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Baumanière Le Manor - la vasca in pietra sotto i platani
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La Nostalgia è Ruvida: da Fitzgerald a Le Corbusier, contando gli alberi

Ci piace tutto quello che è Ruvido: le rocce rosse e le notti di Fitzgerald, passando per Marsiglia e attraversando la Provenza, fino al Luberon: per le strade, filari di alberi, platani, querce e tigli

La Costa Azzurra, un romanzo, un amore ruvido

Tender is the night è la storia di una paziente psichiatrica. Il romanzo che catalizza l’immaginario di una Costa Azzurra. Un romanzo crudo, ruvido: quasi sembra si prenda gioco del titolo che Fitzgerald decise. L’amore è ruvido – lo fu quello tra Zelda e Scott – e così è la Costa Azzurra in autunno: non più soltanto fiori, lucciole e sedie di vimini su terrazze Déco per il suono di un violino – ma scogli, rocce, sale, il bianco del sole e del suo riflesso a mezzogiorno, che ti taglia gli occhi in obliquo. Un maglione di lana pesante, ruvido sulla pelle nuda, appena si avvicina il tramonto. Qui si arrivava per trascorrere l’inverno, non l’estate. Prima di ogni poesia, mettiamo subito in conto come – appena oltre Ventimiglia – un cappuccino riesca a diventare melma e un bidet si trasformi in una domanda atavica.

Costa Azzurra: Les Roches Rouges, un vetro ruvido, un divano di Ueli Berger e il richiamo Bauhaus – la stanza 206, le rocce rosse, la piscina di acqua di mare

La macchina si ferma davanti a Les Roches Rouges. La struttura in cemento è imbiancata a nuovo, color crema. Uno stile anni Trenta – le porte sono ante di vetro opaco e rifrangente, non trasparente: quel vetro che se guardi attraverso riconosci solo le ombre delle sagome. Un vetro ruvido: ancora più nel dettaglio, il vetro è rigato, scanalato a listelli, per frazionare la luce. Può sembrare l’entrata di un museo – solo un tavolo di legno al posto di quello che di solito è un banco. La ripresa Bauhaus è un divano in pelle di Ueli Berger, color cammello, a moduli sottili – serpentato, l’intercapedine tra i moduli permette il movimento come fossero spire.

La scena si sposta nella stanza 206 – una delle stanze più belle dell’albergo, ci spiega chi ci accompagna. È una frase tipica, che si rifila agli ospiti – ma io controllo la piantina del piano dietro la porta a indicare i percorsi di fuga – e sì, la mappa conferma, la camera 206 è la più ampia del piano. Le finestre si spalancano, e il mare è qui sotto come ti aspetti in Costa Azzurra: le onde si spaccano in linee cubiste, la salsedine sale – e come in ogni film che si voglia continuare a guardare, la scena nella stanza 206 prevede un’attività sessuale.

Costa Azzurra: Les Roches Rouges: il rosso striato e ruvido

A Les Roches Rouges le rocce sono – logicamente – rosse. Un rosso scuro, tra il sangue e la carne, con striatura di carminio e di magenta, toccando gli estremi scuri del legno. Si chiama Costa Azzurra – questo rosso sembra un’altra presa in giro voluta da Fitzgerald – ma se provate a immaginarlo, il rosso striato e ruvido – come fosse emoglobina seccata – è proprio questo rosso ad aumentare per contrasto il blu del mare. Esagera l’azzurro, con qualche contorno viola. Il rosso è acceso quando i raggi solari lo attaccano di petto, quasi a eccitarlo – ma quando il sole inizia a scendere nel pomeriggio di ottobre di un’estate che sembra non finire mai, e che si quieta nell’ombra. 

Un molo è una piattaforma con asse in legno che si spinge verso il mare. Un dito medio all’opulenza di tanti altri alberghi troppo decorati, troppo leziosi. Una piscina di acqua di mare sembra sia una diga che intrappola l’acqua salata, quando le onde esagerano – invece è costruita dall’ingegnere: la salinità concentrata aumenta il sapore del mare come se sussistesse il lavoro del filtro di un mollusco – o di quel polipo che si muove tra la spuma. 

Settembre e ottobre sono i mesi migliori per viaggiare lungo tutto il Mediterraneo. Da qui, da Les Roche Rouges, sono due ore di macchina per arrivare a Marsiglia.

Viaggiando verso Marsiglia: i filari di alberi lungo le strade, la forestazione in Francia

L’ammirazione diventa invidia per come la Francia sia in anticipo rispetto all’Italia in abilità di piantumazione. Ovunque, viaggiando verso e intorno la Provenza – che siano autostrade o provinciale – i filari di alberi si alzano ai bordi delle strade. Platani secolari o tigli posati qualche anno fa – in quasi ogni strada in Francia c’è una cura. Così vedi una Francia che è in vantaggio rispetto all’Italia. Lombardia, Toscana o Sicilia – non troviamo la stessa ombra, vicino alle grandi città, intorno alle zone industriali, entrando nei borghi storici. Arrivando a Marsiglia, immaginavo di trovare un’area logistica con una tipica scarsa qualità urbana – mentre le campagne entrano fino a oltre il casello urbano. 

Il dettaglio ruvido, l’architettura di Le Corbusier, le Unité d’Habitation, la Citè Radieuse

A noi non piace il decoro; non ci interessa l’opulenza – lo scrivo già qui sopra e forse mi ripeto. A noi interessa la pulizia della linea, il dettaglio ruvido, la crudezza dei materiali; l’architettura come scienza del vuoto e del volume. A Marsiglia, Le Corbusier progettò le Unité d’Habitation. Proviamo a contare i piani e dividere ogni cella abitativa per un colore che si ripete – giallo, verde, rosso e blu. Sembrano i toni più comuni e mantengono una punta di opacità che, ancora, sembra uno snobismo verso le tinte più sgargianti arrivate in tecnologia e a seguire. Le celle abitative sono su due piani – l’altezza di ogni piano è studiata su una sagoma umana che troviamo stilizzata all’ingresso, come fosse un geroglifico per ogni architettura non più primordiale, ma prioritaria. Provo a incastrare il mio corpo dentro la sagoma disegnata da Le Corbusier – io sono alto quasi un metro e ottanta. Le Corbusier mi avrebbe pensato più alto. 

L’edificio è un condominio residenziale – un tempo popolare. Oggi gli appartamenti hanno una reputazione più elitaria. Il terzo e il quarto piano sono previsti per il pubblico: camminando per quello che sarebbe lo spazio comune, corridoi e scaloni, alcuni vani sono negozi: una gioielleria, una libreria, una galleria di design. Un bar e un ristorante, anche un albergo che gestisce come camere alcuni bilocali del palazzo. I tagli, il legno strutturale, il vetro l’acciaio – ancora, sempre colori opachi. Purple Magazine, il semestrale di Oliver Zahm che su Parigi equivale a quanto Lampoon è per Milano, ha condotto un progetto espositivo in questi spazi. All’ultimo piano, la Citè Radieuse: moduli diversi erano stati progettati per una villa residenziale che in parte sussiste. Il lato est non è accessibile. Sbirciando tra gli angoli, riconosciamo una piscina e un tavolo apparecchiato.

Marsiglia, il Tuba Club, le cabanon, lo scoglio ruvido e i tavoli sulle rocce: Jacquemus, l’immaginario in un racconto personale

Il Tuba Club ha solo otto stanze. Il pavimento è un opus incertum di marmo bianco. Un tempo era un centro per le immersioni e per la pesca da roccia – oggi potrebbe essere un ostello invece è un beach club. Si dorme nelle cabanon, minuscole, davanti alla cucina. Una vita da scoglio, dove i piedi si tagliano con schegge di vetro e punte di ferro (con una pinza e un ago, bisogna anche ricordarsi di toglierle prima di sera). Non c’è ombra, ma c’è un ritmo e una rima di vento e sale – poi il vento sale, oltre al sale, l’onda si rompe – e in un momento sei fradicio. Bagnato e zuppo senza neanche esserti tuffato. 

Tanto vale, ti tuffi nella corrente che quasi a riscatto ti rigetta sulle rocce appuntite, nuoti, un po’ allargo, per non graffiarti – poi aspetti che il moto dell’onda scenda prima di ricaricarsi, rapido, ti avvicini alla scaletta e risali senza scivolare. La vita al Tuba Club non è una vita semplice – ma ruvida, ed è per questo che anche il Tuba Club rimane tra le nostre raccomandazioni. Non è facile trovare una camera, bisogna prenotarla almeno un mese prima – e forse è più consigliabile una stanza nella villa, piuttosto che queste cabanon sulle rocce. Vale il tramonto che proprio sulle asperità diventa acido, violento – non così scontato nel Mediterraneo – e quindi romantico.

Marsiglia non è più Costa Azzurra – quando meno non per immaginario – ma non è neanche la Brest di Querelle. Un marinaio con pochi scrupoli di cui ancora tutte e tutti si innamorano, perché con uno così non basta una notte ma serve un po’ di sentimento, prima che ritorni dall’unica donna che possa mai amare. Jacquemus ha decifrato l’immaginario nel suo racconto personale – è Jacquemus stesso a ricordare quel marinaio peloso e muscoloso che fa smaniare gli eccitati – mentre Jacquemus ripete come l’ispirazione di tutto sia sua madre in Provenza. 

Da Arles ad Avignone, l’Hotel Particulier – i gargoyle del Palazzo dei Papi

Nell’ultimo secolo, l’Arena di Arles ha ritrovato la sua conformazione liberandosi dalle case popolari che erano state costruite appoggiandosi ai suoi pilastri. Qui a vivere arrivano ragazzi italiani, artisti invasati dal delirio di Van Gogh, apprendisti del profumo. L’Hotel Particulier, il nome ne racconta l’origine e la dimensione di casa abbiente: la piscina in pietra è nel giardino, nell’ombra degli alberi. I tavolini in ferro sono un angolo per il computer. Ad Avignone, alla ricerca di demoni, streghe e angeli feriti tra i gargoyle del Palazzo dei Papi, corvi e mostri che ti guardano dall’alto di quelle mura strapiombi sul fiume. Se il diavolo volesse tentarti ancora, ti porterebbe lassù a guardare il mondo, a prometterti dartelo a tuo dominio se in cambio lo adorerai (e forse, proprio così andò quando Clemente VII si azzardò a lasciare Roma).

Verso il Luberon: il villaggio del Baumanière, le albicocche – e la ricerca del Ruvido e quanti alberi

Il Baumanière è un villaggio provenzale trasformato in un albergo che si estende su venti ettari di terreno. La camera sarà la numero 15 del le Manor – è la camera che tutti vorremmo trovare durante un viaggio nella Provenza ruvida: non stiamo cercando lusso, non stiamo cercando luoghi dedicati alla cultura americana – ma stiamo sperando di trovare quel sapore francese. Il profumo di fiori verdi e di ulivi, i saponi di olio e lavanda. Un piatto di fichi e prugne mature è sul tavolo. Un giardino all’italiana è romanzato da alcune rotondità inglesi, perdendo la simmetria manierista. Le ortensie e quanti alberi: tigli, pitosfori, robinie – le gradazioni di verde. Un tavolo sotto una chioma ad albero ti fa sentire a casa, come quando c’è solo aria e pace. 

Altre zone del villaggio, al Baumanière, sono intervallate da troppe strade asfaltate. Il ristorante La Cabro d’Or sembra un luogo corporate. Un manager dello staff ci accompagna a visitare la proprietà: ci parla della regina Elisabetta, che è stata qui, così come Grace Kelly. Ci parla dell’amicizia del proprietario con il presidente Pompidou. Tutte informazioni che ritiene possano interessarci – mentre io trovo un vetro nel giardino – mi chino per raccoglierlo – il manager balbetta un grazie perché percepisce che un vetro tra l’erba non sia qualche cosa peggio di un’inconveniente.

Il Luberon, Lourmarin – una pedalata in bicicletta come Marillon Cotillard in A Good Year – una stanza a Le Galinier: le strade hanno sempre un filare di alberi

A Lourmarin, sulle pendici del massiccio del Luberon, prendiamo le biciclette. Il vento è il respiro del sole – che alle quattro di pomeriggio ti guarda la fronte, accarezzandola, senza bruciare. Lasciando la strada principale e scendendo su un sentiero sterrato tra le vigne, passiamo vicino alle cascine, alle case di campagna che hanno sempre un albero a far loro ombra – un fico, una quercia. Le strade hanno altri filari di alberi. Rientriamo su una strada più stretta, ancora più ombrosa, che scende a valle – senza ripidità. Le colline rimangono morbide come seni di quell’amica che ti ha insegnato tutto. Sulla destra si apre un viale di platani, e sul fondo un cancello per un castello francese. 

Ridley Scott aveva girato A Good Year con Russell Crowe in questa zona, tra Lourmarin e Bonnieux, passando da un versante all’altro del Luberon. Marillon Cotillard andava in giro pedalando come abbiamo fatto noi. La campagna è tra le immagini di quel film: le case color ocra che mantengono una anche se pur minima, dignità aristocratica. Una ricchezza decaduta, quando i contadini sono più eleganti dei signori, oppure più sensuali. È un gioco di ombre, tra le fronde e le foglie – e di profumo di frutta. Pesche, fichi, lamponi – in ogni angolo di questa terra, trovi un bancale di frutta fresca. A differenza del film non ci sono gli scorpioni – ma come in quel film, ci si innamora.

Un fontanile in pietra è all’ingresso de Le Galinier: una stanza grande, con il soffitto a cassoni in legno che sopra il letto lascia il volume per una volta. Due porte finestre affacciano in giardino. Alcune ceramiche del pavimento sono sbeccate, come piacciono a chi scrive. Ruvide, nel caso non si fosse compreso il concetto. 

Carlo Mazzoni

Arles, fiori che crescono per le vie del centro
Arles, fiori che crescono per le vie del centro
Le Galinier a Lourmarin, Luberon - la vasca in pietra
Le Galinier a Lourmarin, Luberon – la vasca in pietra
Baumanière Le Manor - il vecchio edificio
Baumanière Le Manor – il vecchio edificio

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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