Piccole produzioni, su commissione, evitando sprechi: Nicolò Romano, da Cernobbio alla Central Saint Martins fino a New York – la prima collezione ready to wear presentata da Antonioli a Milano
Nicolo Romano – la selezione della pelle
La pelle usata per gli accessori moda e vestiti è in partenza un prodotto di scarto dell’industria alimentare. Recuperato dalle concerie, attraverso processi chimici o naturali che richiedono ingenti quantità di acqua, diventa un materiale attraverso cui dare vita a determinati capi. La materia prima utilizzata da Nicolo Romano proviene da Bonaudo, una realtà attiva dal 1923 e che oggi conta cinque siti di produzione tra Milano Malpensa, Bergamo, Verona, Montebello e Santa Croce sull’Arno.
L’azienda è oggi in grado di utilizzare acqua purificata al 100% prodotta all’interno dei propri stabilimenti e ha abbassato il consumo di gas metano per ogni pezzo di pelle al 20%. Nel complesso, si tratta di un circuito che permette di utilizzare materiali interamente realizzati in Italia e rimarca come l’Italia sia l’unica nazione che offra una filiera completa al comparto moda.
«L’industria del lusso si connota per eccesso di sprechi. Sono attento al proporre un prodotto che possa confermare le aspettative. Qualitative ed etiche. Una promessa sensata che si leghi al reperimento di materie prime e rispetti la richiesta del cliente. La pelle è un materiale che può creare scalpore. Quella che uso proviene dall’Italia ed è conciata al vegetale da Bonaudo. Per quanto riguarda le specie esotiche, seleziono solo pelli di cui mi è assicurata la provenienza e di specie definite invadenti nell’ecosistema animale. Nicolo Romano lavora su piccole produzioni, lo scarto è il più possibile minimizzato. Evito materiali derivati da petrolchimici e ricerco fibre naturali. I capi che creo non sono stagionali».
La diversità umana nel sistema moda: rifuggire l’edonismo e la velocità
Nel 1973, Piero Paolo Pasolini sul Corriere della Sera introduceva il concetto di edonismo di massa: fenomeno culturale ‘omologatore’ capace di provocare frustrazione o addirittura ansia nevrotica [che] sono ormai stati d’animo collettivi. Il televisore segna la fine dell’era della pietà dando inizio all’era dell’edonè. A distanza di due generazioni, Nicolò Romano sembra riconoscere – e discostarsi – da una simile dinamica insita nel sistema moda.
«All’inizio, avevo circa dodici anni, la patinatura che caratterizza il sistema moda mi stregò. L’esclusività e certi personaggi “mitologici” mi affascinavano. Ero ancora un bambino. Poi ho sviluppato una percezione autonoma di questo mondo e oggi mi trovo a remargli un po’ contro. È un sistema senza intervalli e può rivelarsi escludente. Non mi piace come opera. Non credo neppure nel celebrity endorsement così diffuso; se proprio deve venire, è necessario che si fondi su reali rapporti di fiducia e conoscenza».
Prosegue Romano: «il vestito è un’espressione di gusto e personalità che non può cambiare ogni quattro-sei mesi come il sistema impone. È un’ulteriore deriva del consumismo da cui mi distacco. Una dinamica ossessivo-compulsiva. Tutto ciò confluisce nell’edonismo che non riabilita l’interiorizzazione di un’esperienza di gusto ma la depaupera».
Nicolo Romano – l’impegno umano verso un equilibrio tra il su misura e il prêt-à-porter
Nicolò Romano riesce a dettare i suoi personali tempi della moda? Lo stilista si colloca su una posizione confinante tra produzione continua e capi realizzati su commissione. «Le tempistiche incessanti sono esasperate dall’attenzione mediatica di cui gode la moda. Io opero su commissione. L’attenzione al cliente, a una reciprocità tra noi e al suo gusto sono primari. Mi sono trovato a dover comunque trovare un punto di incontro con i diktat della moda per poter proseguire nella mia carriera. Ecco che nasce una prima collezione ready-to-wear, da poco presentata da Antonioli a Milano».
Ecco che i giovani designer trovano spazio all’interno di realtà che combinano più linee puntando al rispetto di un codice e di una ricerca che evolve nel tempo. Antonioli sbarca a Milano nel 1987 e dal 2003 presenta le proprie selezioni nella sede di Via Pasquale Paoli 1, dove negli anni Venti sorgeva uno dei primi cinema muti di Milano. La varietà dei designer presentati nei 700 metri quadri dello spazio – cui si aggiungono le sedi di Lugano, Ibiza e Torino – abbraccia le linee della belga Ann Demeulemeester, la sperimentazione geometrica di Junya Watanabe e la sovversione di Rick Owens accanto – tra gli altri – a Lanvin, Celine, Loewe, Maison Margiela, Gucci, Tom Ford e Prada.
Nicolo Romano – architettura e cinema come dimensioni di ricerca per la moda
La ricerca estetica che caratterizza Nicolo Romano si relaziona all’architettura e al design. «Immagino spesso un mio negozio futuro o uno spazio che identifichi la collezione da me creata. Gli interni sono rivelatori di personalità. I vestiti sono una conseguenza e un sentore di dove viviamo e ci muoviamo. Al momento, mi concentro molto sull’architettura italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta. Studio il lavoro di Piero Portaluppi».
Prosegue Romano, «anche il cinema è una costante nella mia ricerca. Ad esempio, il codice dell’abbigliamento nei film di Pasolini mi attrae. Il vestito diventa una sorta di ascensore sociale. Anabasi o catabasi verso dimensioni altre che non appartengono in origine al personaggio ma si presentano come possibilità di conoscere realtà differenti. Sono sempre stato attratto da contesti con cui mi sono relazionato meno nel tempo. Oggi i vari livelli sociali presenti da Pasolini tendono a mescolarsi. L’omologazione passa anche attraverso i beni di consumo che per chi li acquista dovrebbero essere garanti di appartenenza a un certo status – almeno in apparenza. Distaccamento, camuffamento e imitazione sono processi che la moda consente e amplifica».
Cernobbio–New York. E ritorno? L’italianità in Nicolo Romano
«Tengo alle mie radici. Nel futuro vorrei che Nicolo Romano avesse sede in Italia. Magari a Cernobbio. New York è una piattaforma di crescita e di riscoperta delle mie origini. Insomma, prendere le distanze per vederci meglio. Qui ho scoperto un mio spazio dove mi è stato chiesto di creare le mie regole e dare un imprinting più adulto al marchio. Oggi quella dell’italiano è più una caricatura. Idealizzo l’Italia ma credo che il modello americano ci abbia un po’ sopraffatti. Tornando, vorrei contribuire a ristabilire quei valori creativi per cui l’Italia è divenuta nota nel mondo. Voglio abbracciare ed esaltare il mio luogo di origine».
Il primo incontro con la moda. Tra patinatura e ruvidità
Quello di Nicolò Romano è un rapporto con la moda che passa attraverso lo sviluppo di auto-consapevolezza. Un percorso che ammette anche processi di apprendimento per sottrazione. Insomma, leopardianamente la moda può essere ruvida.
«Sono cresciuto in una dimensione estetica. Sono un mammone. Quello più attaccato alla parte femminile della mia famiglia, e credo di averne sviluppato alcune passioni. Mia nonna e mia mamma sono persone interessate alla moda. Non a un livello ossessivo, ma l’attenzione al vestirsi e alla funzione dell’abito è di casa. Partendo da Como, la domenica si andava a Milano e le accompagnavo a fare compere. Durante questo tragitto sentivo crearsi un senso di aspettativa verso una particolare esperienza. Il mio rapporto con la moda inizia con teofanie indirette. Momenti in cui vi accedevo come visitatore esterno. Poi è diventato totalizzante. Oltre alle vite passate, credo che ogni essere umano sia venuto al mondo per manifestare una propria unicità. La moda è il mio Dharma. Il mio compito su questa terra, che mi aiuta a scoprire me stesso. La moda, a volte, è anche ruvida. Mi ha tolto molto, facendomi progredire al contempo».
Nicolo Romano – non solo abiti ma un approccio artigianale al vivere
«Voglio esaltare i processi artigianali. Non solo quelli collegati alla moda. Mi interessa, a partire dal guardaroba, creare un mondo attorno a un determinato cliente. Adesso sto lavorando a dei mobili e a un’auto che sarà presentata a fine maggio al Concorso d’eleganza Villa d’Este. Non mi interessa imporre un’estetica ma raggiungere una fusione di codici partecipando attivamente alla vita del cliente e in accordo alla sua personalità».
Musica e spiritualità. Da Franco Battiato a Paramahansa Yogānanda
«Se non mi occupassi di moda, mi piacerebbe produrre musica. Sono camaleontico nelle scelte musicali e così è il ritmo di Nicolo Romano. La musica si lega anche a un certo approccio alla spiritualità. Penso e ascolto spesso Franco Battiato. Dai testi alle melodie c’è verità. C’è pure sperimentazione elettronica. Inizialmente, mi ha interessato la sua ricerca interiore. Battiato parte dalle letture di Paramahansa Yogānanda per il suo percorso spirituale. Sono devoto a questo filosofo e maestro indiano. Il primo che si è recato nella nostra metà di mondo per condividere il valore universale della spiritualità. Mostrava come ci fossero numerose similitudini tra le varie confessioni e i loro testi, come tra il Vangelo e il Bhagavad Gita. Senza fanatismo: tutto è spiritualità. Ogni azione guidata da coscienziosità ha significato».
Nicolò Romano
Nasce a Milano nel 2001. Studia al Central Saint Martins e alla Parsons School of Design di New York, dove vive e lavora. Nel 2018 fonda Nicolo Romano, marchio dedito alla creazione di abiti artigianali su misura. In occasione della Design Week di Milano, ha presentato la prima collezione di ready to wear da Antonioli.