamo per rivedere nei negozi, da Prada. Osservandole, queste tuniche senza volume, senza forma, fatte plastica per colori chimici, continuo a non comprenderne il senso. Nonostante ciò, Glenn Martens trovava il centro del suo lavoro per Diesel: una speculazione quasi ossessiva sul denim e sul colore blu. Il denim quasi sempre presenta una componente di elastan mescolata al cotone; l’Indigofera Tinctoria che produce il blu non è una pianta coltivabile in Italia (pochi campi sono sperimentali). il punto buono è che Martens ha messo al centro la manifattura, ha sforzato ogni inventiva spingendo su questo materiale, il denim. Può essere la sintesi del concetto di craftcore, ovvero: quando l’abilità manifatturiera è al centro dello sforzo creativo.

Cosa si intende per craftcore

Maria Grazia Chiuri racconta ancora la sfilata a Lecce, quando aveva assoldato tutte le lavoratrici del tombolo locale, e quando su questa tradizione aveva sviluppato una intera sfilata per Dior. C’era da chiedersi cosa legasse Dior – nome iconico per la cultura estetica francese e per l’atteggiamento parigino – con il merletto pugliese. La risposta era semplice quanto evidente: Maria Grazia Chiuri. Con quella sfilata, la signora ribadì che Dior era un brand, ma che chi disegna Dior è una donna della tradizione italiana. Craftcore – portare al centro il craft, l’abilità manuale e manifatturiera. Partire da un rigore produttivo a cui applicare la creatività – questo è il passo attuale dell’industria della moda. Lo ritroviamo a New York da Bode, che si basa su una filiera corta. Il concetto di Bode è di produrre tutto in città, lavorando con i laboratori tra le avenues; qui i ricami sono prodotti con fili sintetici, i colori non sono naturali, ma l’asset della filiera corta è enfatizzato, compone il messaggio, ed è un primo segno concreto. A Milano osserviamo Vitelli, la cui maglieria utilizza solo scampi di magazzino, tessuti riciclati, e scartati – mentre parte della tessitura è stata lavorata su telai a mano. Anche qui, rimane plastica e sintetici, ma almeno un asset è confermato. La responsabilità della moda dovrà essere quella di sviluppare tecniche artigianali sperimentali e far si che quello che oggi appare difficile, quasi impossibile, da produrre perché inconsueto nel contesto del mercato presupposto, diventi desiderabile. Nel craftcore, la manifattura e l’artigianato sono stimolati, elettrizzati, eccitati e sconvolti, dalla creatività. Questa è moda, oggi.

Carlo Mazzoni

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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