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L’industria musicale italiana ha un problema di disparità tra uomo e donna

Poco rappresentate, ostacolate nella carriera, escluse dalla contrattazione: a tutti i livelli dell’industria musicale le donne vengono trattate come se lavorassero per passatempo

Women In Music Industry, un’indagine del SAE Institute di Milano 

Venerdì 25 novembre il SAE Institute di Milano ha organizzato un incontro presso la propria sede, nel quartiere Ortica, in collaborazione con Equaly e POCHE Cltv, sul tema del divario di genere all’interno dell’industria musicale, con un’attenzione particolare a quella italiana. L’evento dal titolo Il ruolo della donna nell’industria musicale si è svolto nel corso dell’ultima giornata della Milano Music Week, di cui SAE era educational partner.

L’incontro rientrava all’interno della rassegna Music Insiders, che ha visto la partecipazione di produttori musicali e tecnici di grande talento come IRKO, vincitore di due Grammy Awards come mixing engineer dell’album Donda di Kanye West, e STABBER, produttore che vanta collaborazioni con artisti italiani e internazionali come Coez, Salmo, Motta, Laila Al Habash, Roots Manuva, Junior Cally e Gemitaiz.

L’evento è stato anche l’occasione per presentare al pubblico i risultati dell’indagine del SAE, Women In Music Industry, pubblicata il 4 giugno 2021. La psicologa e docente del SAE, Alessandra Micalizzi, ha coordinato un team di ricerca che, attraverso interviste a quaranta donne che lavorano nel settore musicale, ha offerto una panoramica del gender gap presente nell’ambito. Durante l’evento l’istituto milanese specializzato in industria culturale e creativa ha inoltre offerto due borse di studio destinate a sole donne per i corsi in partenza a febbraio 2023 di urban music production ed electronic music production.

Alessandra Micalizzi: I numeri del divario di genere nell’industria musicale italiana

Secondo l’indagine di SAE, l’industria musicale italiana rappresenta uno dei settori di maggiore impiego delle industrie creative, anzi ne è spesso la locomotrice. Lo dimostrano i numeri: nonostante l’impatto della pandemia, la musica ha segnato anche per il 2020 un aumento percentuale del 7,4% a livello globale e dell’1,4% per il mercato italiano, secondo i dati riportati dalla FIMI, segnando 9,7 miliardi di euro di ricavi da export nella sola Unione Europea e coprendo circa 2 milioni di posti di lavoro, così come riporta il report IFPI MUSIC IN EUROPE 2020.

All’interno di questo quadro, si inserisce il tema della questione di genere che attraversa tutti i settori dell’occupazione, in particolare l’ambito dell’industrie creative. I dati mostrano che le donne sono poco rappresentate in tutti i contesti – da quello della produzione a quello strettamente artistico – e che l’Italia, rispetto ad altri mercati, è ancora indietro sia in termini di consapevolezza che di azione concreta verso il cambiamento. A livello internazionale, nell’ambito della produzione il rapporto uomo/donna è 37 a 1; nell’autorialità (di testi e musica) le donne sono poco più del 12%. La situazione in Italia è ancora più complessa: nelle prime venti posizioni dei dischi più venduti in Italia nel 2021 compare solo un’artista donna: Madame al quinto posto; le musiciste sono il 14,1% del totale degli artisti presenti nelle classifiche di Spotify in Italia; i ruoli da interpreti primari per le donne nelle incisioni musicali rappresentano solo l,8,32% contro il 91,68% degli uomini. A partire da queste importanti evidenze, SAE ha deciso di realizzare un report sul tema dell’equilibrio di genere nell’industria musicale, che contiene anche interviste a donne operanti nel settore e ricerche di tipo qualitativo. La psicologa e sociologa Alessandra Micalizzi è stata la responsabile del progetto di ricerca.

Il lavoro delle donne nella musica viene considerato un hobby

Come è nata e da quali stimoli ha preso vita questa ricerca?

AM: La ricerca è frutto di pura curiosità sociologica. Il SAE ha un’impronta fortemente pratica, incentrata sui creative media, sulle esperienze in ambito musicale, cinematografico e nel mondo del gaming. Da psicologa e sociologa mi sentivo estranea a questo mondo, occupandomi prevalentemente di materie culturali. Il punto d’incontro è stato il tema del genere, ampiamente trattato in sociologia e psicologia, nell’industria culturale, in modo particolare quella musicale. L’intuizione è nata anche guardando la composizione delle classi dove insegno Teoria dei Nuovi Media, Marketing per l’Industria culturale e Sociologia dei nuovi media, in cui la percentuale di donne era molto bassa. Le studentesse sono poche, sotto al 5%. Gli anni precedenti erano ancora meno, adesso fortunatamente le presenze femminili stanno crescendo. Questa situazione mi ha incuriosito: volevo capire se dipendeva da un disinteresse di fondo delle donne o se ci fossero motivazioni di carattere culturale-identitario che intervengono.  

Fin dalla prima fase della pandemia il mondo della musica live aveva attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sollevando i problemi di instabilità e precarietà, tipici del settore. I report ci dicevano che donne e giovani, in tutti gli ambiti, erano quelli che avevano pagato il prezzo più alto della pandemia. Abbiamo iniziato a lavorare alla nostra ricerca a settembre 2020, subito dopo le prime chiusure anti-contagio, abbiamo concluso la rilevazione a febbraio 2021 e presentato i dati a giugno dello stesso anno. Il tutto è poi confluito in una pubblicazione scientifica intitolata Women Creative Industry, edita da Franco Angeli, e in una favola per bambini, per offrire nuovi modelli culturali di riferimento fin dalla prima infanzia. Il saggio illustrato è la storia di una bambina di nome Viola che si scontra da un lato con la passione verso la musica e dall’altro con i primi giudizi dei coetanei che non considerano quello della musica un mestiere, in particolare per le donne. Attraverso l’aiuto della nonna, la protagonista riuscirà a capire che in realtà altre donne prima di lei hanno lavorato nel mondo della musica, e quindi non solo interpretato un testo, ma anche scritto una canzone e prodotto musica. Viola capirà così che fra le strade percorribili c’è anche la musica, intesa in primo luogo come mestiere e non come un hobby. 

Donne nella musica: segregazione verticale-orizzontale e esclusione dalla contrattazione

Mercoledì 23 novembre il Parlamento europeo ha approvato la direttiva Donne nei consigli di amministrazione del Consiglio europeo che obbliga tutte le grandi società quotate in borsa dell’Unione Europea ad adottare misure, entro luglio 2026, atte ad aumentare la presenza femminile nei loro consigli di amministrazione. L’adozione arriva dopo dieci anni dalla prima proposta, rimasta bloccata in Consiglio dal 2012. La proposta del Parlamento mira a introdurre procedure trasparenti di assunzioni nelle aziende, al fine di portare la presenza femminile tra gli amministratori non esecutivi almeno al 40% e tra gli amministratori in generale al 33%, entro la fine di giugno 2026. Attualmente, nei consigli di amministrazione delle maggiori società quotate in borsa dell’UE solo il 30,6% è costituito da donne. In Italia la quota femminile si è alzata molto negli ultimi anni, passando dall’1,9% del 2003 al 39,6% di quest’anno, come rilevato dall’European Institute for Gender Equality.

Al problema della rappresentatività delle donne, si aggiunge quello del gender pay gap. Il 16 novembre scorso, nella Giornata europea della parità di retribuzione, la Commissione europea ha evidenziato l’esistenza di un divario salariale di genere a parità di mansione pari, in media, al 13%. Tale dato equivale, tradotto in giorni lavorativi, a più di 40 giorni senza paga per le donne. 

La mancanza di rappresentatività delle donne nell’industria musicale , e in generale nel mondo del lavoro, si riflette anche in una disuguaglianza dal punto di vista retributivo?

AM: Il gender pay gap esiste sicuramente anche nell’industria musicale. Nella ricerca abbiamo osservato il settore da due punti di vista: da un lato come un sistema organizzativo, in cui sono presenti realtà lavorative strutturate – ad esempio l’ambito manageriale – dove il divario retributivo di genere può essere misurato e commisurato alle diverse funzioni; dall’altra parte come industria culturale in senso stretto, quindi come fucina di modelli. Lo studio è basato su un impianto metodologico qualitativo, attraverso delle interviste. Le evidenze emerso sono importanti: la prima è la segregazione verticale-orizzontale delle donne, che tendono a restare sempre nelle stesse posizioni e non possono quindi aspirare a una retribuzione migliore; il secondo aspetto, ancora più drammatico, e che riguarda soprattutto chi lavora in ambito creativo, come le musiciste, le interpreti, le cantautrici, e chi si esibisce sul palco, è l’esclusione delle donne dalla conversazione e dalla contrattazione sul denaro. Quando si parla di cachet, lo sguardo dell’offerente si rivolge subito al manager o alla figura maschile del gruppo. Come se per le donne si trattasse di un lavoro di tipo amatoriale, di un passatempo, che quindi potrebbero fare gratis, o ancora peggio, si insinua il pregiudizio che una donna non sia in grado di rappresentare se stessa in qualità di imprenditrice della musica. Si tratta di un retaggio maschile e maschilista che dimostra che il lavoro da fare non è semplicemente numerico, ovvero il raggiungimento di una parità salariale, ma anche qualitativo: riconoscere il valore della professionalità delle donne. 

Donne nella musica, tra stereotipi e maschilismo interiorizzato


Oltre al problema delle stereotipizzazione delle donne che lavorano nell’industria musicale da parte degli uomini, c’è quello del maschilismo interiorizzato di molte colleghe donne. Nel report sono infatti presenti testimonianze di professioniste che adottano uno sguardo maschile sul ruolo e sull’atteggiamento che una donna dovrebbe tenere al lavoro. Inoltre, molte delle donne che si sono fatte strada in questo settore sono quelle che hanno mostrato atteggiamenti virili e autoritari. Come mai?

AM: Anche in questo caso non ho avuto modo di quantificare il fenomeno, ma è emerso che spesso che ai ruoli apicali arrivano donne cui viene richiesto di sposare un modello di approccio al lavoro maschile, caratterizzato per esempio dalla totale focalizzazione sul lavoro e dall’assenza di relazioni esterne. Nella ricerca abbiamo sottolineato che si tratta di un processo di mascolinizzazione: le donne possono occupare anche posizioni ai vertici, a patto di rispettare questo modello. Spesso questo significa per esempio rinunciare alla maternità perché ritenuta un freno. In altri casi abbiamo rilevato la cosiddetta ‘sindrome dell’ape regina’, già nota nella psicologia sociale, ovvero un meccanismo che spinge le donne che arrivano in alto nella scala gerarchica a tenere lontane le altre donne, quasi a voler delimitare quello che hanno conquistato con fatica, entrando in meccanismi di competizione che sono ulteriormente sfavorevoli all’emancipazione femminile.

Un altro dato che emerge con forza da questo report è l’assenza di figure femminili fra i ruoli più tecnici dell’industria musicale. La donna viene relegata solitamente alla donna-immagine, poco rappresentata nei mestieri dietro le quinte. L’assenza di modelli di riferimento a cui ispirarsi spinge le donne che vorrebbero lavorare in questi settori a non farsi avanti?

AM – È il tema della donna producer, della donna ingegnera del suono. Dalle interviste che abbiamo fatto alle donne che hanno intrapreso questi percorsi, emerge la fatica che hanno dovuto fare nel legittimare il proprio ruolo in un ambiente che è prettamente di dominanza maschile. Sappiamo bene che tutte le discipline Stem, cioè quelle che afferiscono alle scienze e agli studi tecnici, sono oggetto di una stereotipizzazione che determina una presenza di iscrizioni da parte delle donne nettamente inferiore rispetto a quelle maschili. Si sta cercando di invertire il trend, ma ci vorrà del tempo per raggiungere un cambiamento apprezzabile. Mancano sicuramente i modelli di riferimento, ma ci sono anche dei problemi di accesso: chi riesce, magari per determinazione, a completare il proprio percorso di studi, durante il processo di inserimento del contesto lavorativo si scontra con un grande pregiudizio sessista. La frase che riassume al meglio questo pensiero è “Non ha la testa, non ha il fisico”, che fa riferimento da una parte alla presunta mancanza di predisposizione femminile alle materie scientifiche, che viene invece riconosciuta all’uomo, e dall’altra alla presunta incapacità della donna di svolgere lavori manuali. È come se a una donna tecnica del suono non venisse riconosciuta la stessa capacità, le stesse possibilità e competenze della controparte maschile.

Quote rosa nella musica: necessarie o misura inutile?

Per ovviare a questo problema si parla sempre più spesso, nei diversi ambiti professionali, dell’imposizione delle cosiddette quote rosa. Sono ancora oggi necessarie per il raggiungimento della parità di genere sul lavoro oppure non sono uno strumento adeguato?

AM – Il tema delle quote rosa è stato oggetto di dibattito anche nelle interviste. Con grande fatica, devo ammettere che in questa fase storica restano un male necessario. Nessuna di noi ha piacere a essere selezionata solo in quanto donna. È una forzatura del sistema per costringerlo a dare visibilità al problema e ai progetti delle donne nel mondo della musica. In questa fase non dev’essere un meccanismo strutturale ma funzionale a innescare il cambiamento.

La responsabilità degli uomini nella disparità di genere

Gli uomini in questa indagine restano sullo sfondo. Dalle poche interviste maschili riportate, emerge spesso una mancanza di consapevolezza del problema. È importante coinvolgere anche loro in questo dibattito?

AM – Più che di mancanza di consapevolezza, io parlerei di un errore fondamentale di attribuzione, ovvero dell’abitudine maschile a spostare il problema. Abbiamo intervistato solo undici uomini, che sono quelli che si sono resi disponibili, e quindi già sensibili al problema. Loro conoscono i numeri e ammettono che esiste una disparità, ma non nel loro settore, al massimo in quello accanto, oppure attribuiscono questa differenza alla mancanza di interesse da parte delle donne. C’è quindi da lavorare in termini di educazione e informazione sui meccanismi di discriminazione, affinché ci sia maggiore consapevolezza. Nel libro parliamo inoltre di ‘maschilismo benevolo’, quindi del reiterarsi di meccanismi patriarcali nell’ottica di proteggere la donna, vista come soggetto fragile e debole, con lo scopo di escluderla da tutta una serie di posizioni, attività e possibilità. Eppure sono i fatti stessi a smentire questa visione. 

Ad esempio, tutte le donne che spiccano nell’industria musicale, in modo particolare nelle posizioni di producer, sono donne con una leadership molto spiccata, nonostante ancora troppo spesso si ritenga che questa non possa essere una caratteristica femminile. Quello che aspiriamo a fare con lo studio e la ricerca è scardinare la variabile di genere: il problema sarà superato quando non ci chiederemo più quanti sono gli uomini e le donne all’interno dell’industria musicale, ma ragioneremo in termini di progetti, di qualità della singola persona. Il tema oggi non riguarda più solo la differenza di genere, ma la diversità. Siamo in un momento storico in cui il genere non è più una variabile dicotomica maschio/femmina. A maggior ragione, non possiamo più utilizzare questa variabile per discriminare le competenze sul lavoro, le assunzioni, gli accessi e la visibilità dei progetti. 

Prospettive future per un settore musicale più equo

Dal report emerge anche una nota positiva: la situazione, nonostante tutti i problemi e le difficoltà elencate, è sicuramente migliorata rispetto a un decennio fa. Fra le prospettive future avanzate nel vostro studio compare la necessità di aumentare le occasioni di confronto e di discussione, che in Italia sono ancora molto poche. Si tende anzi spesso a nascondere e a minimizzare la questione. 

AM – Sicuramente fare educazione e informazione in queste occasioni è importante, e andrebbe fatto con continuità e non solo con eventi spot. Sarebbe utile creare dei tavoli permanenti di confronto, degli osservatori stabili: Abbiamo fatto tantissima fatica a reperire informazioni strutturate sul tema, i dati sono spesso frammentati e disordinati. Occorre uno studio continuativo sul tema. Il punto di svolta può essere rappresentato dalle nuove generazioni. Quando cambieranno le figure ai vertici sicuramente i cambiamenti saranno più evidenti. D’altra parte la celebrazione di figure apicali donne è altrettanto preziosa perché aumenta la consapevolezza, ma dobbiamo stare attenti a non cadere nella solita retorica dei ruoli di genere: ad esempio, quando l’astronauta Samantha Cristoforetti è partita per la sua ultima missione, molti commenti si soffermavano a domandarsi dove avrebbe lasciato i propri figli. È importante quindi parlarne, ma anche portare avanti azioni concrete che possano cambiare effettivamente le cose. 

Alessandra Micalizzi, internal lecturer, SAE Institute Milano dal 2017

Insegna Teoria dei Nuovi Media, Marketing per l’Industria culturale e Sociologia dei nuovi media. Ha conseguito il dottorato in comunicazione e nuove tecnologie presso la IULM. È psicologa e consigliere presso l’Ordine degli Psicologi della Lombardia. È stata responsabile del progetto di ricerca Women In Music Industry di SAE, pubblicato il 4 giugno 2021. Nel 2021 è uscito il suo saggio Women in music. Analisi socio-culturale del gender gap nell’industria musicale, edito da Franco Angeli

Alessandro Mancini

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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