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Rosso: la storia condivisa tra Carminio e Magenta

Da dove derivano il rosso Magenta e il Carminio? La storia del colore naturale estratto dalla cocciniglia che ha smosso le economie mondiali per secoli

Genderless e Coraggioso

A detta degli esperti del colore del Pantone Color Institute il Viva Magenta vuole essere un colore seducente e genderless. Un rosso che vuole dare un nuovo segnale di forza. Un colore non convenzionale per tempi non convenzionali.  «Una tonalità sfumata di rosso cremisi che presenta un equilibrio tra caldo e freddo, PANTONE 18-1750 Viva Magenta è anche un colore ibrido, che sta comodamente a cavallo tra fisico e virtuale, evocativo del nostro mondo multidimensionale. Assertivo ma non aggressivo, è un rosso carminio che non domina in modo sfacciato ma adotta un approccio da “pugno in un guanto di velluto”. Trasudante dinamismo, PANTONE 18-1750 Viva Magenta è un rosso trasformativo in grado di guidare il design per creare un futuro più positivo». Il Magenta però pone le sue basi un un altro colore di cui condivide l’origine: il Carminio.

Carminio: storia e utilizzi 

Tra i coloranti naturali più usati c’è l’acido carminico, che dà forma al carminio, un tipo di rosso intenso a cavallo tra il cremisi e lo scarlatto. Chanel lo usava per colorare profumi, sfumare vestiti e accessori. Campari lo mescola nella sua ricetta segreta per anni – fino al 2006, quando passa a un colorante chimico. I pittori ne apprezzavano le qualità nei loro dipinti – durante le fasi di restauro e di mantenimento dei ritratti, non è raro trovare tracce di acido carminico anche in quadri più datati. Si dice tra gli esperti del settore che non c’è museo al mondo senza carminio. In musica: uno scienziato svedese ha riscontrato al microscopio tracce di acido carminico in alcuni modelli di Stradivarius.

Il carminio è un colore naturale, dalle qualità che si fa fatica a sostituire chimicamente. È l’unico colorante naturale al mondo ad avere una Denominazione di Origine Protetta. L’acido dal quale deriva, l’acido carminico, è estratto da un insetto chiamato cocciniglia, una specie di Dactylopius, appartenente all’ordine degli Emitteri. Le femmine sono grandi tra i cinque e i sei millimetri, e non hanno ali; mentre i maschi le hanno, seppur le loro dimensioni siano assai minori, tra i due e i tre millimetri. L’acido carminico, e di conseguenza il carminio, lo si può estrarre solo dalle cocciniglie femmine, con una percentuale di concentrazione tra il 13% e il 19%. Le cocciniglie che superano il 19% sono presenti solo nelle Isole Canarie

Dactylopius – insetto chiamato cocciniglia

Di Dactylopius ne esistono più di venti specie differenti, ma solo la Coccus può produrre il carminio. È un insetto parassita che, stando attaccato alle foglie grasse e secche della tunera (nome scientifico: Opuntia, una pianta nativa del Messico appartenente alla famiglia delle cactacee), fora lo spessore della pianta e ne succhia la linfa interiore. Esistono anche altri tipi di Dactylopius dai quali si può estrarre l’acido carminico – come il Dactylopius Opuntiae o il Dactylopius Tormentosa. Gli agricoltori hanno scartato l’utilizzo di quest’ultime per due motivi principali: il carminio prodotto da queste specie è di più bassa qualità rispetto a quello prodotto dalla Coccus e, soprattutto, la Dactylopius Opuntiae e la Tormentosa succhiavano la linfa delle tunera fino a ucciderle.

Cocciniglia: storia ed evoluzione

La cocciniglia arriva dall’America centro-meridionale. Le aree di produzione più note sono Messico, Perù e Cile. La Spagna ha cercato di importarla fin dal Sedicesimo secolo, per lavorarla nei propri confini, e il punto più favorevole per le combinazioni climatiche e la presenza della giusta vegetazione fu l’arcipelago delle Isole Canarie.  Il primo europeo che scoprì la cocciniglia e le sue proprietà fu il conquistador Cortez in uno dei suoi viaggi nel Nuovo Mondo. La leggenda narra che nel 1521 Cortez e la sua ciurma rimasero stupiti dal colore sgargiante dei vestiti della popolazione azteca quando arrivarono a occupare l’area del Messico odierno. Gli Aztechi erano già esperti produttori di carminio, coltivavano le cocciniglie estraevano l’acido carminico, e lo utilizzavano in vari modi (come colorare vestiti, decorare utensili). Cortez capì l’importanza che avrebbe avuto in Europa commercializzare un colorante naturale come l’acido carminico. Fu così che la Spagna cominciò a importare cocciniglie in Europa. 

«Questo è un aneddoto che sanno davvero in pochi», racconta Lorenzo Perez, presidente della Asociacion de Criadores y Exportadores de las Islas Canarias, «Cortez, intuendo l’importanza che avrebbe avuto nel mercato essere l’unico importatore di cocciniglia in Europa al mondo, mantenne segreto tutto quello che aveva scoperto, raccontando come il carminio derivasse in realtà da un seme. La cocciniglia, prima che si possa estrarne l’acido carminico, deve essere pulita e fatta seccare. Solo così il carminio rimarrà intatto al suo interno. Una volta staccata dalla foglia della tunera, la cocciniglia non può rimanere viva a lungo, altrimenti il colore inizierà a sciogliersi e a seccarsi all’esterno di essa. In questo modo Cortez ha potuto mantenere segreto il commercio di un insetto facendolo passare per un seme, appropriandosi del monopolio del carminio».

Il mercato della cocciniglia in Spagna

La strategia spagnola portò i suoi frutti: il mercato della cocciniglia divenne la terza entrata economica di Spagna. Gli altri stati persero anni e risorse a cercare il tipo di seme adatto che riuscisse a produrre quel colore naturale, senza arrivare mai a una soluzione. Finché, i francesi inviarono un biologo a fare ricerche in Centro America, e lo fecero infiltrare in uno dei siti di occupazione spagnola più potenti e più famigerati della storia: fu grazie a questa tattica di spionaggio industriale che il mondo scoprì l’inganno degli spagnoli, e da dove derivava veramente il carminio.

L’esportazione della produzione di cocciniglia si verificò intorno agli anni venti del Diciannovesimo secolo. Gli spagnoli trovarono nelle Isole Canarie un habitat naturale perfetto per la coltivazione di quest’insetto, diventando l’unico stato europeo ad averne la produzione. La domanda di mercato aumentò tanto da indurre quasi tutti gli agricoltori delle isole a lavorare le cocciniglie – si parla di un periodo di monocoltivo. Ciò portò ricchezza a molte famiglie che fino ad allora avevano solo coltivato appezzamenti di frutta, come banane e verdura (come pomodori, o tuberi come le patate). Gli anni migliori della produzione furono quelli a cavallo tra il 1845 e il 1869, nei quali il prezzo arrivò a toccare le dodici pesetas al chilo e, oltre a soddisfare il fabbisogno interno della Spagna stessa, la domanda di carminio da parte di Francia e Inghilterra continuava ad aumentare. Sulle isole la cocciniglia divenne un reddito paragonabile al denaro, tant’è che la popolazione iniziò a usarla come fonte di baratto.

Non ci volle molto tempo perché fosse sostituita da coloranti sintetici scoperti negli anni delle rivoluzioni industriali. Agenti chimici come fucsina e anelina iniziarono a venir utilizzati al posto del carminio, riducendo di molto i costi di produzione e di mantenimento rispetto al colorante naturale di cocciniglia. Seppur gli anni del boom siano passati, nell’arcipelago delle Isole Canarie sono rimasti alcuni coltivatori di cocciniglia legati alla tradizione trasmessa di generazione in generazione, e ne hanno mantenuto un’economia dinamica, almeno in ambienti locali. Anche la comparsa di parole specifiche come cucchiaio (un utensile utilizzato per la raccolta), o milana, grano fanno intendere quanto la cocciniglia abbia penetrato nel tessuto sociale di una popolazione e ne abbia modificato la quotidianità.

L’associazione di Lorenzo Perez

Uno dei coltivatori rimasti fedeli alla cocciniglia è Lorenzo Perez, ingegnere informatico che da sempre ha vissuto immerso nella produzione del carminio. Eredita la passione dalla famiglia che fondò la Asociacion de Criadores y Exportadores de las Islas Canarias, e ne prende le redini circa dieci anni fa. Fonda inoltre la sua azienda nel 2009, la Canaturex, improntata nella coltivazione di cocciniglia canaria. «Il ritorno al mondo naturale mi ha sempre interessato durante gli anni in cui lavoravo come ingegnere informatico. Una volta rientrato, volevo più tutela per gli agricoltori, più rispetto per la tradizione da parte del governo spagnolo. Ho cominciato la mia battaglia per far ottenere una Denominazione di Origine Protetta (DOP) a questo insetto. Sono riuscito nel mio intento nel 2016. Prima la mia ricerca è stata approvata dal consiglio del governo canario, poi da quello del governo spagnolo; e infine dalla Commissione Europea». 

Incentivi per la coltivazione della cocciniglia 

Ora un agricoltore può ottenere degli incentivi economici per l’allevamento e la vendita della cocciniglia canaria. «La nostra cocciniglia», continua Perez, «è di una qualità superiore rispetto a quella peruviana o messicana. I numeri di mercato, il costo della manodopera e le analisi chimiche lo dimostrano ampiamente. Basti pensare che la concentrazione di acido carminico delle cocciniglie d’oltre oceano è a cavallo tra il 13 e il 19%; mentre la nostra ha una concentrazione minima del 19%. Noi la lavoriamo tutta a mano, dall’inizio alla fine della catena di produzione». La commissione europea ha annunciato che nel prossimo futuro tutte le aziende alimentari dovranno attenersi a regole sempre più strette, riguardanti le percentuali di sostanze chimiche presenti nei prodotti di consumo finali. 

«C’è un riavvicinamento alla natura sostanziale, e di conseguenza alle tradizioni, nel quale anche governi ed enti internazionali si stanno imbarcando per la stessa direzione», dice Perez. «Grazie all’aiuto della Commissione Europea noi coltivatori riusciamo a vendere il nostro prodotto mantenendone la qualità seppur ci troviamo costretti a competere con il mercato peruviano e messicano che tende a portare la guerra al ribasso. Il carminio della cocciniglia canaria era usato da aziende come Chanel. Mia madre ha concluso il contratto con l’azienda Campari nel 1984, con la quale abbiamo collaborato fino al 2006, anno in cui hanno deciso di utilizzare un colorante chimico. Ora la Commissione Europea sta sollecitando gli stati membri a incentivare le politiche aziendali interne della produzione alimentare al ritorno e all’utilizzo di composti naturali, che anche se più costosi e più difficili da mantenere rispetto a un composto chimico, si è ormai ben capita la differenza di impatto sull’uomo se si pensa a lungo termine».

Andrea Valbusa

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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