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Abitare in Via Padova, i contro effetti della rigenerazione urbana a Milano

Milano privatizza piazze e aree cittadine. Dopo Gae Aulenti e Tre Torri, ora LOC 2026 in Piazzale Loreto: chi abita in Via Padova dice la sua, tra rigenerazione e gentrificazione

A Milano è finito il suolo edificabile: il report di Scenari Immobiliari e Urban UP | Unipol

A Milano è finito il suolo edificabile. Dei 181,8 chilometri quadrati di superficie cittadina, 106,7 sono già urbanizzati. Il Presidente di Scenari Immobiliari Mario Breglia dichiara che l’espansione immobiliare non può più avvenire con il consumo di suolo ma che «bisognerà lavorare sui tanti vuoti che il passato ci ha lasciato», ovvero «riciclare» spazi in disuso, degradati e sottoutilizzati. Insomma, affidarsi alle riqualificazioni e alle rigenerazioni urbane.

Diciotto progetti di recupero e di riqualificazione a Milano in attivo

Dei 920 chilometri quadrati di superficie territoriale nazionale potenzialmente rigenerabile la fetta maggiore – pari al 21 per cento – sta in Lombardia, tra fabbriche dismesse, complessi multifunzionali sottoutilizzati e ferrovie. Seguono Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Lazio. Milano è in pole position anche per la quantità di progetti di riqualificazione in attivo sul territorio metropolitano: diciotto, sempre secondo il report. 

Accodandosi a iniziative dal panorama internazionale come Reinventing Cities, il capoluogo lombardo censisce diversi progetti di recupero di aree dismesse come quello per la Ex Fabbrica Innocenti e per la Goccia di Bovisa e riqualificazioni estensive di aree urbane come il progetto LOC (Loreto Open Community) per Piazzale Loreto e le zone limitrofe. I tre pilastri che tengono in piedi i progetti di rigenerazione urbana della Giunta sono: partnership e patti di collaborazione con enti privati, focus sulla partecipazione sociale agli interventi urbani e, infine, sostenibilità con la costruzione di spazi verdi e inclusivi. Su tutto questo, non può che sorgere un tema di gentrificazione.

Siamo sicuri che le rigenerazioni urbane siano pensate sulle necessità dei cittadini?

Abitare in Via Padova è un gruppo di cittadini che condividono una comune preoccupazione per gli esiti sociali dei rapidi processi di valorizzazione immobiliare che negli ultimi anni hanno coinvolto le zone di Viale Padova e Viale Monza, contigue a Piazzale Loreto. Si interrogano se la partnership pubblico-privato nella rigenerazione urbana sia virtuosa: che le rigenerazioni urbane siano pensate sulle necessità dei cittadini, che si valuti il ritorno economico e immobiliare ma anche l’impatto sociale e culturale sulle aree sotto riqualificazione. C’è il timore di quella gentrificazione che in America ha creato distese periferiche di architettura discutibile.

«Reinventing Cities mette al bando aree pubbliche inutilizzate o sottoutilizzate da rigenerare. Dove non riesce a intervenire con i propri fondi, il Comune accetta candidature da privati, offrendogli come compensazioni e ritorni economici i diritti di superficie e/o la proprietà di edifici sull’area da rigenerare».

Nhood: un investimento di ottanta milioni di euro su Piazzale Loreto, in cambio i diritti di superficie sulla piazza per i prossimi novant’anni

Piazzale Loreto è uno snodo congestionato dal traffico, che sottrae diverso spazio pubblico: un luogo per l’attraversamento automobilistico e non per il sostare pedonale. È anche tra le architetture milanesi più pregne di memoria, con un forte carico simbolico per la resistenza anti-fascista. A vincere nel 2021 il concorso per la rigenerazione della piazza è stata Ceetrus-Nhood con un investimento di ottanta milioni di euro. Ceetrus è una società patrimoniale-finanziaria. Nhood, invece, si occupa di servizi e consulenza, gestendo progetti di rigenerazione urbana in oltre 11 paesi. Nhood Italia ha preso in carico anche un progetto di copertura per i binari regionali compresi tra la Stazione di Milano Cadorna e il ponte di via Mario Pagano. 

«Come da bando, in cambio della progettazione, il Comune ha venduto a Nhood il palazzo di proprietà pubblica, sito in via Porpora 10, che ospitava l’assessorato all’educazione, e ha concesso all’azienda i diritti di superficie sulla piazza per i prossimi novant’anni». I cantieri di LOC 2026 dovrebbero partire questo aprile, con lo scopo di completare il progetto in occasione delle Olimpiadi Invernali di Milano Cortina 2026.

Cos’è LOC 2026?  Un’agorà privatizzata a cielo aperto, un meccanismo tipico di falsa partecipazione

Cos’è LOC 2026? Il progetto di Ceetrus-Nhood per Piazzale Loreto prevede lo spostamento del traffico all’esterno del piazzale – che sarà pedonalizzato – e la costruzione di un’agorà a cielo aperto: una piazza ribassata al livello dei mezzanini della metropolitana, pronta con i suoi 500 alberi piantumati ad accogliere gli incontri, le passeggiate e le soste dei cittadini. Intanto, al centro della nuova piazza sorgeranno pure tre edifici con terrazze verdi e destinati a uso commerciale. L’edificio in via Porpora accoglierà degli uffici e un hotel. Tra nuove e vecchie costruzioni, duecento metri quadrati dovrebbero essere adibiti a uso civico, ma l’assessorato alla rigenerazione urbana sta ancora valutando se accettare la proposta partita da Nhood.

Per quanto concerne il coinvolgimento del pubblico, è stato aperto uno sportello di incontro per residenti e associazioni della zona Loreto. L’hub LOC 2026 viene raccontato sul sito come lo spazio dedicato a tutti per scoprire la nuova piazza che sta nascendo. «Si tratta di un meccanismo di falsa partecipazione. Lo sportello non ha valore consultivo e neppure dialettico, ma informativo, volto a raccontare alle persone un progetto già approvato e finanziato. Era stato fatto persino un giro di consultazione tra gli operatori e le associazioni del quartiere sull’uso dei duecento metri, ma un conto è convocare le associazioni e i cittadini e chiedergli di cosa hanno bisogno, un altro è accompagnarli e dargli gli strumenti dal punto di vista politico e tecnico per essere dei soggetti attivi e partecipi fin dalle prime fasi della progettazione. La dimostrazione dell’ipocrisia celata dietro il focus sulla partecipazione della cittadinanza sta proprio nel fatto che della destinazione di quei duecento metri quadrati disposti a uso civico non si sa ancora nulla» dichiara la rappresentanza di Abitare in Via Padova.

Partnership pubblico-privato: di questi milioni niente viene restituito alla città

Abitare Via Padova nota come la mancanza di fondi, il positivismo progressista della metropoli e la religione della partnership pubblico-privato siano i palliativi dietro i quasi si nasconde una sistematica privatizzazione dello spazio pubblico della città di Milano e un’alienazione scientifica di beni collettivi. 

«Sul piano della riqualificazione, l’iter del Comune sembra essere quello di trovare un operatore privato e dargli il compito di sviluppare un progetto su un’area pubblica con assoluta concessione dei diritti sul suolo e la possibilità di generare alti profitti. Il privato fa un investimento di diversi milioni che, chiaramente, devono ritornagli indietro in qualche modo. Si costruiscono edifici e vie commerciali, supermercati, uffici eccetera. In questo modo, niente di questi milioni viene davvero restituito alla città». 

Sembra che la zona pedonale pensata per Piazzale Loreto sia più una corte per negozi e centri commerciali, una via pedonale per lo shopping che una piazza cittadina. «LOC 2026 è stato pensato come progetto scollegato dalle aree limitrofe a Piazzale Loreto e solo in un’ottica di allungamento del tessuto commerciale per i brand già presenti in Corso Buenos Aires».

Gli effetti di LOC 2026 sui quartieri circostanti: i valori immobiliari aumenteranno del 30-40%

Le ragioni che Abitare Via Padova avanza per osteggiare questo progetto non sono circoscritte alla sola piazza, ma considerano soprattutto gli effetti materiali e immateriali che LOC 2026 avrà sui quartieri circostanti. «A pochi metri di distanza da Piazzale Loreto c’è via Padova che presenta e racconta tutta un’altra città con molti negozi etnici, commercio al dettaglio e di prossimità: una via abitata da famiglie e comunità che risponderanno in maniera diversa anche in termini solo commerciali a questo cambiamento». 

Via Padova è abitata da una popolazione multietnica, spesso economicamente fragile e caratterizzata da precarietà lavorativa, ma anche da studenti, artisti e lavoratori che si trasferiscono a Milano da piccoli paesi alla ricerca di sicurezze lavorative e abitative. Nasce come periferia popolare e, fin dalle origini, accoglie numerose realtà aggregative e di associazionismo che, insieme ai prezzi convenienti della zona, la rendono una via dell’accoglienza per coloro che arrivano da fuori. Con un progetto di riqualificazione omologante come quello di Piazzale Loreto, via Padova subirebbe (e sta già subendo) un aumento vertiginoso degli affitti e del coso di beni di prima necessità, tanto da allontanare ed espellere i residenti originari della zona. 

«Gli addetti ai lavori hanno stimato che nelle zone limitrofe a Piazzale Loreto, a seguito della rigenerazione, i valori immobiliari aumenteranno del 30-40%. Il tessuto sociale, il commercio, le abitudini e i costi saranno tutti dirottati su una fascia più alta e le persone si avvicineranno sempre di più alla zona non per ragioni di accoglienza, sociali, culturali e aggregative, ma perché è un buon investimento immobiliare sul lungo termine. L’approccio dei nuovi abitanti allo spazio pubblico e allo spazio privato modificherà tessuto e legami sociali del quartiere. Tralasciare questo discorso proponendo finanche la pedonalizzazione di parte di via Padova svela un piano da parte del Comune di Milano nel cercare di accelerare i processi di gentrificazione già in corso».

L’effetto NoLo: marketing urbano ed esotismo culturale, espulsione dei residenti originari

Si ritiene che il progetto di rigenerazione Loreto Open Community vada a peggiorare dei processi già in corso da tempo nella zona di NoLo. Come per Kreuzberg a Berlino, Montmartre a Parigi e Uzupis a Vilnius, le agenzie immobiliari, i privati e le agenzie turistiche usano l’identità peculiare ed ‘esotica’ del quartiere come moneta di scambio. Street art, multiculturalità, cucina etnica, architetture peculiari sono tutti elementi che attirano fasce ricche e investimenti migliori sul quartiere di NoLo, che deve anche il suo nome a un’invenzione di marketing urbano. Coloro che hanno contribuito nel tempo alla creazione di questa costellazione di elementi atipici – e perciò attrattivi per la nuova e omologante città di Milano – sono coloro che questi stessi processi di marketing contribuiscono a cacciare:

«Le persone che hanno determinato i fenomeni di valorizzazione sociale del quartiere di NoLo, quelle che erano protagonisti e attori delle sue iniziative prima che si chiamasse così sono andate via o sono state espulsi dalla città con la loro famiglia, causa esplosione degli affitti brevi – dove il quartiere di NoLo è uno di quelli con la più alta concentrazione a Milano – o per gli aumenti del mercato immobiliare». (Il tema della gentrificazione urbana è un tema culturale e umano che – certamente non deve e non può fermare la positività della rigenerazione di nessuna città – ma deve spingere a portare attenzione a dettagli inevitabilmente estranei a una gestione finanziaria – n.d.r.).

Alla scuola di Parco Trotter la composizione migranti è cambiata: l’espulsione dall’area metropolitana

«Restituiamo questo dato che arriva da chi si occupa della scuola di Parco Trotter: la composizione migrante è cambiata. Non ci arrivano più soltanto le famiglie di lavoratori, ma anche famiglie di professionisti, manager inglesi, tedeschi, francesi e canadesi che si trasferiscono a Milano e comprano casa in quest’area perché è più conveniente».

Di fronte alle dinamiche inflazionistiche della riqualificazione urbana, la prospettiva è quella della rilocalizzazione di molti nuclei fuori dal perimetro metropolitano. Si tratta di nuclei familiari con condizioni lavorative anche discrete ma che si trovano impoveriti dai prezzi dei beni e dal mercato immobiliare. Soprattutto, questa espulsione dall’area metropolitana si fa sentire per chi non è dotato di patrimonio immobiliare, non è nato a Milano e non ha ricchezza generazionale da investire sul mercato di compravendita.

Di pari passo con i grandi eventi: Expo e Olimpiadi 2026. Il 2015 aveva marcato un momento di svolta nel rialzo dei valori immobiliari

Non è la prima volta che Milano deregolamenta e privatizza una piazza e, da lì, intere aree cittadine. Gae Aulenti o le Tre Torri, zone che apparirebbero pubbliche ma che sono in mani a privati e fondi di investimento esteri. Il progetto per il nuovo distretto smart di Porta Nuova – che si estende ora tra la stazione Garibaldi, il quartiere Isola, Corso Como e Repubblica – fu acquistato nel 2015 da un fondo di investimento estero, la Qatar Investment Authority (QIA), che ha ancora i diritti su Gae Aulenti. «Considerando questi antecedenti di privatizzazione bisognerà capire quanto sarà libero l’accesso e la permanenza nello spazio centrale della nuova Loreto. Gae Aulenti e le Tre Torri fanno sorgere qualche dubbio, vista la presenza di vigilanza privata che tende a regolamentare la vita di questi posti, così come la connotazione consumistica tende ad assegnare ai negozi la priorità sulle funzioni pubbliche dello spazio». 

Sempre nel 2015, quando Giuseppe Sala era amministratore delegato di Società Expo, si finalizzava anche il progetto di riqualificazione per la Darsena. Il 2015 – anno dell’Expo, l’Esposizione Universale tenutasi a Milano – marca un momento di svolta nel rialzo dei valori immobiliari, di pari passo con un discorso mediatico che disegna sempre di più il capoluogo lombardo come una città dal panorama e dal successo internazionale. «La città è diventata più attrattiva e il culto della vita metropolitana è esploso in Italia». 

Dal 2015 al 2021, il canone medio di locazione registrato da OMI è cresciuto del +33,8% con un aumento nei contratti di natura transitoria (da uno a tre anni) e un ribasso dei contratti a canone concordato o agevolato, quelli più abbordabili.  

«I grandi eventi sono sempre degli acceleratori dal punto di vista della ristrutturazione economica della città. Come gli interventi urbani e le grandi opere, rappresentano dei piani di ristrutturazione di un territorio. Questo lo insegna EXPO 2015 a Milano e, per spostare il focus, la lotta dei No TAV a Torino sulle grandi opere. Il tema non sono le infrastrutture di per sé, la loro costruzione o riqualificazione, ma l’utilità e il rapporto costi e benefici sociali per la cittadinanza, cose che spesso non vengono valutate in questi progetti calati dall’alto».

La città attrattiva è sempre meno abbordabile: il report di OCA (Osservatorio Casa Abbordabile) sull’housing affordability a Milano

Nella letteratura internazionale la relazione tra costi abitativi e capacità economica, ovvero l’andamento di redditi e salari ma anche le condizioni lavorative quali precarietà e mobilità, è detta housing affordability. Questo indice ci è utile per capire perché – come si scrive tanto sui giornali – i millennials e la generazione Z non comprano più casa, così come perché in Italia un modello di sviluppo immobiliare come quello proposto da Milano è impensabile e mal riposto: 

«Quando si parla di casa in Italia la questione salariale è impattante, considerato che negli ultimi vent’anni i salari medi si sono abbassati». L’analisi comparativa condotta da OCA, l’Osservatorio indipendente Casa Abbordabile di Milano Metropolitana, vede una crescita marcata dei prezzi immobiliari e degli affitti, rispetto alla sostanziale stagnazione dei redditi e delle retribuzioni, soprattutto per le qualifiche basse e medio-basse. 

Mentre nel periodo tra il 2015 e il 2021 gli affitti medi crescevano del 22 per cento, reddito e retribuzione media aumentavano rispettivamente del 12 e del 13 per cento. Per non parlare dei prezzi di compravendita delle case che hanno subito un rialzo del 41 per cento. «Partiamo dall’elemento del salario perché la precarietà abitativa è strettamente connessa con la precarietà lavorativa e salariale. Le politiche abitative in Italia hanno storicamente favorito la proprietà privata, vale a dire hanno incentivato la compravendita di immobili. Le nuove generazioni, però, hanno un problema economico e di tenuta sociale che non gli permette di accedere al mercato immobiliare a meno che non abbiano qualcuno delle generazioni precedenti che fa da garante». La forbice tra costi abitativi e disponibilità economica rende Milano una città inaccessibile per tanti lavoratori e studenti. Così, la proprietà immobiliare – di chi già ha oppure eredita – oppure l’aiuto finanziario parentale, rischiano di diventare (e già in parte sono) condizioni quasi necessarie per poter vivere nell’area metropolitana e, dunque, per poter lavorare.

Il movimento ‘Tende in Piazza’: il diritto alla casa è un problema sociale conclamato

Una città che si fregia e che è creduta da molti il centro propulsivo per le carriere dei più giovani in Italia, è intanto inaccessibile proprio per quei nuovi arrivati. Lo hanno dimostrato le proteste delle tende studentesche: dalla prima tenda accampata da Piazza Leonardo da Ilaria Lamera a tutto il movimento che è nato da lì in avanti. «Il movimento ‘Tende in Piazza’ ha reso evidente un fenomeno che era invisibile e quasi rimosso dall’amministrazione che diceva ‘il problema della casa non esiste perché a Milano sono tutti proprietari’. Delle tende studentesche fissate proprio di fronte al Politecnico di Milano un’università che, seppur pubblica, accoglie fasce di reddito medio-alte, ha fatto esplodere la contraddizione. Per l’amministrazione si è posto il problema di dover almeno cominciare a ragionare sulla questione abitativa». 

La risposta al caro affitti studentesco è stata abbozzata il 22 settembre durante un incontro a Palazzo Marino tra il sindaco Sala, esponenti dell’amministrazione, sindacati, studenti e rettori. Il progetto Studentato Diffuso prevede la messa a disposizione di seicento nuovi posti letto per studenti entro il 2024, da affittare a una tariffa agevolata compresa tra i 250 e i 350 euro al mese. Per i costi di riqualifica e ristrutturazione degli alloggi ora vuoti e in case popolari il comune spera di attingere ai fondi PNRR. Seicento posti letto sembra essere un numero di nuovo insufficiente rispetto alla crescente domanda, tanto più perché i finanziamenti pubblici hanno, invece, ampiamente supportato e stanno supportando un mercato assai più lucrativo che è quello della costruzione di residenze universitarie di lusso come il Campus Goccia del Politecnico di Milano a Bovisa e quello dello IED (Istituto Europeo di Design) nell’area dell’Ex Macello (entrambi chiaramente assegnati tramite bando Reinventing Cities). «Il punto è che l’amministrazione e qindi il Partito Democratico hanno permesso che milioni di euro del PNRR venissero vincolati su progetti privati che creavano studentati di lusso e, nel frattempo, a livello regionale non è stato fatto nulla per garantire il diritto allo studio agli studenti, di cui il problema abitativo rappresenta una delle questioni cardine».

Quasi nessun progetto di riqualificazione urbana in attivo prevede alloggi di edilizia residenziale pubblica, mentre la domanda abitativa cresce

Nonostante il conclamato problema del caro affitti, a Milano quasi nessuno dei progetti di riqualificazione in corso prevede di destinare parte delle aree ad alloggi di edilizia residenziale pubblica. Mentre la domanda cresce, il numero di alloggi disponibili è diminuito notevolmente: «si pensi che dal 1991, quando potevamo contare 80.000 alloggi di proprietà dell’allora IACP oppure di altri enti pubblici, oggi ne rimangono circa 54.000». Sempre secondo OCA, dal 2015 al 2021 nel Comune di Milano sono stati richiesti permessi di costruire da enti pubblici per soli 196 alloggi e, solo nel 2022, sono state presentate domande da 36.946 nuclei familiari a fronte di 1.523 alloggi messi in avviso e 1.297 alloggi assegnati. 

«All’ultimo bando pubblico per l’edilizia popolare sono state presentate 16.000 domande e la cosa più grave è che si potrebbe venire incontro a questa domanda affittando le case vuote del patrimonio di edilizia popolare: 6.000 case di MM» che è la società che dal 2015 gestisce il patrimonio E.R.P. del Comune di Milano del Comune di Milano «e 8.000 solo a Milano di proprietà di Aler Lombardia. Questo dato rappresenta una dispersione di patrimonio pubblico che è vergognosa». Dal 2015 – data che abbiamo individuato come un punto di svolta nei processi sull’abitare – quasi il 90 per cento dei permessi per costruire alloggi a Milano sono stati emessi in favore di soggetti privati sul mercato libero, con solo 1.577 alloggi che fanno capo a cooperative di abitazione: un trend molto diverso quello del 2011-2015, che vedeva un ruolo molto più marcato delle cooperative sociali.

I piani di riqualificazione dovrebbero rappresentare un’opportunità per l’amministrazione per costruire per il pubblico

Si preferisce piuttosto destinare i complessi e gli edifici costruiti o riqualificati alla commercializzazione delle aree: vetrine per grandi brand e miniere d’oro per fondi di investimento esteri. «Sui quartieri rigenerati bisognerebbe prevedere alloggi a prezzo calmierato o di edilizia pubblica. I piani di riqualificazione stessi dovrebbero rappresentare un’opportunità per l’amministrazione per recuperare soldi e costruire per il pubblico». L’argomento degli elevati costi abitativi, della mancanza cronica di fondi pubblici e dell’indigenza dell’edilizia sociale e popolare sono trattati nel dibattito metropolitano come fatti inesorabili, tra quei pochi esiti spiacevoli di una città che si rivolge al futuro internazionale, come se le politiche locali – non solo quelle regionali ma anche comunali – non giocassero un ruolo nel segnare le traiettorie dello sviluppo urbano, sociale, economico e culturale. Uno dei diversi strumenti che l’amministrazione pubblica può utilizzare per recuperare alloggi e fondi dalle partnership pubblico-privato sulla costruzione e riqualificazione di stabili sono gli oneri di urbanizzazione. 

«Il Comune di Milano millanta spesso la cronica mancanza di fondi. Se in un piano di riqualificazione come quello previsto per Piazzale Loreto sono investiti 80 milioni di euro, non si può escludere un ragionamento sugli oneri di urbanizzazione». Il report di OCA conferma un dato preoccupante: i parametri di determinazione degli oneri di urbanizzazione che risultavano fermi al 2014 e, soprattutto, tra i più bassi d’Europa sono stati aggiornati solamente a giugno 2023. «Se già il fatto che fossero tra i più bassi in Europa e che fossero fermi alla stessa cifra da anni era discutibile qualche anno fa, adesso con la crisi abitativa l’indigenza sugli oneri si configura come un posizionamento politico gravissimo da parte dell’amministrazione. Quella di non chiedere o di tenere bassi gli oneri di urbanizzazione per gli operatori privati è una scelta deliberata che vuole favorire la speculazione immobiliare, invece che i cittadini, le cui richieste non vengono ascoltate».

Milano: autoritaria, esclusiva e separata, non restituisce a sufficienza

«Progetti di riqualificazione come quello di Piazzale Loreto polarizzano la città imponendo ai cittadini un unico modello di vita e di consumo, che molti non possono permettersi». È ricorrente nel dibattito pubblico il riferimento all’esperienza abitativa di categorie professionali a reddito medio-basso il cui servizio alla città è fondamentale. Sono i cosiddetti ‘key workers’, lavoratori indispensabili per tenere insieme il tessuto urbano, sui quali i costi abitativi sembrano pesare più fortemente: infermieri, tranvieri, insegnanti, rider, lavoratori del commercio e dei servizi. 

Sempre di più – lo evidenzia di nuovo OCA – a trovarsi in difficoltà abitativa sono anche categorie e profili più qualificati e a reddito più alto, come i medici. Sono state chiamate fasce grigie, quelle che si sono trovate strette tra la pochezza dell’offerta pubblica e i costi eccessivi del mercato libero. La crisi abitativa sta cominciando a tradursi anche nella difficoltà ad attrarre lavoratori per i concorsi pubblici, come quelli di ATM, un tempo considerati attrattivi e che ora vengono disertati per i costi eccessivi della città. Intanto, per mancanza di nuovo personale, i dipendenti ATM sono costretti a sostenere turni sempre più lunghi, con tutte le pericolosità che la stanchezza e la deprivazione del sonno portano con sé. «Milano si sta configurando come una città sempre più autoritaria, esclusiva e separata rispetto a quello che le sta attorno: una città inaccessibile che non restituisce a sufficienza a chi genera la sua ricchezza e tiene in piedi la sua economia, economia che non è fatta solo di eventi e infrastrutture ma anche di servizi essenziali, di commercio al dettaglio, di lavoratori della conoscenza e di professionalità diverse».

La riqualificazione di aree, il caro affitti e tutti i fenomeni interconnessi non sono un male di per sé, dipende da come vengono governati

«La riqualificazione di aree, l’aumento dei prezzi, il caro affitti e tutti i fenomeni interconnessi di cui abbiamo parlato finora non sono un  male di per sé. Il loro impatto dipende da come vengono governati. È importante che i benefici dei processi di rigenerazione urbana siano accessibili a tutti, che i vantaggi in termini di decoro e di qualità di vita supposti da una riqualificazione siano pensati per tutti i cittadini, non solo per una piccola percentuale di loro. Visto che i piani di riqualificazione a livello metropolitano sono tanti a Milano, sicuramente questi riscriveranno e ridefiniranno la città. Genereranno degli effetti che – se non governati e misurati – creeranno processi di espulsione e di esclusione per la cittadinanza».

Laboratorio Piazzale Loreto e Chiediamo Casa: le iniziative di Abitare in Via Padova che ripensano l’atomizzazione del problema abitativo, e non solo

«Molte persone credono che il problema della casa non sia risolvibile o che sia risolvibile solamente dal mercato, con soluzioni individuali». Sono dei motivi storici quelli che ci tengono immersi in questo atteggiamento: l’atomizzazione delle istanze politiche in aspirazioni individuali avvenuta a partire dagli anni Ottanta ha fatto pensare di poter fare poco o nulla per rivendicare la casa come diritto collettivo, invece che come bene privatizzabile e asset di investimento. L’individualismo con cui si sono affrontate le questioni urbanistiche e del diritto all’abitare hanno fatto il gioco della finanziarizzazione del mercato immobiliare e delle riqualificazioni estensive dei territori, partecipando a costruire una città atomizzata. 

«La leva delle discussioni e delle politiche pubbliche sulla questione dell’abitare esiste e ha generato dei risultati già in passato. Con la campagna cittadina che abbiamo lanciato, “Chiediamo Casa”, cerchiamo di essere molto chiari nelle richieste. Le misure su cui stiamo cercando di far leva sono: un tetto agli affitti, la limitazione degli affitti brevi e delle locazioni turistiche, un nuovo piano per l’edilizia pubblica e popolare e la produzione di affitti calmierati sull’edilizia sociale nelle nuove costruzioni, perché Milano è piena di cantieri ma tutti producono edilizia inaccessibile per la maggior parte della gente». Laboratorio Loreto, invece, si occuperà nello specifico di aprire un dialogo su LOC 2026 e proporre delle misure che mitighino gli effetti espulsione e di gentrificazione nei quartieri limitrofi.

Abitare in Via Padova nasce del 2022 – nuove politiche pubbliche per il diritto all’abitare

Abitare in Via Padova nasce nel 2022 su iniziativa di una varietà di comitati locali, attori del terzo settore, singoli attivisti ed esperti con l’obiettivo di elaborare, rivendicare e costruire nuove politiche pubbliche per il diritto all’abitare. A unire questi attori è la comune appartenenza ai quartieri che si sviluppano lungo e tra Via Padova e Viale Monza a Milano e la comune preoccupazione per gli esiti sociali dei rapidi processi di valorizzazione immobiliari che negli ultimi anni ne hanno coinvolto parti significative. 
Primo rapporto nazionale sulla rigenerazione urbana generato dalla società di consulenza Scenari Immobiliari e da Urban UP | Unipol è stato presentato giovedì 9 novembre alle Scuderie di Palazzo Altieri (Roma).

Alessia Baranello

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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