Interview with the last living Guevara

Che Guevara – ph. Don Carl Steffen
Text Valentina Barile
@valentina_barile
Juan Martín Guevara è stato in Italia con Il Che, mio fratello, il libro scritto assieme ad Armelle Vincent, giornalista francese, edito da Giunti editore a settembre 2017.
Lo abbiamo incontrato a Campobasso, all’Auditorium Palazzo Gil, in Cronache d’inverno di Molise Web.
Possiamo darci del tu, vero?
«Chiaro! Il Lei è troppo lontano».
Sei l’ultimo della famiglia Guevara de la Serna, e leggevo che c’è una differenza d’età di quindici anni con tuo fratello Ernesto. Quanto hai potuto condividere con lui?
«Ti racconto una cosa: leggeva in bagno – leggeva molto in francese – e se lo disturbavi, declamava a voce alta Flaubert, Dumas e Baudelaire. Nella mia famiglia eravamo matti da legare! Nessuno si calava a terra per prendere delle cose perché ti arrivava un calcio in culo. Una volta, mio fratello Roberto, più piccolo di Ernesto di quattro anni, si infilò una retina di ferro nella parte posteriore del pantalone. Quando si accoccolò mio cugino gli tirò un calcio e per poco non si ruppe il piede».
Cosa provi quando vedi in giro maglie, portachiavi, e altri gadget con il volto del Che?
«È una forma di capitalismo. Il pensiero di mio fratello non ha niente a che vedere con questa commercializzazione. La Higuera, il luogo in cui è morto, non è più un villaggio di quattro case, ma una boutique a cielo aperto. È ripugnante. Hanno creato finanche La strada del Che dove la gente va in pellegrinaggio. Tutto questo Ernesto non lo avrebbe accettato».
Raccontami della tua fondazione, a Buenos Aires. Di cosa si tratta?
«Si chiama Che vive, ma è un progetto ancora in pancia. Ho quattromilatrecento pagine di Ernesto, di cui tremila sono scritti politici e milletrecento di diario. Voglio diffondere il suo pensiero, non mi interessa farne un fatto mediatico».
Nell’immaginario collettivo Fidel Castro tradisce Ernesto Che Guevara, fino a trargli una trappola…
«… quando era vivo il Che, la colpa era del Che. Morto il Che, la colpa era di Fidel, e così via. Tra loro c’era un’ammirazione fuori misura. Se Ernesto non avesse mai incontrato Fidel in Messico, non sarebbe mai diventato il Che. Gli ha anche dedicato una poesia, e Fidel gli ha scritto tre lettere, che ha letto ai cubani».
Juan Martín Guevara e Armelle Vincent
Giunti Editore
Edizione 2017, 288 p., euro 18
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