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Luca Ravenna: noi millennial siamo un po’ sfigati? Almeno abbiamo l’ironia

Incontro con Luca Ravenna, stand-up comedian, conduttore di podcast e autore televisivo: le polemiche su Milano, il politically correct, l’autocensura, la politica, i danni dei social

Luca Ravenna: Milano, una mela da azzannare di cui ci è rimasto solo il torsolo

Ogni giorno un giornale o una trasmissione tv dedicano spazio a quello che è diventato un nuovo trend mediatico: criticare Milano. Dai video delle borseggiatrici riprese – illegalmente – nella metro e sbattute sui social per macinare milioni di visualizzazioni, al caro-vita e caro-affitti, che ha fatto lievitare il valore delle case a prezzi stellari, fino alla percezione di generale insicurezza e disillusione, gli articoli le critiche – anche pretestuose – si sprecano. Luca Ravenna è milanese ma romano d’adozione. È davvero messa così male Milano? «Di certo è cambiata. Io sono andato via da Milano nel 2006, quando era una città diversa. Ancora oggi ho tatuati nel cervello gli stessi posti che frequentavo quando andavo al liceo. Questa situazione ha generato una specie di mostro di 35 anni che va nei posti ormai frequentati dai ragazzini. Non conosco tutti i quartieri nuovi sorti negli ultimi anni, quando li visito sono una novità anche per me. In questi anni, in realtà, ho visto la città migliorare. Soprattutto dopo l’Expo, è esplosa: sembrava una mela che si poteva azzannare all’infinito. E invece ora, eccoci qua, dopo il Covid, con in mano il torsolo, che fa abbastanza impressione. È inevitabile che ci si lamenti del caro-affitti e del caro-vita: Milano ha dei prezzi assolutamente ingiustificabili. È anche vero che, se si ha voglia e tempo di andare a cercare posti dove mangiare o bere bene senza spendere un occhio della testa, si trovano, ma in generale è una città troppo cara».

Luca Ravenna: mi manca la Milano più punk che conoscevo. Oggi l’unica cosa ‘sporca’ è l’aria

«È un problema che l’amministrazione Sala si deve porre in modo chiaro, e so che lo sta già facendo. Mio fratello, ad esempio, sta cercando casa a Milano e sta facendo molta fatica. Io l’ho cercata a Roma, ma qui si può ancora trattare. A Milano no, perché nel frattempo ci sono altre venti persone in attesa che vogliono prendere quella stessa casa. Se andiamo avanti così, la città rischia davvero di esplodere come una bolla gigantesca. Se ho nostalgia di Milano? Sono nostalgico per natura, ma in questo momento non ho nostalgia della mia città. Forse mi manca la Milano più ‘sporca’, più punk, che ho vissuto da ragazzino. Adesso è l’aria ad essere sporca, il resto meno».

La percezione di Milano e i danni causati da Instagram

«Mi è capitato più volte di scherzare sul fatto che Instagram abbia creato dei danni alla percezione della città. Per sua natura Milano è una città-vetrina ma Instagram, e i social in generale, hanno esasperato questa vocazione. Mi chiedo: per cosa? Per andare a bere in un posto in più? Lavorando nel mondo dei live e facendo serate sono contento, perché almeno le persone fanno qualcosa di diverso dal semplice andare a bere fuori». Milano, come hanno già spiegato commentatori e analisti, è vittima di una narrazione mediatica e di marketing che snatura e porta all’accesso alcune sue caratteristiche peculiari. Durante il periodo più duro della pandemia lo slogan Milano non si ferma rappresentò un boomerang comunicativo che si è poi riversato contro la città e la sua immagine pubblica. «Quello è stato un bell’autogol dal punto di vista della narrazione, ma è anche vero che in quel momento qualsiasi messaggio sarebbe potuto essere travisato. Giusto la Città Eterna riesce a sopravvivere anche a questi eventi di portata storica, perché essendo eterna è spesso immobile: se non fai niente, non sbagli mai». 

Luca Ravenna e la scelta tra Milano e Roma: madre la prima, moglie la seconda

A proposito dell’eterno scontro Roma/Milano, tu da che parte stai? «Non sto da nessuna parte. Per me Milano è come la mamma e Roma la moglie. Voglio bene a entrambe. Sono felice di vivere a Roma e ho la fortuna di fare un lavoro per cui vivo i lati migliori della città, non ho orari da ufficio, ho giornate molto elastiche e flessibili. Al contrario di Milano, Roma ha una narrazione sbrigativa, spesso superficiale, perché basa molto la sua promozione su quello che c’è già da millenni. Visto che funziona ancora, si continua a battere quella strada».

Le città italiane tra reputazione social e realtà dei fatti

In questo periodo ha fatto molto discutere un articolo di una studentessa americana per Insider in cui bocciava il suo semestre di studio passato a Firenze. L’immagine idealizzata che aveva dell’Italia, e del capoluogo toscano in particolare, non ha retto la prova dei fatti una volta trasferitasi nel Bel Paese. Analizzando la questione da una prospettiva più larga, esiste uno scarto tra l’immagine che l’Italia vuole dare di sé e la realtà dei fatti. Ne sono un esempio gli articoli che ogni anno a inizio estate fioccano su testate come il New York Times, in cui vari commentatori esteri sottolineano una volta la voracità dei gabbiani romani, l’altra il sovraffollamento di Venezia. Esiste quindi uno scarto tra la percezione dell’Italia sui social e quella reale?

«Partiamo dall’esempio di Firenze: fino a che punto si vuole spremere una città per guadagnare sulla pelle di turisti e studenti? Se si va avanti a oltranza, è normale che prima o poi arrivi qualcuno a dirti che quel posto è una città di merda in cui si vive male, e noi italiani ci rimaniamo male, soprattutto se sono gli stranieri a dirlo. C’è un fondo di verità in tutto questo: Firenze è una città di grande bellezza, ma è diventata invivibile. In questa dinamica i social hanno una doppia valenza: da un lato sono il mezzo attraverso cui le città si raccontano, dall’altro proprio questo racconto finisce per influenzare la città stessa, che ne diventa vittima. Oggi non è un caso che Napoli sia una città simile a Milano, sotto certi punti di vista: si tratta due città-vetrina che si sanno raccontare e vendere molto bene; entrambe sono molto anglofile. Sono stato a Napoli di recente e ho trovato commistioni originali tra italiano, napoletano e inglese. Mi è capitato di vedere l’insegna di un negozio che recitava backstreet hairstyle da Ciro. Anche a Napoli hanno iniziato a far pagare uno Spritz nove euro, come in corso Sempione a Milano. Quello che mostrano i social è diverso dalla realtà. Questo non vuol dire che i social non debbano essere utilizzati per vendere nel modo più efficace le risorse».

Luca Ravenna e il politically correct: una finta emergenza, ma attenzione alle esagerazioni

A proposito di anglofilia, soffermiamoci sulla questione legata al politically correct che, da quanto si apprende sui giornali, sembra essere diventato una vera e propria emergenza. Siamo tutti vittime di un clima censorio o la faccenda viene trattata in maniera strumentale? Tu utilizzi un registro spesso dissacrante e senza filtri: è vero che oggi bisogna stare più attenti, oppure no? «Non esiste nessuna emergenza. Se per un giorno e mezzo c’è una polemica sull’opportunità o meno di utilizzare una parola, non significa esista una vera emergenza. Oggi sembra che ci si debba nutrire di polemiche che, letteralmente, non esistono. Non viviamo sotto una dittatura. Se è un’emergenza nella bolla di Instagram o di Twitter, allora non è una vera emergenza. È vero piuttosto che nel momento in cui si mette in dubbio il senso e il valore del linguaggio, è come trovarsi di fronte a un organismo che ha finito il cibo e inizia a mangiarsi da solo. Se non si fa riferimento al contesto in cui è stata pronunciata una parola o una certa frase, quello è un problema». 

Luca Ravenna e il caso dei libri di Roald Dahl: quando anche il linguaggio diventa un’operazione commerciale

Credi sia giusto, come nel caso dei libri di Roald Dahl – ma gli esempi sono molti – cercare di attualizzare il pensiero di autori che hanno vissuto anche centocinquanta fa, andare a decostruire quello che hanno detto, cambiare le parole, il loro senso, per renderlo più accogliente e più adatto alla sensibilità contemporanea? È un modus operandi che condividi? «Assolutamente no, e penso che nessuno sano di mente possa condividere un’operazione del genere. Riguardo al caso di Dahl, nello specifico, ritengo che l’operazione fatta dalla casa editrice inglese (Puffin Books, ndr) sui suoi libri sia più che altro una mossa di tipo commerciale. Se chi compra quei libri appartiene in larga maggioranza a una fascia d pubblico più sensibile a un certo tipo di cultura, l’azienda deve trovare un modo per rendere quel prodotto maggiormente appetibile per quel target. Questo è un problema reale nei Paesi anglofoni, sicuramente non da noi. In generale, quando tutto, anche il linguaggio, diventa un’operazione commerciale allora siamo di fronte a un problema.  Non è togliendo la parola ‘ciccione’, che le persone smettono di avere problemi di peso. Ovviamente mi riferisco a questo tipo di parole, diverso è il discorso quando c’è di mezzo la discriminazione sistemica di una o più minoranze».

Luca Ravenna e il rischio reale dell’autocensura di fronte all’ipersensibilità contemporanea

Esiste il rischio di autocensura rispetto ad alcune parole e concetti sui quali oggi esiste una maggiore sensibilità? Per fare un esempio, le Eterobasiche – progetto social che prende in giro atteggiamenti machisti e sessisti – hanno fatto uno sketch in cui leggevano alcuni commenti arrivati sotto la loro pagina, fra questi ce n’era uno che conteneva la parola ‘ne*ro’. Dopo quel video sono arrivati sul loro profilo tantissimi attivisti che hanno chiesto di eliminare il video o censurare quella parola. Che ne pensi?

«Conosco personalmente le Eterobasiche e so com’è andata la faccenda. Le Eterobasiche rappresentano due maschere comiche, come lo è Checco Zalone, Sacha Baron Cohen, o come lo era Fantozzi. La commedia dell’arte richiede che si riportino delle situazioni che nella vita reale accadono davvero. Bisogna sempre tener ben presente il contesto: non sono loro ad aver detto quella cosa, stavano semplicemente leggendo alcuni commenti ricevuti. Il punto è che se una persona vive la sua vita sui social, col fucile puntato e non vede l’ora che succedano queste cose per avere cinque minuti di visibilità e portare acqua al proprio mulino, è un problema suo e non sicuramente degli autori, che sono responsabili di quello che dicono, non di quello che gli altri capiscono. Bisogna essere liberi di mettere in scena un personaggio che dice anche cose scomode, perché nella realtà queste situazioni esistono. Anche a me sono capitate spesso situazioni del genere: sotto uno degli ultimi video che ho pubblicato, in cui prendo in giro il raduno degli Alpini, un tizio ha scritto: ‘Non vedo l’ora che tu faccia la maglietta con scritto sopra Le molestie si fanno in modo dritto, senza esitare’, facendo riferimento alla mia battuta. Io stavo scherzando sul fatto che non potrei mai fare l’Alpino, perché non so molestare le persone e sarei un molestatore insicuro. È chiaramente una battuta: chi vuole capire, capisce, ma sono sicuro del fatto che le persone siano molto più intelligenti di quello che crediamo. Spesso le persone che rompono le palle, soprattutto nel mondo della comicità, sono quelle che non sanno ridere o che ridono per poche cose. In generale, non è mai facile esporsi, è più facile censurare»

Destra e sinistra tra ironia e autoironia, la politica e la Rai; Luca Ravenna: la politica italiana ha una comicità imbattibile

In un passaggio del monologo comico intitolato 568, Ravenna fa riferimento alla possibilità di poter parlare di politica nel mondo dello spettacolo. Oggi si può parlare liberamente o è meglio mordersi la lingua? «È un po’ presto per capirlo, ma di solito il luogo in cui si vedono meglio i cambiamenti nel passaggio da un governo all’altro è la Rai. I programmi con un certo taglio sono eliminati o improvvisamente cambia il tono o addirittura il conduttore. In generale la destra porta sempre grandi spunti e grande satira, però, come dico anche nel monologo, è impossibile battere la politica italiana: ogni dieci minuti c’è una gag involontaria o una gaffe che non ti sarebbe mai venuta in mente». È più autoironica la destra o la sinistra? «Storicamente la destra non è per nulla autoironica e tende a non ridere mai. Chi è di destra in Italia crede in una serie di valori e di ideali spesso ancora legati al Ventennio. La sinistra tende invece a ridere molto volentieri di se stessa e a crogiolarsi sui propri difetti. L’unico grande, vero genio era Berlusconi ai tempi d’oro, perché, come ha fatto spesso, assumeva i migliori autori della sinistra italiana, li ricopriva di soldi e li portava nei suoi programmi tv. Lui è stato l’unico a capire che l’autoironia non era di casa a destra. Oggi è più facile che Salvini si offenda che vederlo ridere. Detto questo, giuro che se Salvini un giorno mi dovesse fare un endorsement, smetto di fare il comico».

Cachemire, di Luca Ravenna e Edoardo Ferrario; il mercato dei podcast tra saturazione e libertà editoriale

Dal 2020 Luca Ravenna conduce, insieme a Edoardo Ferrario, Cachemire – Un podcast morbidissimo, uno dei podcast di maggior successo in Italia, un prodotto molto ascoltato, soprattutto dai giovani. In italia il mercato dei podcast sta vivendo la sua stagione d’oro: nel 2022 si è registrata la più alta crescita di ascolti dall’inizio delle rilevazioni: quasi due milioni di utenti in più rispetto all’anno precedente, con la quota di audience che è passata dal 31 al 36%. È un mercato ormai saturo? «I podcast sono un po’ come gli affitti a Milano: a un certo punto si saturerà la bolla fino a esplodere. Per questo è importante continuare ad evolversi e ad aggiornarsi. Se non lo facciamo, faremo la fine delle web serie, che dopo un periodo di grande interesse, sono scomparse. Questo perché i broadcast non hanno colto la spinta e, secondo me, succederà la stessa cosa anche con i podcast. Ci sarà una predominanza del video: vinceranno i prodotti audio che avranno anche la parte video. Detto questo, Indagini di Stefano Nazzi è il mio podcast preferito ed è bello che non sia in formato video». Stefano Nazzi è anche l’esempio concreto che, per fare un buon prodotto e avere successo, non è necessario essere per forza famosi, giovani, belli.

«È vero. Scrivere bene, avere un editore – in questo caso Il Post – che conosce il mercato (il crime è il genere numero uno dei podcast) sono aspetti fondamentali per fare un podcast di successo. La caratteristica dei podcast è che c’è ancora grande libertà editoriale, sicuramente di più rispetto al mondo dello streaming (Amazon e Netflix) dove, ad oggi, domina l’algoritmo e lo sfruttamento dei dati, lasciando poco spazio all’inventiva e alla sperimentazione».

Luca Ravenna e stand-up comedy: c’è ancora spazio per emergere

Da quest’anno Ravenna, assieme a Daniele Tinti, conduce il podcast settimanale di genere sportivo TAQ – Tutti allenatori qui, in esclusiva su Spotify. Il suo percorso, però, è iniziato dalla stand-up comedy. Oggi il mondo della stand-up è troppo inflazionato o rappresenta ancora un trampolino di lancio per i talenti emergenti?

«Inflazionato direi ancora di no. Sicuramente con internet i contenuti diventano virali più facilmente, ma ricordiamoci che neanche dieci anni fa c’erano solo due locali che facevano stand-up comedy. Poi, pian piano, anche i localari (come vengono chiamati a Roma) hanno capito che conviene portare i comici sul palco per staccare più biglietti. Sicuramente è un’ottima occasione per lanciarsi e ritengo che sarà anche la base di lancio per i migliori autori e attori del futuro. La stand-up è un punto di arrivo per pochi, ma un punto di partenza per tantissimi. L’aspetto affascinante del nostro lavoro è che c’è bisogno della presenza di un pubblico che ascolti e apprezzi le nostre battute. E farlo sul palco, anche davanti a trenta, quaranta persone, cambia totalmente il modo di scriverle, di farle e poi di utilizzarle. Ad oggi, Roma è la casa dei migliori locali di stand-up comedy. Al Yellow Square di Milano c’è una serata molto carina che si chiama Maschi bianchi etero: ve la consiglio.

Ravenna e la ricetta semi-seria per diventare un comico di successo

Se esiste, qual è la ricetta per diventare un comico di successo? Basta un telefono, la ring light e TikTok, oppure c’è altro? «Quello può essere un ottimo modo per emergere. Il creator italiano più famoso del mondo, Khaby Lame, è partito da lì. Si tratta di due ‘sport’ completamente diversi, non per forza uno migliore o peggiore dell’altro. La ricetta esatta per fare questo mestiere non ce l’ho e probabilmente non esiste. Sicuramente non bisogna aver paura di calcare il palco e di dire minchiate, ma ci tengo anche a sottolineare che non è un lavoro per tutti. Magari molte persone sono bravissime con i video, ma non sanno tenere un palco. Il mio consiglio è di partecipare a un open mic dal vivo (le serate aperte che permettono a chiunque di esibirsi live, ndr), se ti piace e ti viene voglia di metterti alla prova, ti iscrivi. La volta successiva sali sul palco e rompi il ghiaccio».

I millennial sono sfigati e i giovani non sanno più ridere?

Cosa vuol dire oggi essere un millennial? È vero che è una generazione un po’ sfigata? «Quelli della nostra età hanno visto partire questa strana onda sul mare, sono andati a vedere quell’onda e hanno scoperto che si trattava di Internet. L’hanno surfata ancora prima che diventasse uno tsunami. Siamo quella generazione di mezzo tra chi ha preso internet in faccia e chi ne è stato travolto. Noi, per lo meno abbiamo una tavola sotto i piedi, che in questo caso è l’ironia. Quindi sì, siamo un po’ sfigati, ma dobbiamo anche riconoscerci il merito di aver creato il mondo che c’è oggi. D’altra parte, non vorrei mai essere oggi un liceale di 18 anni con Instagram».

A proposito di Gen Z, la nuova generazione è allergica alle risate o è cambiato il modo di fare comicità? «Purtroppo loro sono cresciuti in un’epoca in cui tutto quello che esprimi resta scritto e io posso venire a rinfacciartelo in qualsiasi momento. È come vivere in un campo minato. È probabile che sia per questo che molti di loro vivono l’utilizzo delle parole con ansia. Io ho fiducia nei giovani e non sono d’accordo con gran parte della narrazione che viene portata avanti su di loro. Una cosa che mi spezza il cuore è quando mi chiedono: ‘Posso utilizzare il Bonus Cultura per venire a vedere il tuo spettacolo?’, perché non è utilizzabile per questo genere di spettacoli. Sarebbe bello se invece venisse esteso anche al settore della comicità»

Luca Ravenna 

Nasce a Milano il 27 settembre 1987 e vive a Roma dal 2006. È comico, autore e sceneggiatore televisivo. Si è diplomato al Centro Sperimentale di cinematografia con indirizzo sceneggiatura, ha collaborato con il gruppo comico romano The Pills e con il programma tv Quelli che il calcio, si è esibito in spettacoli di stand-up comedy e nel 2021 ha partecipato alla prima edizione della serie comedy LOL – Chi ride è fuori su Amazon Prime. Dal 2020 conduce, insieme a Edoardo Ferrario, il podcast Cachemire – Un podcast morbidissimo. Da quest’anno conduce, assieme a Daniele Tinti, il podcast settimanale di genere sportivo TAQ – Tutti allenatori qui, in esclusiva su Spotify.

Alessandro Mancini

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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