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Gender tech: la pillola anticoncezionale ci aiuta o ci controlla? 

Speculum, test di gravidanza, pillola, app di period tracking, ecografia a ultrasuoni: Gender Tech è il saggio di Laura Tripaldi pubblicato da Laterza che racconta tecnologie di genere e ne svela l’assenza di neutralità

Gender Tech, il saggio di Laura Tripaldi pubblicato da Laterza

La pillola anticoncezionale, per anni considerata una panacea, forse non è adatta a tutte e la sua assunzione dovrebbe essere ponderata. Gender Tech, il saggio di Laura Tripaldi pubblicato da Laterza, nasce da una riflessione dell’autrice su una verità scomoda per molte donne. Da qui parte un ragionamento dell’autrice sul rapporto e l’interazione tra esseri umani e dispositivi tecnologici, spesso considerati creazioni neutrali e portatori esclusivamente di benessere, privi di controindicazioni. 

Laura Tripaldi, ricercatrice e autrice, in un libro che combina lo stile del memoir al rigore del saggio, racconta la genesi di alcune tecnologie di genere – lo speculum, il test di gravidanza, la pillola, le app di period tracking, l’ecografia a ultrasuoni – e ne svela l’assenza di neutralità, influenzati dalla società nella quale sono elaborati e dalle idee di chi li crea. 

Le app di period tracking raccolgono dati e informazioni sul rapporto tra donne e ciclo mestruale

La pillola non è più intesa come la miglior alleata delle donne, ma come un dispositivo che influenza i loro comportamenti. Le app di period tracking diventano disturbatrici seriali con l’obiettivo di accaparrarsi più dati e informazioni possibili sul rapporto tra donne e ciclo mestruale. O ancora, nel capitolo sull’ecografia a ultrasuoni, si ripercorre il rapporto tra maternità e soggettività femminile, evidenziando quanto si sia modificata la concezione del feto da quando lo si può documentare visivamente. Se prima la maternità era una pratica la cui centralità era situata attorno al corpo femminile, ora la nostra attenzione si è divisa su due corpi: quello del feto e quello della donna. 

Il feto some soggetto scientifico e politico

Laura Tripaldi ricorda le complessità incontrate nella scrittura del capitolo sull’ecografo: «Ho riflettuto sulla soggettività scientifica e politica del feto. È stato difficile scriverlo perché mi sono sentita piu coinvolta in prima persona, è faticoso perché ci sono emozioni che tutti hanno su questa tema, sul tema aborto e gestazione, però credo occorra riflettere sul feto come qualcosa che abbiamo costruito, non come realtà astorica».

Laura Tripaldi: l’oggettività scientifica non è così universale, perché è influenzata dalla società e varia e nel corso della storia

Il libro di Tripaldi, oltre a fornire precise coordinate storiche e scientifiche, ha uno spiccato sottotesto filosofico e unisce l’approccio scientifico a quello umanistico, cosa che in passato non aveva ritenuto fondamentale. «Quando ho scritto il mio primo libro, Menti Parallele, ho tentato di approcciare la questione come divulgatrice scientifica partendo dalla mia esperienza di scienziata per abbracciare altre tematiche come il non umano o le intelligenze, in quel caso l’intento politico era più astratto. Ma durante la scrittura di questo volume ho incontrato autrici che univano scienza e pensiero femminista e ho capito che non solo si poteva fare, ma era anche importante. Mi piace l’idea della contaminazione e della sinergia».

Il passaggio di Tripaldi dalla nanotecnologia dei materiali ai corpi femminili è arrivato grazie alla ricerca che l’ha portata a interrogarsi sulla natura dei corpi: «Mi sono resa conto di come la domanda che ti pone la scienza: “cos’è un corpo?”  poteva essere estesa a molti altri contesti. Ad esempio cosa è il corpo di una donna? Che diventa una domanda non solo scientifica, ma anche politica. Spesso per rispondere a simili domande ci appelliamo alla scienza confidando nel fatto che questa ci dia risposte univoche e universali, dimenticando però che in realtà l’oggettività scientifica non è così universale, perché è influenzata dalla società e varia nel corso della storia».

Essere donna: qualcosa di determinato a livello biologico o sociale? Una definizione di genere che considera la fluidità umana

Oggi è complesso definire che cosa sia una donna e la maggior parte delle volte vediamo scontrarsi due approcci: da una parte quello determinista biologica che riduce l’essere donna a una questione meramente corporea, dall’altra quello costruttivista socio-culturale che pone enfasi sulla socializzazione dei corpi e sul contesto culturale in cui essi crescono, tralasciando spesso la differenza materiale del corpo sessuato. 

«L’essere donna è qualcosa di determinato a livello biologico o a livello sociale? Divento donna perché è la mia biologia che mi rende tale oppure perché la società mi condiziona? Negli ultimi decenni c’è stato uno spostamento di attenzione dal corpo all’identità. Questo ha permesso di aprire la definizione di genere e includere altre soggettività che non si sentivano rappresentate da un approccio esclusivamente biologico.»

Laura Tripaldi ha guardato anche al pensiero delle femministe della seconda ondata (legate dunque al determinismo biologico) per scrivere il suo libro: «Avevo necessità di dialogare con il femminismo del passato perché non ero soddisfatta da quello contemporaneo che non dava le risposte necessarie alle domande che mi ponevo.  E’ vero che c’è un identitarismo biologico che le autrici si portano dietro per necessità storica dinanzi al quale una femminista contemporanea direbbe: Mi voglio liberare di questo, dell’essere donna! Eppure, quando tutto il genere viene immaginato come fiction culturale si lascia qualcosa da parte, e infatti in questi anni c’è stato un risveglio di questioni che sembravano superate da tempo più strettamente legate alla ‘corporeità’ che ci portano a riconnetterci con il fondamento biologico della questione di genere».

Judith Butler: il corpo si materializza mediante gli sguardi, le teorie e i dispositivi tecnologici

Ci troviamo di fronte a un’impasse: da una parte sarebbe opportuno approcciare il corpo della donna senza pensarlo come biologicamente determinato, ma una visione esclusivamente costruttivista-culturale rischia di mettere in secondo piano la materialità del corpo. Tripaldi ha riflettuto a lungo al riguardo:

«L’essenzialismo biologico del passato si riferisce al corpo biologico, che sta fuori dalla storia e che è sempre esistito, svincolato dalla società e dalla politica. In realtà, la natura del corpo è qualcosa che cambia e che si evolve nel tempo e si modifica sulla base di come questo corpo viene socializzato. Anche Judith Butler, che è considerata la capostipite del costruttivismo, si pone la domanda sul corpo e si chiede che cosa ce ne facciamo una volta che abbiamo decostruito tutto quanto? Per rispondere elabora il concetto di materializzazione secondo il quale il corpo si materializza mediante gli sguardi, le teorie e i dispositivi tecnologici che proiettano sul corpo la sua realtà. Il concetto di materializzazione è un nuovo modo per mettere in connessione identità e corpi senza ricorrere al determinismo biologico.»

La tecnologia e le donne: salvezza o controllo?

Dopo aver letto Gender Tech, sembra che nemmeno la scienza ci possa dare una risposta univoca e indiscutibile per rispondere alla domanda che cosa è una donna?  Viene naturale domandarsi se la tecnologia possa essere uno strumento di salvezza o se il suo destino sia quello di rimanere un’arma di controllo.  

«C’è una tradizione del pensiero femminista – spiega Tripaldi – che ha guardato alla tecnologia con ottimismo, emancipazione dalla cosiddetta “natura”. La tecnologia era concepita come la possibilità di costruire uno spazio di libertà ed emancipazione. Questa visione ha un suo valore: ad esempio per quanto riguarda gli ormoni sintetici nelle transizioni di genere, quello è un uso affermativo della tecnologia che consente di vivere più liberamente la propria identità; mentre quando si tratta di tecnologie digitali il discorso diventa più complesso».

Si potrebbe fare un parallelismo tra le tecnologie di genere analizzate nel libro e altri strumenti tecnologici che da un lato hanno contribuito all’autodeterminazione dei corpi femminili (come le piattaforme di sex working), ma dall’altro continuano a renderle oggetti in un mercato dominato da un algoritmo cisgender. L’idea di emancipazione per le donne c’è, ma non sono loro a dettare le regole del gioco.

«È vero – risponde Tripaldi – che al centro di molte tecnologie di genere c’è l’idea che le persone che le utilizzano possano avere il controllo del mezzo. La pillola stessa è venduta come qualcosa di naturale, però questa impressione di leggerezza e invisibilità è ciò che la rende pericolosa. Lo stesso vale per le applicazioni di period tracking che diventano dei confidenti digitali, ci fanno domande, si interessano e poi le informazioni che diamo ci influenzano in vari modi».

Il poco spazio delle donne nel settore Tech non è il problema

Storicamente il settore tech è abitato da uomini: Steve Jobs, Bill Gates, Zuckerberg, Sam Altman. Forse la scarsità di donne nell’industria è il problema?  Tripaldi non è convinta: «Negli ultimi anni abbiamo visto nascere tantissime startup nell’ambito tech create da donne e che fanno leva sull’empowerment femminile, poi però se si va a osservare il modo in cui funzionano i prodotti, vediamo che sono in tutto e per tutto simili a quelle fondate da uomini. Aziende che nascono con scopi di profitto e non sono trasparenti, purtroppo non è scontato che una tecnologia progettata da una donna sia emancipativa. L’obiettivo dovrebbe essere provare a creare e sviluppare tecnologie dal basso in maniera orizzontale al di fuori delle logiche di mercato. Ci sono app di period tracking create da donne che agiscono con la stessa insistenza di quelle create dagli uomini.» 

Il problema è che la tecnologia, ma più in generale la scienza, sono percepite come materie settoriali e complesse, il cui approfondimento è riservato ai soli addetti ai lavori, questo genera un senso di inadeguatezza e porta a un allontanamento. 

 «È vero – commenta Tripaldi – che c’è un certo grado di passività rispetto alle tecnologie, siamo diventati completamente abituati a essere consumatori, semplicemente ci viene dato e noi consumiamo senza farci troppe domande. Però per le tecnologie non abbiamo la stessa libertà di scelta che abbiamo con altre merci. Inoltre c’è passività e timore rispetto alle tecnologie digitali, sembra che la critica a queste ci faccia passare per luddisti o “boomer”. Il no alla tecnologia ci pone in una posizione di arretratezza, in quanto giovani dovremmo essere entusiasti di questo tipo di progresso e positivi.» 

 «Inoltre – aggiunge Tripaldi – prima la scienza aveva un’influenza diretta e immediata sulla società, c’era una compenetrazione e una consapevolezza che poi si è disfatta. Il femminismo in questo ha una tradizione di contatto con scienza, tecnologia e riflessione critica e sarebbe un modo per far tornare a parlare questi ambiti. Tra l’altro ci sono gruppi e pratiche di autocoscienza femminista che cercano di riappropriare la tecnologia. Occorre demistificare scienza e tecnologia, è facile creare l’illusione che il sapere scientifico sia esoterico e oscuro.»

Laura Tripaldi 

Scienziata e scrittrice, Laura Tribandi ha conseguito un dottorato di ricerca in Nanotecnologia dei materiali presso l’università Milano-Bicocca; da anni collabora come freelance con diverse riviste online. Gender Tech è il suo terzo libro. 

Matilda Ferraris

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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