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Salvatore Ferragamo al Museo Ferragamo
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Salvatore Ferragamo: precursore nell’economia circolare usando canapa

La mostra al Museo di Firenze, la manifattura sostenibile: Salvatore Ferragamo fu tra i primi a usare la canapa insieme alle altre fibre naturali, aprendo al strada all’unica economia circolare tutt’oggi possibile

Sostenibilità ante litteram: materiali naturali e la canapa, protagonista del periodo bellico e del debutto del dopoguerra

La precisione scientifica, il comfort e lo studio ergonomico. Nelle immagini di repertorio Ferragamo appare spesso nell’atto di misurare il piede e di prendere l’altezza delle clienti, onde calibrare al meglio la stabilità e la reazione statica di un determinato modello. Un altro fattore basilare è la curiosità incessante verso il mondo dell’arte e dell’architettura, ma anche del pensiero, della chimica e matematica, dell’astronomia e perfino della mistica – credeva nella metempsicosi – come rivela la sua biblioteca personale. Salvatore sa guardare in alto, non si limita certo alla suola di una scarpa. Per primo riesce a trasformarla in una piattaforma di evocazioni, in elemento di appropriazione stilistica e specchio di affermazione e desiderio. 

Quanto gli debba la moda, ben oltre lo specifico della calzatura che ha declinato in un’infinità di maniere diverse ed opposte – 369 sono i brevetti depositati, qui certificati da una sala di alta suggestione –, è impossibile da definire. Sperimenta tutto e il contrario di tutto, gioca per opposti, attrae l’attenzione verso il piede sottraendola al vestito. “I piedi mi parlano” affermava.  

L’apertura verso la natura e nei confronti di mondi e culture esotiche, dall’Africa al Giappone, alle civiltà australi e centro-americane, è un ulteriore banco di prova. Aigrettes Boldini, composizioni di piume sfumate dégradées e punte che simulano il corno di rinoceronte, fiori dipinti che si inerpicano sul tacco, temi botanici e animalier, grafiche di maculati e zebrati, serpente, coccodrillo e lizard, pelle d’anguilla, di pitone e di struzzo.   

La canapa, con il sughero delle celebri zeppe, diventa protagonista del periodo bellico e del debutto del dopoguerra, quando l’embargo e la ristretta disponibilità di materiali costringono Salvatore a rivolgersi ad altre componenti, più povere e inedite, tipo le caramelle di paglia, la pelle di rospo, la stuoia d’erba delle Filippine, lo spago e il leopardo marino. Una sfida che vince in pieno grazie a una preveggenza artistica e imprenditoriale che non ha rivali. 

Salvatore Ferragamo e Christian Dior: analogie nella rispettiva poetica

Nel settembre 1947 si ritroverà con Christian Dior a ricevere il premio Neiman Marcus a NYC. I due simpatizzano e trovano tante analogie nella rispettiva poetica. La visionaria idea di calzatura di Salvatore e l’opulenza neo-settecentesca del New Look lanciato da Dior in quell’anno che doveva chiudere i rigori causati dal conflitto, sfileranno insieme su una passerella, sotto gli occhi compiaciuti di Irene, costume designer Academy Award. Salvatore Ferragamo affronta in tempi non sospetti il capitolo della sostenibilità, di cui è un propugnatore. 

Canapa e imprenditoria etica negli opifici Ferragamo: ogni resto di lavorazione si mutava in qualcos’altro

Gli anni Trenta sono un fuoco d’artificio di ricerca sperimentale. Ecco la scarpa allacciata in canapa e capretto – 1936-38- con un tacco a strati di sughero rivestiti di camoscio policromo che rammenta la mitica Rainbow dedicata a Judy Garland, madre di Liza Minnelli, la rivelazione del Mago dei Oz.Giusto accanto si può vedere l’abito Variante Cerchi- 1938- realizzato nel laboratorio veneto di Marisa Bronzini,  insieme a Gegia e Michela Bronzini. Un tessuto a maglia tessuta a mano in canapa nature con bordure di seta e decorazione a cerchi azzurro polvere intrecciata, ottenuta con la tecnica dello spolinato. Ancora di quegli anni il sandalo in canapa con cordoncini in cotone intrecciati, esposto sullo sfondo di un arazzo di Bice Lazzari. 

Negli opifici Ferragamo non si butta via niente. Salvatore Ferragamo era precursore di un’imprenditoria etica. Ogni resto di lavorazione si mutava in qualcos’altro, dava luogo a ulteriori challenge, sublimando le proprie possibilità di riuso, componendo un mosaico materico e di colori capace di affascinare le donne a livello globale. 

La rassegna dedicata a Salvatore Ferragamo presso il Museo Ferragamo a Firenze, fino al 4 novembre 2024 – la carriera e gli inizi a Hollywood, il cinema

Non di rado le mostre di moda risultano statiche e noiose, o peggio sono pretenziose ed esprimono soprattutto la visione del curatore. Abiti e accessori illustri ma ormai inerti, intrisi di polvere e di ricordi su manichini privi di vita. Hanno qualcosa di un fantasma, ingenerano nostalgie di un passato trasformato in mito e quindi inavvicinabile, congelato. 

Ciò non accade nella rassegna dedicata alla carriera di Salvatore Ferragamo (1898-1960), presso il Museo Ferragamo in via Tornabuoni a Firenze, istituzione fondata da Wanda Ferragamo nel 1995. Curata da una specialista quale Stefania Ricci, che riassume così un arco di ricerca lungo 38 anni, la mostra rimarrà aperta fino al 4 novembre 2024. 

Energia vertiginosa e forza creativa inarrestabile, libera e in continuo superamento – il percorso di Salvatore Ferragamo inizia cento anni fa, quando, poco più che ragazzo, apre il suo atelier nella capitale del cinema, a Hollywood di fronte al Grauman’s Egyptian Theatre, coronando il successo conseguito negli USA dove era emigrato diciassettenne nel 1915. Il décor dalle ispirazioni rinascimentali e classiche di quella boutique sembra un po’ precorrere il ritorno in Italia di tre anni dopo. 

Il ritorno a Firenze di Salvatore Ferragamo e la scommessa sul cinema

Sarà a Firenze, la culla del rinascimento al centro di un’area dove antiche tradizioni artigiane erano ancora vive e praticate, che Ferragamo, campano di origini – era nato a Bonito, vicino ad Avellino, da una famiglia ricca soltanto di figli – deciderà di installare la propria attività. Forte dell’esperienza americana, egli sapeva bene come il capoluogo toscano già da generazioni fosse la meta di uno shopping di qualità, ben conosciuta nel Regno Unito e Oltreoceano. 

Il cinema – macchina dei sogni che allora negli States stava vivendo l’età dell’oro del divismo – è il  territorio di espansione e l’immaginario che Salvatore Ferragamo predilige. Sarà tra i primi a capirne la portata pubblicitaria, a usare la vetrina di emulazione e aspirazione globale offerta dal grande schermo. 

La frequentazione di Salvatore Ferragamo con il cinema – le attrici e gli attori che conobbe e vestì

Mary Pickford, la fidanzata d’America, è tra le sue habitué. Così come Gloria Swanson, la medusa di Sunset Boulevard egeria di Joseph Kennedy, che gli rimarrà fedele vita natural durante. Egli stringe amicizia con il gotha della celluloide, da Rodolfo Valentino e Douglas Fairbanks, da Marion Davies, Pola Negri e Charlie Chaplin, da Joan Crawford e Lillian Gish, fino a Loretta Young e Marlene Dietrich. La sua attività per le major si racconta attraverso modelli fantasiosi e bizzarri, invenzioni per i peplum kolossal di David Griffith e Cecil B.DeMille, uscite da una favola di Perrault o dalle pagine delle Mille e Una Notte

Dai costumi per il cinema agli abiti per i clienti: ispirazioni e riferimenti per Salvatore Ferragamo

Il milieu del costume cinematografico gli verrà utile, grazie all’esercizio di quella tensione immaginaria che gli richiede. Polvere di strass, lamé, pietre applicate, le pirotecniche variazioni partorite per una collezionista seriale come la diva brasiliana Carmen Miranda, estrosa icona camp tropicale, che negli anni Quaranta si impone nel mondo intero cantando Tico Tico e ancheggiando tra volants e turbanti traboccanti di frutta. Rafia, mosaici di specchietti, soutache di seta e cellophane, una pioggia di strass e paillettes, suole in vinilite trasparente e tacchi di mica. Damaschi e broccati, merletto di Tavarnelle a punto catenella che simula l’effetto di una vetrata.

Oltre il cinema: chi vestì Salvatore Ferragamo

Claretta Petacci, l’amante di Mussolini che ne condividerà la fine ingloriosa e l’allure di Edda Ciano, donna dall’eleganza nervosa e moderna, con una Maria-Josée di Savoia in divisa da Crocerossina testimoniano del Ventennio. Wallis Simpson e il duca di Windsor non esitarono a salire più volte le scale di palazzo Feroni-Spini. Insospettabile, l’astratta Georgia O’Keeffe, che dal ritiro navajo di Taos ordinava una sorta di ballerina minimalista in pelle nera raso terra, – Kit Kit è il nome, 1937. Ben lontana dalla zeppa ancora in suede noir preferita da Peggy Guggenheim. 

Per la principessa Indira Devi di Cooch Bear, Salvatore, concepisce un vero gioiello, un platform con scintillanti ricami di ispirazione indiana che fanno venire in mente le coeve creazioni di gioielleria Cartier per il mercato orientale, i favolosi monili di Chaumet, van Cleef e Mauboussin che oggi sfolgorano nella collezione Al-Thani. Bellissima figlia del raja di Baroda e madre dell’altrettanto affascinante Gayatri Devi, la maharani di Jaipur entrata nella leggenda, Indira fu protagonista di un atto rivoluzionario nell’India dei primi del Novecento, rifiutando di sposare il monarca di Gwalior prescelto dalla sua famiglia perché innamorata di un principe minore, che riuscì a impalmare con coraggio e una determinazione mai viste prima. Storie di donne d’eccezione che si incarnano nelle calzature loro dedicate.

Il laboratorio di Salvatore Ferragamo, dove interagiva con le maestranze – una moda etica

Il Nylon mette la struttura del piede a nudo, si intesse in raggiere di trasparenze lineari e si avvicina al costruttivismo di Antoine Pevsner e Naum Gabo, i fratelli russi nei tardi anni Venti fondatori a Parigi di Abstraction-Création. Leggenda vuole che Salvatore Ferragamo si fosse interessato a questo materiale dopo averne testato la resistenza grazie alla canna di un dipendente che nelle pause si dedicava alla pesca sull’Arno.

Il laboratorio, il crogiolo di tutto un mondo, è stato ricostruito come durante una pausa. Qui Ferragamo interagiva con le maestranze, controllava che la sua idea nucleare venisse eseguita al meglio, non di rado si metteva egli stesso al deschetto. Anticipatore di una moda etica. L’itinerario dell’esposizione non dà tregua, è un fuoco di fila di emozioni e sorprese, che si amplificano leggendo le date sui cartellini. Per il couturier Emilio Schubert che debuttava alle sfilate di Bista Giorgini a Firenze al Giardino Torrigiani, non ancora alla Sala Bianca di Pitti, nel 1951 Ferragamo mette a punto il Kimo, sandalo in capretto a tacco alto di ispirazione nipponica, da indossare con una calzetta in pelle o in raso di seta di colori e consistenze diverse che consentiva tante metamorfosi del medesimo modello.

Il sandalo d’oro 18kt del 1956, commissione particolare per una ricca signora americana, fu forgiato da un laboratorio orafo specializzato ispirandosi ad esempi di sontuosità tardo-rinascimentale. Sfiora l’allegoria, la fiaba e la dimensione del simbolo alchemico, nella penombra risplende di riflessi e rilievi a bulino come un’oggetto sacro senza tempo. 

L’obiettivo di Salvatore Ferragamo è ritrovare il bandolo delle tradizioni artigiane di livello da sempre presenti nell’area fiorentina e toscana. 

Salvatore Ferragamo miscela il tessile e la paglia intrecciata dell’Impruneta, la pelletteria e la lavorazione dei metalli o il ricamo di Tavarnelle. Ne vivifica la legacy sforzandola a sfide di estrema modernità. 

Da questo humus corale distilla il proprio segno e la sua ricerca, confrontandosi con gli esponenti del cubismo e del Gruppo Futurista, Balla, Depero, fino a Thayat e Lucio Venna, attivo anche come grafico e cartellonista, che nel 1930 crea il marchio del brand con un rosso cinabro che diviene emblematico. Ferragamo guarda al tratto ipnotico di Sonia Delaunay e alle griglie geometriche di De Stijl, si accosta al Surrealismo, passione che condivide con un’altra cliente, Elsa Schiaparelli. Con estro e rigore d’architetto reinventa con il sughero una colonna romana, immagina inserti archeologici quali rilievi egizi e citazioni classiche, il tacco come una gabbia d’ottone strutturalista. Prende linfa dalla stereometria umanistica e dalle prospettive metafisiche di Paolo Uccello, dalle opere edilizie di Brunelleschi e dell’Alberti. 

Pietro Annigoni, pittore ufficiale di re e imperatori, tra i quali spicca Queen Elizabeth, immortala Salvatore in un ritratto sospeso tra Bronzino e l’epoca romantica, raffigurandolo come un fiero scugnizzo campano senza età. Ritmiche onde di capelli neri e occhi fermi e brucianti. Lo sguardo consapevole scruta il futuro.E’ quello d’un condottiero del rinascimento fondatore di una dinastia.

Cesare Cunaccia

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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