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Natura e imprenditoria etica nel biellese
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La Bursch, imprenditoria etica e pietra ruvida: storie biellesi dalla Valle Cervo a Rosazza

La Bursch in dialetto Walser significa ‘piccola patria’ – il frutto di un restauro conservativo opera di Barbara Varese. Imprenditoria, tradizione manifatturiera e artigianato tra le montagne di Biella

Cosa significa La Bursch in dialetto Walser, il recupero di un antico borgo diventa imprenditoria etica

La Bursch in dialetto Walser significa ‘piccola patria’. La Bursch è il nome di un vecchio borgo del Diciassettesimo secolo situato a ottocento metri d’altezza, nella frazione di Oretto Inferiore a quindici km da Biella. Dopo un restauro conservativo opera di Barbara Varese, imprenditrice milanese, il borgo è divenuto albergo. Un complesso di quattordici abitazioni in pietra mantiene intatta la pianta originale, affacciato al torrente Cervo e circondato dai boschi. Varese oggi gestisce la realtà insieme alle due figlie. Una delle quattordici abitazioni era la casa di suo nonno.

Biella è stata definita la Manchester d’Italia – qui risiede la storia dell’industria tessile italiana

Poco distante dalle sorelle maggiori Torino e Milano ma al contempo remota, avvolta dai monti, Biella incarna la storia del tessile italiano. Le acque leggere che sgorgano dai torrenti circostanti si rivelano provvidenziali allo sviluppo dell’industria manifatturiera che la rese un riferimento nel mondo: i tessuti di Biella. Qui si trovano Piacenza Cashmere, Cerruti, Zegna e Loro Piana, tra gli altri. 

Fino a qualche anno fa le aziende tessili locali erano di più: realtà a conduzione familiare lavoravano per il prêt-à-portere l’haute couture. Tutti i biellesi in garage avevano almeno un telaio e utilizzavano l’etichetta Made in Biella per guadagnare un po’ di soldi extra. Si tesseva, si filava e si ricamava. Si lavavano i tessuti – cotone, lana e canapa – nei torrenti intorno alla città, e si facevano asciugare nei fienili. Poi sono arrivate la crisi del tessile con la delocalizzazione delle industrie, e la disoccupazione ha spinto gli operai di Biella verso Torino, nelle fabbriche della Fiat.

La Fondazione Michelangelo Pistoletto e Il Cappellificio Cervo

Appena fuori dalla città si trova la Fondazione Michelangelo Pistoletto, situata all’interno dell’ex Lanificio Trombetta, un complesso industriale che ha conservato la struttura originale della fine dell’Ottocento, quando Biella era chiamata ‘La Manchester d’Italia’.

Addentrandosi nella Valle Cervo, nel comune di Sagliano Micca, Il Cappellificio Cervo custodisce un archivio di oltre centoventi anni di storia del cappello – ultimo testimone delle maestranze locali legate alla lavorazione del feltro. 656 forme per cappelli in legno, 431 in metallo e 392 ricette per altrettante tonalità di colore.

Valle Cervo – in una striscia di terra tra la Valle del Lys e la Valsesia, si trova il comune di Rosazza

Nell’alta Valle Cervo, stretto in una striscia di terra tra la Valle del Lys e la Valsesia, si trova il comune di Rosazza. Conta appena novantatré abitanti, ma ha una storia che gli è valsa il titolo di ‘borgo più misterioso d’Italia’. La sua notorietà e il suo mistero sono legati alla figura di Federico Rosazza, Senatore del Regno, già membro della Giovane Italia mazziniana, Gran Maestro Venerabile della massoneria biellese e filantropo. In tutte le opere finanziate da Rosazza si riscontrano elementi e simboli legati alla massoneria e all’occultismo, interessi che condivideva con il pittore e architetto Giuseppe Maffei col quale diede vita al paesino di Rosazza.

Le vie del borgo sono disseminate di rose, scale a pioli e pentacoli – simboli legati alla massoneria. All’ingresso del cimitero monumentale, situato al di là di un torrente che, come l’Acheronte, separa i morti dai vivi, tredici cerchi bianchi indicano la via verso l’Ade. Due clessidre scolpite nella pietra rammentano ai passanti l’inesorabile scorrere del tempo. Sul sagrato della chiesa un giardino in pietra guida la strada dell’iniziato, dai rovi e le spine fino ai rami fioriti dell’illuminazione. Sul retro una svastica e una stella a cinque punte.

Lavorazione della pietra a Valle Cervo, gli scalpellini e il monumento alla Donna Portatrice di Rosazza

La Valle Cervo ha dato i natali a scalpellini apprezzati nel mondo. Uomini abituati a lavorare la pietra locale, la Sienite. Le donne della valle collaboravano trasportando le pietre in ceste legate alla schiena. Nel centro di Rosazza, un monumento rende omaggio alla Donna Portatrice. Lungo rive di un affluente del Cervo poco distante da Rosazza, alla vigilia della festa di San Giovanni Battista – ventiquattro giugno – le streghe celebrano il loro sabba.

Oasi Zegna – imprenditoria etica lungo la strada provinciale 232 Panoramica Zegna, 1.420 ettari di boschi e in 170 ettari di pascoli

Negli anni Trenta, dopo aver creato a Trivero (nelle Prealpi biellesi) l’impresa che porta il suo nome, l’imprenditore Ermenegildo Zegna si dedicò a dare nuova vita al territorio circostante. Oltre alla costruzione di case per le famiglie dei suoi dipendenti e di un centro dedicato alla salute e allo sport, il progetto prevedeva la riforestazione delle pendici della montagna attraverso la piantumazione di 500.000 alberi tra conifere, rododendri e ortensie.

In seguito, nel 1938, Zegna promosse la costruzione di una strada panoramica (ora denominata strada provinciale 232 Panoramica Zegna) che offrisse ampie vedute sulle valli e le montagne circostanti e consentisse alla popolazione locale e ai turisti di godere dell’ambiente naturale montano,

Oggi Oasi Zegna è un territorio ad accesso libero che si estende su 120 km2 sulle Alpi piemontesi e si sviluppa su 1.420 ettari di boschi e in 170 ettari di pascoli. Un luogo di contatto con la natura e gli ecosistemi locali, esempio lungimirante di valorizzazione del paesaggio che ancora vive grazie al pensiero verde e le buone pratiche dell’imprenditoria etica.

Barbara Varese: il nonno esploratore e il complesso architettonico di La Bursch

All’ingresso de La Bursch, accatastate in un angolo, si trovano le vecchie valigie Gucci del nonno di Barbara Varese, esploratore per vocazione in un tempo in cui ancora si viaggiava in treno o via mare. Sempre all’ingresso, è ancora visibile il vecchio potager in pietra che la nonna utilizzava per lavare i piatti, con una sigaretta in bocca. Nella prima unità abitativa, che comprende la vecchia casa di famiglia, le stanze hanno i nomi dei continenti – Asia, Europa, America, Africa e Antartide. 

All’interno di Africa e di America si trovano cimeli raccolti dal nonno di Barbara, che ogni tanto abbandonano La Bursch e si rimettono in viaggio alla volta di musei in tutto il mondo. Asia è avvolta dai misteri d’oriente, con antiche stampe zen, broccati di seta, sculture d’avorio e maschere lignee. Europa è la stanzetta dei bambini, con piccoli mobili in legno di fattura artigianale, antichi merletti provenienti dal corredo della nonna di Barbara e il vecchio letto in ottone. Antartide è un tripudio di boule de neige e pelouche riscaldata da un ampio camino e dal tappeto tartan.

Barbara Varese racconta La Bursch

Nella seconda unità abitativa, chiamata Casa dell’Alchimista è situata sulla parte posteriore del borgo, le stanze hanno i nomi dei pianeti – Giove, Venere, Marte, Saturno, Urano, Mercurio – e sono caratterizzate da colori pastello, tappezzerie floreali e camini in pietra. Fedeli all’architettura originale, i bagni sono divisi dalla zona notte da un paravento. L’ultimo piano della Casa dell’Alchimista è occupato dalla soffitta di Nettuno. Una suite dall’arredo rustico con una vasca posta sotto la vetrata, per fare il bagno sotto al cielo stellato.

Teatrini per le marionette stanno accanto a vecchi strumenti musicali. Ci sono libri, quadri, buvette anni Trenta, cassapanche, poltrone e poltroncine. Un camino in ogni stanza. Difficile capire chi sono gli ospiti e chi è il personale di servizio perché tutti hanno l’aria di vivere li. Al piano di sopra si trovano il ristorante, la vecchia cucina con il forno a legna e i paioli in rame, e un divano anni Cinquanta sul quale i bambini si addormentano se le cene si fanno troppe lungo. 

Erika Gotta, miglior chef dell’anno under trentacinque al Food Community Awards

In cucina Erika Gotta, classe 1993, vincitrice del premio come miglior chef dell’anno under trentacinque al Food Community Awards, mescola prodotti locali, verdure dell’orto e bacche raccolte nei boschi per dar forma ad una cucina sofisticata e contemporanea. Tutto intorno Il giardino, con rose selvatiche, piante aromatiche e faggi, confina direttamente con i boschi ai piedi delle montagne del biellese.

Sara Kaufman

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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