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Da Guy Debord alla fotografia di passeggio: psicogeografia e psico-geologia

Giulia Bernardi nell’Archivio Antropologico colleziona sovenir naturali – la camminata diventa esercizio e fatica del corpo per affrontare lo spazio. L’atto artistico non è solo intellettuale

Cos’è la Psicogeografia – da Guy Debord alla fotografia contemporanea

Lo spazio urbano non è uno scenario neutro in cui si svolgono le attività umane, ma piuttosto un luogo carico di significati psicologici, sociali e politici – questo sostiene la psicogeografia, concetto sviluppato dal filosofo e teorico sociale francese Guy Debord negli anni Cinquanta e Sessanta del Ventesimo secolo. Si tratta di un approccio alla comprensione dello spazio urbano che esplora l’interazione tra l’ambiente fisico e l’esperienza soggettiva, concentrandosi sul modo in cui l’ambiente circostante influenza le emozioni, i comportamenti e le percezioni delle persone.

Guy Debord e altri situazionisti, come Henri Lefebvre e Constant Nieuwenhuys, esploravano il concetto di derive, ovvero passeggiate senza scopo preciso attraverso la città, che permettevano di cogliere aspetti nascosti e imprevisti dell’ambiente urbano. L’obiettivo principale della psicogeografia è quello di esplorare e rivelare le dinamiche nascoste delle città, svelando le strutture del potere, le tensioni sociali e le contraddizioni spaziali che sono presenti nell’ambiente urbano.

Giulia Bernardi fotografa camminando

«Le mie camminate sono un modo per calpestare il mondo ed esplorare i luoghi sconosciuti o riscoprire quelli già conosciuti attraverso nuove interpretazioni. Si tratta di una forma di meditazione, un modo di fare arte attraverso il corpo». Giulia Bernardi mette al centro della sua pratica fotografica l’atto di camminare: da ogni passeggiata sccaturisce una serie di immagini che sembrano ricordare le passeggiate situazioniste parigine degli anni Cinquanta del Novecento.

Il metodo della camminata diventa un esercizio alla meraviglia, un pò alla volta ci si dimentica della conoscenza, del tempo e del suo scorrere veloce, per rallentare e farsi trasportare dallo stupore. Lo sforzo fisico, la fatica del corpo all’interno dello spazio per riuscire ad affrontarlo, allontana da quell’idea che l’atto artistico debba essere qualcosa di esclusivamente intellettuale, intangibile. Per Giulia Bernardi infatti la creatività è pratica e fisica, così come l’immagine che sceglie nel suo medio formato del rullino analogico, un oggetto con cui si deve entrare in contatto e che si pone in contatto con le altre forme della natura.

Giulia Bernardi fotografa sentimentale

Giulia Bernardi, nata a Casale Monferrato in Piemonte nel 1990, ha vissuto per molti anni a Milano dove ha iniziato ad approcciare la pratica fotografica da autodidatta, per poi studiarla al CFP Bauer nel 2020, abbracciando il medio formato e la fotografia analogica. Oggi, lontana dal ritmo cittadino e dal lavoro negli studi di moda, vive in un paesino di pescatori nel mare della Liguria dove, senza considerare i flussi turistici, si contano un centinaio di abitanti. 

Il cambiamento radicale di luogo è funzionale anche alla pratica artistica, racconta Giulia. Il suo sguardo è da sempre influenzato da una «relazione di tipo sentimentale con la natura, il paesaggio, il mondo non umano e i paesi». Il luogo di cui si circonda l’artista diventa parte integrante della sua pratica che si manifesta sempre di più come atto fisico oltre che come pensiero. 

«Catalogo con gli occhi e con le mani ciò che mi circonda. Scrivo, cucio, ricamo. Mi interessa l’identità dei luoghi e la relazione di questi con le persone, focalizzando il rapporto tra paesaggio interiore, parola scritta e scena manifesta».

La fotografia come strumento di scambio

Nell’immaginario di Giulia Bernardi c’è un’influenza reciproca tra il paesaggio e la strumentazione fotografica: ecco che spesso l’artista introduce elementi legati ai materiali fotografici, come lo specchio o lo scatto da remoto, palesandoli e mescolandoli all’interno del paesaggio. Si crea così uno scambio, come se anche il mezzo fotografico ed i luoghi naturali facessero parte di uno stesso grande sistema: forse un sistema utopico, come racconta, dove esiste ancora la speranza di rallentare e far rallentare le immagini al ritmo del paesaggio. 

Nonostante la consapevolezza della velocità che hanno raggiunto le immagini «senza più uno spazio delimitato ed un tempo definito», e della loro dissoluzione inarrestabile, Giulia Bernardi crea l’illusione di aver congelato la fotografia nella natura e la natura nella fotografia. Una situazione sospesa, simile ad un ricordo, un souvenir. 

Cosa significa psico-geologia – il concetto espresso da Giulia Bernardi

La ricerca visiva di Giulia Bernardi  si fonda sul concetto di “psico-geologia”, sulla scoperta dell’identità dei luoghi e della loro relazione con le persone. Il paesaggio esteriore è costantemente condizionato da quello interiore di chi lo attraversa. Lavorare sul terreno quindi, diventa lavorare sui propri sentimenti, memorie, archivi familiari.

Il progetto fotografico Archivio Antropologico

Il progetto fotografico iniziato nel 2020 ed esteso in diverse forme, si intitola Archivio Antropologico: una catalogazione ed esperienza sensibile dello spazio che, a differenza del tempo, può essere attraversato e riattraversato continuamente, lo stesso luogo può trasformarsi ad ogni passaggio nelle sue molteplici estensioni. Ad accompagnare questa esperienza ci sono la camminata,  il desiderio di toccare con mano e di raccogliere ed archiviare visivamente la natura che ci circonda.

La scelta dei luoghi da fotografare si lega ai ricordi personali di Giulia, quelli che ha vissuto quando era bambina, che riconosce nel tempo, ma anche alla scoperta di nuovi spazi, attraversati per la prima volta, a patto che «si crei da subito una connessione viscerale ed energetica». Giulia Bernardi li chiama «luoghi della meraviglia, oppure del timore o dell’ansia, il fatto di attraversarli serve a superare le sensazioni negative e scoprire quelle positive».

Giulia Bernardi: fotografia analogica in dialogo con la natura in Archivio Antropologico

La natura, se si considera qualcosa di diverso da noi, può sembrare spaventosa, in realtà fa parte di un sistema dove convivono umano e non umano. Archivio Antropologico nasce come uno strumento per dialogare e conoscere il paesaggio. All’inizio scattando in maniera quasi inconsapevole e del tutto sperimentale, si trasforma per Giulia Bernardi in una pratica sempre più costante, simile ad un diario da tenere aggiornato, un rituale quotidiano.

La fotografia analogica è utilizzata come mezzo di ascolto e di analisi per interpretare il linguaggio dei luoghi attraversati, delle pietre raccolte, delle foglie, gli alberi, il mare. «Sono luoghi che parlano e che ascolto e che condivido attraverso le fotografie per vedere se c’è qualcuno che è attratto dalla voglia di trovare un linguaggio che sia intimo e universale per poter interpretare l’alfabeto della natura».

L’umano si intreccia con il non umano, le immagini scattate nel presente dialogano con le memorie e le esperienze passate, i sogni con l’archivio che cataloga tutti gli esseri dell’ecosistema. Archivio Antropologico è il tentativo di unire tutti questi elementi dialoganti: la fotografia, così come la poesia, la sottolineatura, il ricamo, sono solo strumenti di analisi. 

Giulia Bernardi riscrive la storia dei luoghi 

L’archivio “antropologico” che mano a mano si arricchisce: è costituito da una parti visiva, una sensitiva ed una parte fisica, fatta di elementi raccolti durante le escursioni dell’artista: legni, foglie, rocce vengono fotografati, catalogati e conservati, per comprendere il ritmo del paesaggio ma anche per «portare fuori e avanti dal suo contesto la memoria dell’oggetto, oppure per dare loro nuovi significati» che appartengono alla sfera intima e privata di chi li custodisce. 

Giulia Bernardi sceglie i luoghi per una pura attrazione geologica (quella “psico-geologia” di cui detto all’inizio) e rintraccia nella loro morfologia le storie, i miti che li hanno accompagnati per riscrivere una narrazione comunemente comprensibile. Come dice la fotografa stessa Archivio Antropologico è un progetto a lungo termine, forse lungo una vita, una pratica che diventa parte della vita stessa, in maniera sempre più meticolosa, quasi ossessiva. Nella conoscenza del terreno poi si attraversa la conoscenza di se stessi, per riscoprirsi parte dei luoghi che viviamo e raggiungere un livello universale di coesistenza. 

Claudia Bigongiari

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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