Cerca
Close this search box.
  • EDITORIAL TEAM
    STOCKLIST
    NEWSLETTER

    FAQ
    Q&A
    LAVORA CON NOI

    CONTATTI
    INFORMAZIONI LEGALI – PRIVACY POLICY 

    lampoon magazine dot com

Peter Ulrich FotografieSegui Halle am Berghain
TESTO
CRONACHE
TAG
SFOGLIA
Facebook
WhatsApp
Pinterest
LinkedIn
Email
twitter X

Berlino, moda, musica techno: quando l’underground diventa mainstream? 

Mentre la musica techno diventa patrimonio Unesco, la moda e i social rischiano di compromettere la natura underground del clubbing Berlinese: file all’ingresso, video virali e nuovi dress code 

Come gli abiti hanno plasmato la scena clubbing a Berlino

Agli albori della scena techno di Berlino, i club e i rave underground erano utilizzati dai creativi della moda come spazi di sperimentazione artistica. Lontano dalle zone commerciali, dal buon gusto borghese e dal giudizio della società gli abiti erano utilizzati come atto di ribellione, come strumento per sottolineare la non appartenenza ai canoni socialmente imposti. Nel corso degli anni, questo modo di vestire ha plasmato la moda berlinese e la sua scena clubbing abbracciando l’idea di trasgressione, spingendo i limiti delle norme sociali e degli standard estetici convenzionali. Ciò si è riflesso in un modo di vestire ispirato alla musica punk ma estremizzato dall’utilizzo di tessuti non convenzionali come latex, PVC, pelle logora, spesso abbinati a catene e decorati con trasparenze e cut-out. 

Chi abbracciava questa sottocultura indossava abiti che combinavano streetwear ed estetica EDM, ovvero l’electronic dance music, con l’obiettivo di mixare abiti funzionali e comodi ad elementi più estrosi. Questa praticità, unita all’estro artistico della musica, ha gettato le basi per quello che oggi è l’abbigliamento techno che, tra le altre cose, celebra l’androginità con look unisex che giocano con i confini di genere. Negli anni Novanta, chi frequentava i club techno di Berlino indossava in genere scarpe Adidas, spesso di seconda mano e capi di Daniel Poole e Stüssy. 

Uno scenario unico – almeno in Europa – che ha attratto le Maison del lusso, prima da un punto di vista creativo, poi di business. All’inizio degli anni Duemila, la scena underground di Berlino ha visto la comparsa dei buttafuori che oltre ad una serie di altri criteri, determinavano la selezione all’ingresso dagli outfit sfoggiati. All’inizio questo era un modo per preservare i connotati dell’ambiente, ben presto divenne invece un’estremizzazione del concetto di “dress code”. 

Come il clubbing e la sua cultura musicale hanno influenzato l’industria della moda 

L’universo valoriale del clubbing berlinese si rivelò presto attrattivo per il settore moda dal momento che gli anni Novanta e Duemila sono stati quelli in cui la narrativa di un brand non era più costruita solamente sul design e sulla pubblicità, ma soprattutto sull’universo valoriale che gli si costruisce intorno e alla community che è in grado di attirare. Rap, punk e pop sono stati fin qui i generi dominanti nell’ influenzare la moda. 

La techno, prima dello scorso decennio, era il genere che meno aveva catturato l’attenzione delle case di moda, almeno di quelle più commerciali. Quello che era iniziato come un movimento anti-mainstream iniziò a ricevere una consistente copertura su importanti pubblicazioni internazionali e di conseguenza i top brand, hanno presto individuato nel clubbing di Berlino una nuova fetta di mercato.

La moda si appropria dell’identità culturale di Berlino

Le collezioni presentate nel 2019 da Gucci, Givenchy e Balenciaga includevano richiami espliciti all’abbigliamento fetish e alla cultura techno tedesca. Su tutti, Balenciaga e il suo direttore creativo Demna Gvasalia hanno portato all’attenzione mediatica il brutalismo dei club techno tra campagne marketing con influencer da milioni di follower e capi con un prezzo da listino medio di due mila euro. Tra il 2021 e il 2022, Miuccia Prada e Raf Simons hanno chiesto al dj e produttore Richie Hawtin di creare le colonne sonore per le sfilate uomo e donna autunnali di Prada, mentre nel video digitale di presentazione delle collezioni i modelli vengono ripresi mentre ballavano in uno spazio buio ispirato ai club techno. Daniel Lee per Bottega Veneta nel 2021 ha presentato la sfilata intitolata Salon 02 al Berghaim. 

Lo stesso anno il direttore creativo di MSGM, Massimo Giorgetti, ha realizzato un rave party sotto la neve per la presentazione della collezione autunno-inverno, Coperni ha portato i suoi ospiti all’AccorHotels Arena dove ha ricreato l’atmosfera dei club e con musica techno come colonna sonora. La pandemia ha ampliato la diffusione nell’immaginario collettivo della cultura techno che, come hanno spiegato gli stessi marchi, arrivava come risposta ad un bisogno di evasione dalle preoccupazioni e dalle responsabilità quotidiane.

Michael Mayer – Berghain at Night, Berlino
Michael Mayer – Berghain at Night _ Berlino

L’attenzione da parte delle case di alta moda ha contribuito a rendere la cultura techno mainstream e questo ha ridefinito gli equilibri della cultura underground. L’appropriazione di una cultura di nicchia da parte dei protagonisti della moda globale da un lato offre un ulteriore spinta democratica, in linea con le volontà delle subculture, dall’altra compromette il concetto stesso di inclusione perché il lusso è per definizione esclusivo. Si è arrivati ad imporre un concetto di dress code proprio nell’unico posto dove i codici vestiari sono sempre stati criticati, nonostante questo dress code nei club berlinesi risulta essere spesso più flessibile rispetto ad altri luoghi nel mondo. 

Adesso le persone si vestono per andare alle serate techno in base a come pensano che dovrebbero vestirsi, in una sorta di omologazione necessaria, mentre in origine questi spazi erano esattamente per le persone che non desideravano adattarsi. Non è un caso dunque che per lo show al Berghain di Bottega Veneta, Daniel Lee fu criticato per aver portato la sua visione iper-capitalista e omologata in uno spazio inclusivo e democratico, con una dura selezione all’ingresso, ma non secondo criteri economici. 

Da underground a mainstream: i social e il techno turism

Ad accendere un ulteriore riflettore sul panorama techno di Berlino sono stati i social. La selezione all’ingresso dei club più famosi sui social media come TikTok e Instagram ha dato vita a video di utenti in cui suggerivano l’outfit più adatto per garantirsi l’entrata nei club. Tra suggerimenti per gli acquisti e abbinamenti consigliati, questi contenuti hanno parallelamente aumentato il buzz mediatico e le aspettative attorno alla scena techno berlinese. 

D’altra parte, anche se all’interno dei club le fotocamere dei telefoni vengono oscurate per evitare la diffusione di video e foto, il crescente successo degli eventi techno in tutto il mondo e lo stesso mistero che aleggia attorno ai club celebri, contribuisce ad aumentarne l’appeal. Questa dinamica ha dato vita al techno turism con turisti provenienti da tutto il mondo per provare l’esperienza dei club di Berlino e documentarla sui profili social aumentandone la desiderabilità.

L’attuale scena techno di Berlino – il Berghaim resta un punto di riferimento

Nonostante Berlino e i suoi club si stanno ritrovando a fronteggiare lunghe file fuori dai club e un’estetica stereotipata, l’attuale scena techno resta attrattiva con un successo che, complice la dichiarazione Unesco, è destinato a rafforzarsi. Nonostante alcuni cambiamenti nel corso degli anni, come la chiusura di alcuni club storici e l’aumento dei costi della vita, Berlino continua ad attirare artisti, dj e appassionati di musica da tutto il mondo confermando un panorama unico nel suo genere. Alcuni dei club più famosi e influenti includono il il Tresor, il Watergate e il KitKatClub, che non sono solo dei semplici club, ma istituti della cultura techno, dove anche gli artisti emergenti possono esibirsi accanto a nomi leggendari della scena nel tentativo di mantenere l’idea dell’inclusione.

Su tutti, il Berghaim resta però quello più noto e per cui sono previste maggiori ore di attesa, oltre che criteri di selezione più rigidi, seppur sconosciuti. Il club sorge all’interno di una vecchia centrale elettrica riconvertita, che gli conferisce un’atmosfera industriale e suggestiva. All’interno, il Berghain offre una vasta pista da ballo con un sistema audio di alta qualità, un sound system che è stato descritto come uno dei migliori al mondo per la sua nitidezza e potenza. 

Berlino e la musica techno: storia della club culture

Quando alla fine degli anni Ottanta la caduta del muro di Berlino diede il via libera ai giovani del lato Est ad organizzare feste nelle centrali elettriche abbandonate, nei magazzini e nelle stazioni sotterranee, le strade del capoluogo tedesco pullulavano di ragazzi vestiti con sneaker e calze a rete, tracksuit e berretti, maglie nere e occhiali da sole dalle montature allungate. In quegli anni Berlino era diventata un rifugio per stili di vita alternativi: artisti, musicisti e intellettuali si sono riversati per decenni nella città post bellica in cerca di libertà ma anche di convenienza, dal momento che dopo la guerra il costo della vita berlinese era basso. Laddove in America la subcultura giovanile del clubbing si rifletteva nell’estetica dello Studio 54, massimalista e contraddistinta da paillettes e lustrini, a Berlino la medesima spinta giovanile si traduceva invece con look dark, minimali ma allo stesso tempo vicini all’estetica BSDM. 

Come in altre occasioni, la moda per la cultura techno è stata terreno di identificazione e riconoscimento. Una rivendicazione che era prima sociale, poi pragmatica. Il clubbing e la musica sono da sempre due degli elementi che più hanno influenzato la moda. Ma negli ultimi anni, alcuni fenomeni sociali e il crescente successo della musica techno hanno messo in discussione questo binomio. Il legame tra moda e musica techno è infatti entrato in un cortocircuito che vede un movimento in nuce anti conformista scontrarsi con un fenomeno figlio del capitalismo. Così il legame tra la vita notturna e la moda di Berlino, considerate un tempo alleate e reciprocamente necessarie alla propria affermazione, potrebbe in realtà essere problematico perché l’ascesa della moda dei grandi conglomerati del lusso, incentrata sullo status, sul profitto e prodotta in serie, è in contrasto con l’eredità divisiva della techno e dell’estetica della capitale tedesca.

La nascita della musica techno a berlino come risposta anti-conformista alla globalizzazione 

Così come New Orleans è associata al jazz, Kingston al reggae e New York all’hip-hop, Berlino è associata all musica techno. Divenuta colonna sonora della liberazione della città dopo la caduta del muro, le origini della techno affondano le radici a Detroit, quando già negli anni Settanta alcuni musicisti si riunivano per sperimentare musica ottenuta da dispositivi elettronici. Il primo ad utilizzare il termine techno per quella che si diffuse nei dancefloors di Detroit come musica da ballo è stato il dj americano Juan Atkins nel 1989 quando pubblicò la traccia Techno City

Sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, questo genere musicale raggiunse il successo anche in Europa, soprattutto in Gran Bretagna, Olanda, Belgio fino ad arrivare in Germania. In particolare, la zona Ovest della Germania risentiva delle influenze occidentali, le persone godevano di maggiore libertà e la cultura anti militarista era terreno fertile per le sperimentazioni artistiche. In questo panorama, la musica techno trovò lo spazio necessario per svilupparsi e qui, per mano del dj Dr.Motte, nacque il LoveParade, l’evento di musica techno più rilevante in Europa fino al 2010, anno in cui fu cancellato per sempre per motivi legati alla sicurezza dei partecipanti. 

Alla caduta del muro, la musica techno si diffuse a macchia d’olio. Gli edifici vuoti e abbandonati della zona Est divennero i luoghi prescelti dei rave notturni dove risuonava musica composta con strumenti elettronici, degli incontri tra creativi che davano poi vita a gallerie d’arte, eventi e persino pub. A segnare questa ritrovata libertà e la nuova unione era proprio la musica techno che da quel momento in poi divenne la colonna sonora dell’unificazione berlinese. Un’unione vissuta all’insegna della libertà di espressione, dell’anti capitalismo e dell’anti conformismo. 

La techno culture diventa patrimonio Unesco

Dagli anni Novanta ad oggi, il successo e la risonanza mediatica della musica techno di Berlino è stato un crescendo progressivo e costante. L’aumento dell’affluenza fuori dai club e il conseguente aumento dei costi di gestione di quest’ultimi hanno portato diverse associazioni di settore, guidate dal dj Dr.Motte e dal team di Rave The Planet, a richiedere maggiore tutela da parte delle istituzioni. Il fenomeno dei rincari ha coinvolto l’intera capitale tedesca, tanto quanto i suoi club al punto che gli addetti ai lavori hanno coniato il termine Klubsterben, ovvero “la morte dei club”. 

L’appello è stato accolto lo scorso 14 marzo, quando con una nota ufficiale, l’Unesco ha inserito la scena techno di Berlino nel registro del patrimonio culturale immateriale. La decisione arriva dopo una richiesta avanzata nel 2020 dalle associazioni che riscontravano la necessità di ricevere finanziamenti e tutele fiscali al pari delle altre attrazioni artistiche del territorio. La designazione consentirà ai club techno di accedere ai finanziamenti e al sostegno del governo soprattutto a seguito dell’innalzamento degli affitti.

Il registro del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco sostiene forme di espressione culturale legate alla creatività umana, tramandate di generazione in generazione e in continua evoluzione. La musica, la danza e il teatro rientrano tutti in questa categoria, e ora anche la techno in quanto aspetto culturale che ha contribuito alla trasformazione della città di Berlino.  

«Da più di trent’anni la techno è fondamentale nella nostra capitale, anche per molte persone che vengono a Berlino dall’Europa e da tutto il mondo. Per molti anni, la cultura techno di Berlino è stata sinonimo di valori come diversità, rispetto e cosmopolitismo. Fa parte della ricchezza culturale del nostro paese, come sottolinea questa inclusione nella lista del patrimonio culturale immateriale», ha dichiarato in un comunicato la Ministra della Cultura tedesca Claudia Roth. 

Flavia Iride

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

SFOGLIA
CONDIVIDI
Facebook
LinkedIn
Pinterest
Email
WhatsApp
twitter X