Un bagno padronale rosa rivestito nello stesso marmo del Duomo di Milano: la Pinacoteca di Brera si estende a Palazzo Citterio, fra opere d’arte ed eredità nobiliare
Palazzo Citterio: il muro longobardo, la Biblioteca Braidense, la collezione Jesi, il marmo di Candoglia
Nata con i Galli e poi ampliata dai Romani, Milano diventa un centro Longobardo dopo le invasioni barbariche. Un capitolo di storia che nel giardino di Palazzo Citterio si ricorda col Muro longobardo, una scultura dell’artista contemporaneo Mimmo Paladino.
Nel Settecento, sotto la dominazione austrica, Brera si trasforma in polo culturale con l’inaugurazione dell’Accademia di Belle Arti e della Biblioteca Nazionale Braidense. Negli stessi anni viene costruito anche Palazzo Citterio, probabilmente unendo due edifici più antichi. Lo stile utilizzato è quello del barocchetto milanese. Esternamente, un portico settecentesco abbraccia un giardino che confina con l’Orto botanico, con cui condivide alcune specie arboree.
L’edificio nasce come residenza nobiliare, identità conservata dal restauro. Nel piano nobile, fra salotti affrescati e marmi, saranno allestite le collezioni Jesi e Vitali di arte del XX secolo. Si avrà, dunque, l’impressione di entrare in una casa museo. Un concetto in linea con le idee di «museo vivente» di Fernanda Wittgens, la direttrice che nel 1950 riaprì la Pinacoteca dopo i bombardamenti del ’43, di cui fece le spese anche Palazzo Citterio.
La storia e l’identità di Milano si leggono anche nei materiali utilizzati. È il caso degli iconici balconcini arabescati in ferro battuto della facciata o del bagno in marmo rosa di Candoglia, lo stesso del Duomo.
Il bagno di Palazzo Citterio: marmo di Candoglia come nel Duomo di Milano
Il bagno di Palazzo Citterio si trova al primo piano, fra sale di rappresentanza d’ispirazione pompeiana. Si tratta di un ambiente rettangolare quasi interamente rivestito in marmo di Candoglia. Questo bagno padronale, che conservava ancora gli arredi originali, è stato sottoposto a un restauro conservativo e integrato nel nuovo spazio espositivo come elemento museale.
I colori qui vanno dal beige dei pavimenti al rosa più intenso delle pareti, con dettagli e venature più scure. Le tonalità sono quelle tipiche dei palazzi nobiliari milanesi, ma anche del Duomo. Infatti, il marmo utilizzato è il medesimo della Cattedrale meneghina.
Il marmo di Candoglia è un materiale compatto e resistente, ma allo stesso tempo di non difficile lavorazione. Il suo tratto distintivo è proprio la colorazione fra il bianco e il rosato con screziature grigie.
Cava di Candoglia: dai romani alla Veneranda Fabbrica del Duomo
Il marmo di Candoglia viene estratto in Piemonte, all’imbocco della Val d’Ossola. La cava da cui prende il nome si trova a sinistra del fiume Tece, nel comune di Mergozzo, ed è costituita da tre banchi di marmo. Il più potente, quello settentrionale, diede vita al Duomo di Milano e viene tutt’oggi utilizzato per la sua manutenzione. A occuparsene è la Veneranda Fabbrica del Duomo, che dal XIV secolo gestisce la cava.
I primi a scoprire il marmo di Candoglia furono i Romani, che in età augustea realizzarono le cave e le sfruttarono fino all’età tardo imperiale. Reperti romani in marmo di Candoglia – prevalentemente sarcofagi – sono stati rinvenuti a Milano, Pavia e Torino.
Nel 1387, l’allora signore di Milano Gian Galeazzo Visconti decise che il Duomo non dovesse essere costruito in pietra, come si era originariamente ipotizzato, bensì in marmo di Candoglia. Cedette in uso la cava alla Veneranda Fabbrica del Duomo e le concesse di trasportare i blocchi gratuitamente.
Allora, il trasporto avveniva via acqua, dal fiume Toce al Lago Maggiore, poi lungo il Ticino e il Naviglio Grande, fino alla darsena di Sant’Eustorgio. Infine, attraverso un sistema di chiuse appositamente realizzato dalla Fabbrica, il marmo arrivava al Laghetto – l’odierna via Laghetto – dove veniva scaricato e portato al vicino cantiere. Per trasportare i blocchi si utilizzavano delle zattere lunghe diciotto metri, costruite con i tronchi di faggio provenienti dal Parco Val Grande, in Piemonte. Anche dopo la chiusura del Laghetto, il marmo continuò a essere trasportato via acqua fino al 1920, quando passò su strada.
A partire dal XV secolo, il marmo di Candoglia fu utilizzato anche per altri monumenti oltre al Duomo di Milano, tra cui l’arca di Sant’Agostino, la Certosa di Pavia, la Cappella Colleoni a Bergamo, la Chiesa di San Francesco a Piacenza e la Basilica di San Petronio a Bologna. Ma anche per edifici privati come Palazzo Citterio.
Una legge del 1927, in seguito riconfermata dalla Regione Piemonte, rinnova il diritto della Fabbrica del Duomo a un uso esclusivo dei marmi di Candoglia.
Non solo Candoglia: guida ai marmi italiani: Travertino, Carrara, Bronzetto, Rosso di Verona, Serpentino
In Italia si estraggono altre tipologie di marmo oltre a quello di Candoglia. Alcuni sono geologici, mentre altri sono commerciali. I primi sono rocce metamorfiche, che durante le diverse ere geologiche hanno subito una trasformazione a causa delle forti pressioni e temperature cui sono state sottoposte. I secondi, invece, sono rocce rese lucide tramite levigatura per mimare il naturale aspetto dei marmi geologici.
Uno di questi è il travertino, una roccia sedimentaria porosa molto usata dai Romani. Sono in travertino il Colosseo, la Fontana di Trevi e le colonne di Piazza San Pietro. Sempre nel Lazio, nell’area di Viterbo, si estrae il Peperino grigio. Si tratta di una roccia di origine vulcanica dal colore grigio, tempestata di micro frammenti neri di biotite.
Tornando ai marmi geologici, in provincia di Brescia si estrae il Botticino, compatto e dalle sfumature beige. Dotato di proprietà antigelive, lo si utilizza per rivestire gli esterni, come nel caso dell’Altare della Patria o della Casa Bianca a Washington.
In Toscana, nelle Alpi Apuane, si trova il marmo di Carrara, suddiviso in diverse varianti a seconda del grado di purezza. Si va dallo Statuario, bianco e quasi monocromatico, al Bardiglio, di colore grigio. Particolarmente apprezzato per le sculture, si dice che Michelangelo andasse nelle cave a scegliere personalmente i blocchi per le sue opere.
Nelle cave pugliesi di Trani si estraggono il Bronzetto e il Filetto rosso, anche noto come Apricena
Il primo è un marmo compatto e resistente, beige a macchie. Il secondo presenta lo stesso colore, ma con venature rosse, ed è stato utilizzato nella Reggia di Caserta. Completamente rosso, con sfumature che vanno dal mattone all’arancio al rosa, è il Rosso di Verona. Anche chiamato Rosso Ammonitico, questo marmo si caratterizza per la presenza di ammoniti fossili risalenti all’epoca giurassica, quando la zona di Verona era sommersa dal mare.
Di una tonalità avorio con venature giallo-brune è il Perlato di Sicilia, estratto nelle cave di Custonaci, nel trapanese. Le sue venature sono dovute alla concentrazione di ossidi di ferro e minerali argillosi. Lo si può trovare questo marmo nella pavimentazione della Stazione Centrale di Milano e nei rivestimenti della Basilica di San Pietro in Vaticano.
Verde è, invece, il Serpentino, che prende il nome dal gruppo minerario che lo compone, frutto della trasformazione dell’olivina, una pietra verde contente ferro. Proveniente dall’Appennino, questo marmo è anche detto Verde di Prato perché riveste la facciata e gli interni del Duomo di Prato.
Marmo sostenibile: lusso etico ed economie circolari
Sebbene i processi di estrazione del marmo siano spesso complessi e costosi, anche a causa dell’esiguità di certe vene, com’è il caso di Candoglia, questo materiale può anche essere sinonimo di un lusso etico. Oggi, infatti, esistono tecniche per il riciclo del marmo e il recupero del materiale di scarto al fine di creare un’economia circolare volta a ridurre al minimo l’attività estrattiva. In questo modo, è possibile preservare questa risorsa naturale, che, in quanto tale, è soggetta a esaurimento.
Ne è un esempio l’azienda toscana Stonethica, che produce materiali lapidei a partire dagli scarti provenienti dalla lavorazione del marmo e della pietra naturale. Questi vengono riciclati e poi riassemblati mediante una resina bicomponente atossica.
Riapre Palazzo Citterio e la Pinacoteca di Brera si espande: Prima della Prima
Palazzo Citterio sta per essere riaperto al pubblico. L’edificio storico situato nel quartiere milanese di Brera sarà inaugurato con una nuova veste a fine 2024. L’evento avverrà in concomitanza con la prima del teatro La Scala, il 7 dicembre prossimo, e pertanto sarà intitolato “Prima della Prima”.
In questa occasione, i visitatori potranno accedere agli spazi recentemente restaurati del palazzo, che ospiteranno la collezione d’arte contemporanea della Pinacoteca di Brera. A questo scopo, gli interni sono stati riqualificati, preservando nel contempo le sale monumentali dell’edificio, fra cui un bagno in marmo.
Palazzo Citterio, Via Brera, il bagno in marmo rosa di Candoglia, la cava piemontese del Duomo
Palazzo Citterio è un edificio settecentesco che si affaccia su Via Brera, nell’omonimo quartiere milanese. A dicembre 2024 sarà inaugurato come nuovo polo d’arte contemporanea della vicina Pinacoteca di Brera. Saranno, così, riaperte al pubblico anche le sue sale nobili, recentemente restaurate, fra cui il bagno padronale in marmo rosa di Candoglia.
Lo stesso materiale utilizzato per la costruzione e la manutenzione del Duomo di Milano, che dal XIV secolo gestisce la cava piemontese da cui viene estratto quello che è uno dei tanti marmi italiani, per la cui salvaguardia si stanno mettendo in campo modelli di economia circolare.