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Dal Festivalbar a Sanremo: le canzoni dei Millennial

Una conversazione con chi ha dieci anni meno di me: dal Festivalbar a Sanremo – i millennial, le canzoni per un’estate e le canzoni che rimangono per sempre

Il Festivalbar e la prima sera d’estate: Biagio Antonacci, la Vanoni e le canzoni evergreen

Erano le sere in cui le finestre rimanevano aperte, quando la luce alle otto di sera ci stupiva dopo i mesi di ora solare. Le nuove zanzare, il profumo delle rose, il vociare delle persone sedute ai tavoli in strada del ristorante, sotto la finestra della cucina. La televisione accesa, la prima sera del Festivalbar era la prima sera d’estate.

Biagio Antonacci, nel 1999 cantava Quanto tempo e ancora, una bellezza da calciatore, esile vestito da Armani. Questa canzone è stata poi incisa da Ornella Vanoni diventando una tra le canzoni per sempre: in gergo da pianobar, si chiamano evergreen. Quelle canzoni che oltre al successo della stagione persistono diventando patrimonio popolare – producendo diritti Siae, trasformando l’autore da sognatore a investitore immobiliare (tutti i cantanti che hanno guadagnato hanno investito in immobiliare).

Un Millennial e la Stryxia al Varietà

Il ragazzo con cui ho elaborato questo argomento ha dieci anni meno di me. Conosce le canzoni – quelle che non conosce sono l’argomento delle prossime righe. Un ragazzo che può vantare cultura musicale dagli Anni Sessanta a oggi, in Italia, Inghilterra e America (come tipico contrappasso, è fortemente stonato). Potrebbe dar competizione alla Stryxia che governa le notti al grido di Applausi ogni sabato al Varietà. Se il Festivalbar apriva l’estate, la primavera era già cominciata in anticipo a fine febbraio, subito dopo Sanremo. 

I Millennial ascoltano Elisa – mentre i cantanti dei talent sono come gli influencer

Quando hai vent’anni le canzoni ti modificano la percezione della realtà, le ascolti a repeat come se potessero non stancare mai. I Millennial ascoltavano Elisa ben prima che arrivassero i ragazzi usciti dai talent – che appaiono loro come una musica di seconda categoria. Per i Millennial, i cantanti usciti dai talent televisivi sono l’equivalente degli influencer: in inglese li chiamano wannabe, gente che appare ma che poco sostiene. Gente che si muove per strategia invece che impegno, per furbizia invece che per energia. C’è un’analisi razionale: in un programma televisivo, sia il cantante sia la canzone sono scelti in un’ottica di spettacolo e intrattenimento, non solo per la qualità musicale e discografica. 

Qualità musicale e industria discografica

La discografia è un’industria che rende commerciale la musica, ed è lecito che oltre al ragionamento professionale di un musicista – l’abilità e il talento, la sincerità dell’intento, la ricerca e la sperimentazione, il messaggio umano e artistico – la discografica valuti il pacchetto e il contesto: la bella faccia e il bel corpo, il carisma, l’empatia e la furbizia. Se la discografia lavora in televisione, questi assetti che dovrebbero essere un contorno, possono diventare prioritari. 

La musica e la televisione: da Raffaella Carrà ai Telegatti – Michael Jackson e Pavarotti

Questo non significa togliere valore culturale alla musica scritta per la televisione. Raffaella Carrà è un’icona, non come cantante. Fiorello è un simbolo anni Novanta. Lorella Cuccarini e La Notte Vola, Heather Parisi con Mordi e mangia mele verdi – fino a alla sigla per i Telegatti, Sorrisi is Magic. La televisione italiana, sia quella di stato sia quella commerciale – sei reti in tutto – era un melting pot di personaggi che oggi sembrano mostri di splendore. Mike Bongiorno con le sue gaffe, la gentilezza di Corrado che diventava sornione, la poesia borghese di Sandra e Raimondo. Entravano al Teatro Nazionale di Milano: Robert De Niro nel 1991, Sharon Stone nel 1993, Michael Jackson nel 1997. Quanti altri. In quegli anni, Pippo Baudo regnava all’Ariston. Pavarotti portava Mariah Carey e Celine Dion in Italia.

I cantanti dei Millennial, Tiziano Ferro, Elisa e ancora Mina – per la generazione X, una frase di Ambra

Per i Millennial, i cantanti che esplosero nei loro stessi anni – ovvero fine Novanta inizio Duemila – sono due: Elisa e Tiziano Ferro. Per i Millennial, rimane il rispetto per Battisti, per Celentano, Lucio Dalla – con meno entusiasmo, rimane Ligabue – mentre le pupille si illuminano per le sei dive: il velluto di Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo; il graffio di Mia Martini, Loredana Bertè, Gianna Nannini. 

Sono solo Mina e Ornella Vanoni ad avere il potere di trasformare una bella canzone in una canzone per sempre, in una evergreen. Possono bastare le citazioni di Mina con Oggi sono io di Alex Britti, Ornella Vanoni con La mia storia tra le dita di Grignani. A Mina si riconosce una considerazione che nessuno potrà mai avere – il prezzo è stato sparire. La sua ultima apparizione è del 1978 alla Bussola di Forte dei Marmi, un anno prima che io nascessi. Io, Generazione X, sono cresciuto pensando che se mai in Italia ci sia stata una regina, questa regina è Mina. 

Per noi della Generazione X – e anche per chi prima di noi – non si trattava solo di musiche diverse. A chi piaceva Baglioni non piaceva Vasco. La differenza era simile a quella che Gianni Boncompagni suggeriva ad Ambra tramite l’auricolare: il diavolo sta con Occhetto, Il Padreterno sta con Berlusconi. Ascoltare Baglioni o ascoltare Vasco significava definirsi, se non addirittura schierarsi – tutto questo sparisce per un Millennial: «Tra Baglioni e Vasco?» – gli chiedo. «Baglioni è trascorso» mi risponde, «Vasco, magari, resiste».

Anni Novanta – musica pop e autoriale

Chi aveva dieci anni a fine anni Novanta può liquidare nomi che per chi come me ne ha oggi dieci in più, rimangono dediche. Artisti come Morandi, De Gregori, Cocciante non permangono nel loro imaginario. Gli altri siamo noi di Tozzi non se la ricordano. Samuele Bersani era precedente. «Sì, va bene, andiamo oltre» anche per Eros Ramazzotti – e addirittura per Zucchero. Con loro si può parlare di Pavarotti, ma non di Andrea Bocelli. Si riconosce Pausini come fenomeno popolare. Per Cremonini è stato una sorpresa il recente riscontro di pubblico allo stadio. Cantanti come Irene Grandi e Nek non trovano proprio alcuna considerazione per questo esemplare di Millennial, fin troppo acculturato e un poco snob, in materia di musica pop autoriale.

Un tono diverso emerge quando le canzoni sono scritte per le interpreti: Enrico Ruggieri scrive Quello che le donne non dicono per Fiorella Mannoia – una tra le canzoni che danno corpo alla definizione di evergreen, a Sanremo 1987; sempre Ruggeri firma Mare di Inverno per Loredana Bertè. Ivano Fossati Un’emozione da poco per Anna Oxa – qualcuno diceva che questo brano fu costruito unendo due pezzi scritti in momenti diversi, trovando una elaborazione armonica complessa da musica intellettuale – e un successo popolare perenne. 

Anna Oxa – Sanremo 1999, Gucci e Tom Ford – Marco Mengoni e Senza Pietà

Oggi, su Anna Oxa si produce nostalgia. È difficile seguire i suoi discorsi quelle poche volte che parla, è difficile raggiungerla per un’intervista – come un muro risponde la manager entrando su discorsi di sostanza etica nel giornalismo. Anna Oxa a fine anni Novanta rimane un’immagine per il Millennial: la sua vittoria a Sanremo nel 1999 con Senza Pietà fu una questione anche di moda che oggi riappare. La pelle unta, il vestito di Gucci firmato da Tom Ford, riassunse l’estetica di quegli anni. 

Il glam da discoteca stava cedendo spazio a un disegno: non c’era più l’eccesso di un costume, ma la stilizzazione di un atteggiamento. Tom Ford stava trasformando l’artigianato di Bottega Veneta nell’architettura tessile di Tomas Maier. Era febbraio del 1999, mancavano solo dieci mesi al nuovo millennio. Anna Oxa cantò la canzone scritta da Alberto Salerno – ci furono critiche, un successo relativo. Non sono sicuro si possa definire Senza Pietà una evergreen – e nel caso lo fosse, una evergreen a motore lento. 

Alla soglia di Sanremo 2024, una giornalista chiede a Mengoni quale tra le canzoni di Sanremo gli interesserebbe ricantare – Mengoni indica Cenere dell’anno scorso come a rispetto del suo podio, indica Ciao Amore Ciao che aveva già cantato nel 2013, poi indica Senza Pietà di Anna Oxa. La giornalista rimane perplessa, ma Mengoni è un millennial che possiede cultura musicale più dettagliata della sua. Ha la stessa età del Millennial con cui sto parlando per scrivere queste righe. 

Per i Millennial, Anna Oxa è l’unica diva che hanno intravisto nel loro tempo. Con Senza Pietà, hanno capito chi fosse – e da lì sono andati a ritrovare le altre sue canzoni precedenti. Il mio interlocutore mi gira il link a un video in cui Oxa canta Una carezza della sera insieme ai New Trolls – poi sollecitato sulla scelta dal repertorio, la risposta è Donna con te, Sanremo 1990.

Mia Martini e Loredana Bertè – Stiamo come Stiamo

Mia Martini c’era prima e c’è adesso – non in quegli anni Novanta per i Millennial. Oggi Loredana Bertè si è autopunita con troppa televisione. Le due sorelle insieme cantarono Stiamo come Stiamo a Sanremo nel 1993 – una canzone che sembra oggi da esperti nel settore. Le due sorelle si adoravano la prima serata, litigarono la seconda, arrivarono penultime in classifica. Difficile trovare un video di quelle esibizioni: la canzone, quando riappare, quando te la ricordi, suona come pietra della nostra storia ritmomelodica, e in tanti la sappiamo cantare a memoria, sia i Millennial sia la Generazione X.

Le canzoni per sempre, vogliamo ancora chiamarle evergreen – da Vattene Amore a Infinito e Acqua e Sale

In un’intervista rilasciata da Mogol nel 1994, il paroliere di Battisti si esprimeva sul panorama di quegli anni. Erano gli anni di Mietta in copertina, che Mogol definiva come un’artista rivolta all’indietro. La frase era laconica – ma si può rilevare che neanche la bellezza di Mietta, che ha fatto girare la testa alla Generazione X, non ha avuto effetto sui Millennial. Vattene amore è del 1990 – pur un Millennial è vintage, alla stregua di un inno nazionale e popolare. Primavera di Marina Rei è del 1997. Acqua e Sale (1998), Infinito di Raf (2001).

Gli 883 e le canzoni dell’estate: i gelati, le spiagge, le notti a ballare

Nord Sud Ovest Est usciva nel 1993, aveva un fumetto in copertina: l’Uomo Ragno era stato un successo, ma poteva essere un’esternazione momentanea. Tra le canzoni di Nord Sud Ovest Est, leggendo la lista sul retro della cassetta o del cd, c’era Come Mai, Gli Anni, oltre a Sei Un Mito, Tieni il Tempo. Non era il lavoro di uno con un colpo di fortuna. Gli 883 arrivavano al Festivalbar senza passare da Sanremo.

A fine maggio, si stava sul muretto in piazza San Babila prima di andare al cinema il sabato pomeriggio – le scarpe erano da ginnastica, grandi. Per Mtv arrivavano i Blink e Britney Spears. A giugno si partiva per la spiaggia, a Marina di Massa, i cartelloni dei gelati – Algida, Sammontana o Motta, la Coppa del Nonno, il Cornetto – lo spot del Maxibon con Stefano Accorsi (1995). I ghiaccioli e il Calippo che aveva addirittura una caramella gommosa sulla fondo – a ripensarci adesso, un doppio senso sessuale talmente esplicito che per paradosso eravamo solo noi ragazzini offuscati dagli ormoni a non rendercene conto. 

La notte non si andava in Capannina. In quegli anni Patty Pravo subiva una pausa anche ad agosto. C’erano gli Ace of Base. Sweet Dreams – e poi I revival con Balla per me bella balla, e con Because the Night. What is Love rappresenta per il Millennial quello che Moonlight Shadow rappresenta per me della Generazione X. L’estate successiva, i locali del Forte fecero esposto alle Province e le spiagge di Marina di Massa smisero di fare festa tutta la notte. 

Quella musica dance non sarebbe rimasta se non come costume. Non avrebbe dato letteratura agli anni in cui fu suonata. Questo è il punto focale e la conclusione. Come mai le pellicole dei Vanzina – Vacanze di Natale e Sapore di Mare – hanno saputo trasformare in cultura le canzoni degli anni Ottanta – mentre i film successivi degli stessi registi, i cinepanettoni e Piccolo Grande Amore definirono quegli anni come tralasciabili, trascurabili? Forse addirittura dispersi in un cattivo gusto? La variabile è l’autorevolezza di ogni racconto – che sia un libro, una canzone o un film. L’autorevolezza è la sincerità di un autore al netto di ogni logica commerciale. Al netto di ogni generazione.

Carlo Mazzoni

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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