La performance di Vanessa Beecroft a Palermo VB94
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La Palermo di Vanessa Beecroft: VB94 a Palazzo Abatellis

Palazzo Abatellis ha ospitato VB94, la performance di Vanessa Beecroft: ieraticità e movimento tra modelle vestite di bianco e statue realizzate nello studio di Los Angeles

VB94 la performance di Vanessa Beecroft

Il lato bianco, radioso e catartico dell’antica Panormos, è quello che Vanessa Beecroft ha fatto emergere con la sua Performance VB94 dell’otto dicembre scorso a Palazzo Abatellis, la Galleria Regionale Siciliana in via Alloro, l’arteria principale del quartiere della Kalsa. 

Centinaia di persone hanno atteso pazientemente per strada di poter entrare a piccoli gruppi nel museo, mole serrata in pietra d’Aspra che si staglia come una fortezza e per secoli è stata un convento femminile. Un edificio gotico-catalano costruito come simbolo di status per Francesco Abatellis, maestro portolano del Regno, Gran Siniscalco e Pretore di Palermo al servizio di Ferdinando II d’Aragona nel 1495 da Matteo Carnilivari, allora impegnato nel cantiere del vicino Palazzo Ajutamicristo. Francesco Abatellis o Patella, si sposò due volte, ma restò senza eredi lasciando in eredità la propria dimora a un ordine religioso. Molto danneggiato dai bombardamenti del 1943, dopo alcuni restauri il palazzo fu reinventato con un raffinato intervento espositivo e di recupero da Carlo Scarpa nel 1953-54. Walter Gropius lo definì un capolavoro : ‘ La migliore ambientazione di museo che mi sia mai capitato di incontrare in tutta la vita’.

L’ossessione di Vanessa Beecroft per il busto in marmo di Eleonora d’Aragona

VB94 partiva da una meditazione intorno al busto marmoreo di Eleonora d’Aragona scolpito da Francesco Laurana nel 1468 e dalle opere plastiche dei Gagini – di Antonello Gagini in particolare –, una famiglia di maestri di scultura, statuaria e architettura di origine ticinese, che tra il XV e il XVI secolo hanno diffuso in Sicilia il linguaggio rinascimentale. Il bianco è quello del marmo, reso quasi trasparente dalla luce autoctona, emanazione vivida e nebulosa perfino all’interno di queste mura possenti, campita da Scarpa su superfici a stucco verde erba o blu gauloise. Il busto che ritrae Eleonora d’Aragona, che combina pura geometria a una mistica sibillina, per Beecroft negli ultimi anni è diventato una specie di ossessione. 

Dallo studio di Beecroft a Los Angeles le opere che sono state ispirate dalla visita a Palazzo Abatellis a Palermo

Grandi opere in argilla plasmate dall’artista nel suo studio di Los Angeles dopo aver visitato Palazzo Abatellis nel 1987 e quindi riprodotte in ceramica, bronzo e cera, come totem appoggiati sul pavimento o alte su plinti lignei appena sbozzati, popolavano la sala a pianterreno dove ha avuto luogo la performance. Sagome ovate e stereometriche, umanistiche e marziane. Occhi e visi ogivali che intercalavano le colonne in ferro che reggono capitelli, rilievi e sculture. Altre teste, accarezzate da lievi dorature, evocavano la poetica raffinata dei Gagini, segnatamente nel Ritratto di Ragazzo scolpito da Antonello. Dorature come rivoli aurei sulle superfici candide, sulla biacca Kabuki. Pathos trattenuto e interiorizzato. 

Astrazione che cerca una continuità con l’eredità classica attraverso Bisanzio e i mosaici d’epoca normanna. Nega l’horror vacui della festa barocca, opponendosi alla rutilante decorazione ipercromatica sei-settecentesca di tante chiese e palazzi. Sulle labbra socchiuse delle sculture di Vanessa Beecroft si rivela il sorriso ineffabile dell’Annunciata di Antonello da Messina, icona pittorica mariana che Carlo Scarpa volle incastonare al primo piano del museo dentro una struttura-reliquiario a cuspidi lignee. La gemma assoluta della Galleria, un enigma che racchiude il temperamento di una terra intera. Mandala di stupefazione che sfida ogni cronologia e toglie il respiro. Occhi indecifrabili di orgoglio, smarrimento e timore. Meraviglia e sgomento in un gesto sospeso della mano. L’attesa di un messia portatore di una redenzione probabilmente impossibile, latore un angelo antistante, che non possiamo conoscere. O forse l’angelo siamo noi, che ci specchiamo profani dentro il mistero di questa piccola tavola ipnotica.

Il fulcro spaziale del concept espositivo: Trionfo della Morte proveniente da Palazzo Sclafani

La Galleria, chiusa al pubblico durante la realizzazione della performance, una catarsi la proponeva andando verso l’alto, lasciandosi dietro l’affresco tardo-gotico del Trionfo della Morte proveniente da Palazzo Sclafani, di controversa attribuzione e noto per essere la matrice della Guernica di Picasso. Mehr Licht : un itinerario liberatorio che sale fino alla terrazza merlata distesa in cima alla torre, immersa nel sole e nel vento, profumata dal riverbero salino del mare poco lontano.

Appena di là dal cortile, uno scorcio impudente di stanze sventrate che si affacciano da murature crivellate in rovina. Festoni di arbusti e verzure che fanno vedere le occupazioni quotidiane di coloro che ne hanno preso possesso. Qualcosa che fa strano ormai, da quando via Alloro è tutto un fervore di restauri e ricostruzioni – non sempre filologiche e riuscire peraltro – ed ha perso quel malinconico charme di memento mori ed abbandono che le apparteneva fin dai bombardamenti alleati del 1943. Un avvenimento rievocato più volte, con un dolore filato, da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo quale apocalisse della vecchia Palermo e della propria casa avita. Da quelle macerie si sarebbe materializzato lo scempio edilizio protratto lungo decenni e il sacco di Palermo che ne ha stravolto e avvilito la facies secolare.

Bianco di luce ieratica: Beecroft, per la seconda volta nel capoluogo siciliano dopo VB62 del 2008 a Santa Maria dello Spasimo

Questa la novantaquattresima performance, realizzata in collaborazione dagli Amici dei Musei Siciliani con la Galleria Lia Rumma di Napoli e Milano e prodotta da Vito Planeta Jr., seguita la ricerca socio-politica sul tema del femminile e del femminismo che connota il suo percorso artistico fino dal 1993.  Si è addentrata in una dimensione intima ed eterea in questo luogo che per quattrocento anni ha racchiuso un monastero di suore. Assistere alla liturgia di VB94 di Beecroft, dava la misura di una complessità sospesa e sacrale. Donne di ogni età che portavano abiti e tuniche candide derivate da vecchie lenzuola di lino o in seta ricamata- costumi dell’atelier palermitano Casa Preti- e calzate d’oro. Impassibili, in piedi, sedute. Sguardi lontani e assorti. Una ragazza tedesca che imperturbabile allattava il suo bambino vorace appoggiato in grembo, come una delle Madonne in trono visibili nella Galleria. Tra le ventuno partecipanti chiamate a creare un gruppo eterogeneo, alcune migranti nordafricane ed esponenti dell’aristocrazia locale, quali Raimonda Lanza di Trabia, il cui padre don Raimondo ispirò il malinconico “uomo in frac” di Modugno, con la figlia Ottavia Casagrande. Si riannodavano lacci onirici e letterari con la città al centro del Mediterraneo, evocando sfumature religiose e frammenti di metempsicosi dall’arazzo d’una narrazione smisurata. 

Un  luogo un tempo monastero femminile sotto il nome di Santa Maria della Pietà

Davanti a tutte stava la Maddalena, l’unica distesa, coperta di lunghi capelli crespi e di una ruvida pelle di capretto da eremita, secondo l’iconografia tramandata dai pittori bizantini e gotici, fino alle sculture rinascimentali di Donatello e di Desiderio da Settignano, per arrivare al tardo Settecento di Antonio Canova. Figura aspra, scura, androgina e penitenziale in contrapposizione al chiarore niveo e idealmente lontano dell’ecclesia femminile retrostante. Vanessa Beecroft conduceva il ritmo e dipanava il senso con i suoi movimenti. Una presenza forte ma ben poco invasiva, fantasmatica in tuta bianca, che componeva la propria texture danzando a cerchi concentrici e traiettorie lievi, in mano la macchina fotografica. I clic sincopati degli scatti, isolati o a raffica. Tecnici di ripresa silenziosi la seguivano intenti a registrare immagini e dettagli o a montare e smontare rapidamente lampade e carrelli. Il tempo veniva scandito dal metronomo della musica composta da Gustave Rudman Rambali, compositore, arrangiatore e produttore franco-svedese e dalle voci surreali di un coro. 

La festa dell’Immacolata Concezione, che l’otto dicembre a Palermo si tiene tradizionalmente nella Basilica di San Francesco d’Assisi, segna un capitolo in chiaroscuro di questa dicotomia black e white

Ne sovrappone la portata antitetica. Fu istituita in occasione della peste del 1624. Il maestoso simulacro neoclassico della Vergine coronata, – qualche quintale d’argento massiccio e oro-, è issato sul fercolo recato a spalle in processione dalla confraternita ‘del Porto e del Riporto’  fino a Piazza San Domenico. Il portale spalanca la navata che pare la bocca scura della chiesa gotica. Con la ‘scinnuta’, il corteo scivola cauto a piccoli passi lungo un percorso percorribile d’assi che copre il dislivello con la piazza. Un mazziere grida ordini rauchi e precisi, esortazioni, invocazioni e preghiere incomprensibili, mentre esplode la folla e cadono a pioggia fiori e coriandoli dall’antistante Palazzo Cattolica. 

Luminarie, incongrui fuochi artificiali turbano il cielo pomeridiano, mentre un corpo bandistico attacca melodie vagamente orientali e souvenir belliniani e verdiani. Confraternite, stendardi purpurei e croci astili, volute d’incenso, benedizioni d’acqua lustrale. Fedeli che innalzano bambini, prelati in mozzetta viola, pizzo e grossi occhiali neri. Abbracci a catena, muti messaggi arcani e ammicchi sornioni. 

Giacomo Serpotta, maestro stuccatore

Dentro la basilica, lungo la navata centrale denudata, le Virtù Francescane di Giacomo Serpotta dal 1723 danzano una sinuosa pantomima di corte che è grazia rococò, non più enfasi barocca. Teatrali quanto basta, bisbigliano tra loro, magari intonando un’aria di Hasse, di Rossi o di Händel. Non concedono agli astanti che sguardi in tralice, paghe di se stesse e flessuose come giunchi egizi o evanescenti bajadere cattoliche da opera settecentesca. Roberto Longhi ne era totalmente sedotto. Sono bianche, leggere e abbaglianti di stucco lucido cosparso di polvere di marmo. Inebriate da un ponentino che già odora di Illuminismo e menuet. Eccolo di nuovo, sui volti delle Virtù, il sorriso interrogativo ed ermetico delle figure muliebri dei Gagini e di Francesco Laurana, scultori presenti con diverse opere anche a San Francesco, che si manifesta a filo di secoli. 

Il bianco prescelto da Beecroft va ben oltre il concetto d’espressione artistica, protendendosi a leggere lo spirito profondo, l’anelito di purificazione e amore di una città intera

Lì accanto, in un vicolo angusto, si cela l’Oratorio di San Lorenzo, incastonato da un apparato continuo di stucchi candidi lumeggiati di foglia d’oro. Una sarabanda sontuosa d’allegorie, otto teatrini e putti giocosi concepiti dal grande Giacomo Serpotta tra il 1700 e il 1705. Serpotta a San Lorenzo si conferma come l’emanazione dei Gagini e dell’umanista Laurana nel XVII e XVIII secolo, un continuatore del loro candido magistero. Panche d’ ebano ornate da intarsi in madreperla e avorio recintano il perimetro, il pavimento è un tappeto di marmi policromi con al centro la graticola del martirio.  «… Più grandi ed evidenti erano statue di donne che venivano innanzi sopra mensolette, dame vaghissime, nobili signore in positure di grazia e imperiose. Ero abbagliato, anche per un raggio di sole che, da una finestra, colpendo la gran ninfa di cristallo, venia ad investirmi sulla faccia». Donne, donne vittoriose, intrise di grazia altera, fiere e vibranti di potere. Bianco latte e riflessi aurei sferzati da un raggio di sole. Così racconta il Cavalier Fabrizio Clerici, nobile e pittore in fuga da Milano e da un amore perduto, in Retablo di Vincenzo Consolo, condensando la malia dinamica concepita dal Serpotta a San Lorenzo.

Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 venne trafugata dall’unico altare la tela raffigurante la Natività con i Santi Francesco d’Assisi e Lorenzo di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio

Non esisteva un’allarme, le serrature delle porte erano labili rudimentali e solo due anziane, le sorelle Gelfo, che abitavano a due passi, stavano a guardia di quel tesoro. La Natività del Caravaggio, dipinto che data all’anno 1600, si conta tra i dieci capolavori rubati più ricercati al mondo. Oggetto dai lontani ’60 di fantasiose congetture, di mille illazioni, supposizioni e misteri, fonte d’ispirazione per Leonardo Sciascia, Roberto Andò e Ruggero Cappuccio, tra gli altri, fu sostituito nel 2015 da una replica perfetta, frutto di sistemi di realizzazione e tecnologie estremamente sofisticati. La Pratica 799 redatta dal Comando di Tutela del Patrimonio Culturale raccoglie un’infinità di dichiarazioni e testimonianze inerenti la sottrazione dell’opera, oggi perlopiù ritenute inverosimili o menzognere. Un romanzo nel romanzo che coinvolge una folla di peones e il Gotha di Cosa Nostra, dal clan Brancaccio a Riina, da Gerlando Alberti a Tano Badalamenti, il ‘mozzarella’ Francesco Marino Mannoia e pentiti quali Salvatore Cangemi e, da ultimo, Gaetano Grado nel 2017. 

Scrive Ruggero Cappuccio nel suo libro Capolavoro d’Amore : «Il furto di questo quadro non è solo la sottrazione di una tela»

E’ un poema sulla bellezza perduta, un racconto su quello che non siamo in grado di proteggere’. A San Lorenzo nella notte di Natale, il 24 dicembre 2022, Vanessa Beecroft ha presentato un’opera accompagnata da un audio composto appositamente dal figlio Dean Durkin, che rimarrà esposta nell’anti-oratorio fino al 17 ottobre 2023, anniversario del furto. «Con la mia Natività – dice l’artista – rispettando l’iconografia del Caravaggio, ho voluto esaltare la luce del Divino, mettendo in ombra l’umano. La città mi ha mostrato un’accoglienza calorosa e una profonda comprensione del mio lavoro». La lacerante assenza della Natività caravaggesca genera quindi un nuovo gesto creativo, un qualcosa che trae radici dal passato ma si proietta nella contingenza del presente. Arte come strumento salvifico, illuminazione di palingenesi anche nei momenti più bui.

Sostenitore della performance a Palazzo Abatellis è il Presidente dell’Associazione Amici dei Musei siciliani, Bernardo Tortorici di Raffadali

L’associazione no-profit che presiede, in collaborazione con la Curia gestisce nella Regione e in particolare nella provincia di Palermo alcuni monumenti, tra cui gli Oratori di San Lorenzo e San Mercurio, la Chiesa di Santa Maria alla Catena e quella di Santa Maria del Piliere, garantendone la tutela e manutenzione, la valorizzazione e possibilità di visita. Tortorici nel 2010 ha varato la rassegna Next, giunta alla sua XIII edizione con l’opera di Vanessa Beecroft, nell’intento di esorcizzare attraverso la creazione artistica una ferita ancora aperta che attende un possibile risanamento. Un progetto che ha visto avvicendarsi diversi artisti, tra cui Emilio Isgrò, che ha immaginato la Natività come una texture di spettri e lacune, una materia in dissoluzione o, viceversa, in processo aggregativo. Fantasmi pittorici che forse proiettano presagi di rinascita e rigenerazione. «Siamo giunti al tredicesimo anno di quest’iniziativa un po’ speciale – afferma Bernardo Tortorici, che vive in un’antica casa familiare vicina a Piazza Bologni affacciata su un fragrante giardino d’aranci-, perché riaffermare la presenza della Natività all’interno dell’Oratorio tramite l’intervento dell’arte contemporanea e la creazione di una nuova opera, assume il valore di un arcaico rituale di auspicio, con l’augurio che possa essere un’azione propiziatoria al ritrovamento del capolavoro scomparso. Ringrazio Vanessa Beecrioft che ha raccolto una sfida tanto impegnativa dovendosi confrontare con l’immensa figura di Caravaggio e con la sua assenza». Palermo duplice, ambigua, affascinante. Bianco e Nero, immanenza e assenza stridente, pacificazione e inquietudine. Una sommatoria per opposti. 

A casa di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ospiti di Nicoletta Lanza Tomasi

La notte dell’otto dicembre finisce ballando nel guscio d’una suggestiva rovina piranesiana, il cortile barocco irto di colonne di una dimora patrizia dismessa su via Maqueda. Vi si accedeva bussando a un enorme portale e attraverso una cortina di candide lenzuola ricamate appese a schermo, una dopo l’altra in una sorta di labirinto fluttuante. Bianco, ancora bianco nella tenebra notturna e mélo di questa città indolente ed isterica, sublime, tetragona e cortese, avvolgente e avvelenata. Ma in via di guarigione, a giudicare dall’atmosfera di riscatto e recupero ad ogni livello che si respira nel centro storico e dai molti stranieri, giovani perlopiù, che l’hanno scelta come piattaforma di vita e lavoro.  Un party segreto che seguiva l’impeccabile dinner dato chez soi dalla Duchessa di Palma, Nicoletta Lanza Tomasi, deposito di humour e cultura, moglie di Gioacchino, figlio adottivo dello scrittore. I più incredibili parquet optical ottocenteschi, lucidi fino alla mania alla luce delle candele. 

Un valzer di ventagli e busti, una panoplia di ritratti, ceramiche, avori, cornici di tartaruga e cere: nella dimora di don Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa e Duca di Palma tutto cambia perché niente debba cambiare

Un valzer di ventagli e busti, una panoplia di ritratti, ceramiche, avori, cornici di tartaruga e cere. La ‘Beata Corbera’, la santa familiare in estasi allucinata e i modelli del Carro del ‘festino’ di Santa Rosalia lungo lo scalone di marmo chiaro. Timballi, sartù e trionfi di gola conventuali. Il vino robusto dei Planeta scorre nei calici, lampadari Empire a corbeille e fragili fiori in vetro veneziani. Tutto cambia perché niente debba cambiare in questa circolarità insulare e proustiana. Intorno, migliaia di libri a ranghi sovrapposti, straripanti da scaffali rigorosi e quasi scolastici, appartenuti proprio a lui, don Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa e Duca di Palma, l’autore de Il Gattopardo, che qui si installò fino alla morte prematura con la moglie lettone, la psicanalista Alexandra Wolff-Stomersee, dopo la distruzione della dimora di famiglia durante il secondo conflitto mondiale. Don Giuseppe, l’alchimista erudito maestro di una generazione intellettuale che ha distillato un’indelebile memoria collettiva per Palermo. Un sortilegio letterario che è bellezza, stasi e maledizione, delirio e realtà, una miscela di  amarezza, di speranza e vaticinio.

Dedicato a Vito Planeta.

Cesare Cunaccia

Vanessa Beecroft durante l'allestimento a Palazzo Abatellis, Palermo
Vanessa Beecroft durante l’allestimento a Palazzo Abatellis, Palermo
La Natività del Caravaggio, rubata a Palermo e mai più ritrovata – Oratorio di San Lorenzo
La Natività del Caravaggio, rubata a Palermo e mai più ritrovata – Oratorio di San Lorenzo

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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