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Saltburn (2023), regia di Emerald Fennell
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Saltburn: quando la povertà è nuda, felice e cattiva

Oliver in Saltburn è cattivo e senza remora: la lotta di classe nel cinema quando i poveri vincono e i ricchi cuociono

La nuova lotta di classe nel cinema contemporaneo è ruvida e omicida 

Se la povertà non è né etica né giusta, come potrebbe esistere un modo etico e retto per uscirne? In un mondo dalle distribuzioni e dalle fortune inique, le ingiustizie non si combattono con superuomini o supermeritocrazie. La nuova lotta di classe del cinema è ruvida e omicida e non c’è più vero valore e connotazione né nella ricchezza, né nella povertà, tanto che il fatto che Oliver in  Saltburn menta per tutto il tempo sulle condizioni economiche della sua famiglia risulta impercettibile. Forse la bugia meglio detta di tutta la pellicola. 

Oliver Quick, protagonista di Saltburn

Un ragazzo arriva alla Columbia University per frequentare il suo primo anno al college. Dimesso e quadrettato: il suo manierismo è ben lontano da quello dei compagni di corso ereditieri e di buona famiglia. Siede da solo nelle sale comuni stile Hogwarts che ci raccontano una ricchezza ormai démodé: quella pomposa e pirotecnica tipica degli anni 2000. È intelligente ed empatico, dimostra da subito qualcosa di più rispetto allo stereotipo dell’occhialuto in cui tentano di ingabbiarlo. Quel ragazzo è Oliver Quick (Barry Keoghan) ed è il protagonista di Saltburn, opera seconda di Emerald Fennell, distribuita in Italia da Prime Video. 

I piercing di Felix trascinano Oliver a Saltburn, la residenza estiva del compagno di corso

A conclusione del semestre, il luccichio della vita e delle natiche di Felix Catton (Jacob Elordi) attirano Oliver nella residenza estiva del compagno di corso dal lignaggio nobiliare, la tenuta di Saltburn. I piercing di Felix al sole diventano caleidoscopici e trascinano il maldestro amico in quella che Fennell ci fa credere essere un’inquietante ma innocente ossessione, non diversa dalle attenzioni che i cugini sviluppano l’uno per l’altro durante le vacanze estive in costume. 

La supposta povertà di Oliver ci appare nuda (letteralmente) – fragilità umana felice e ironia ruvida

L’arco narrativo riservato al personaggio di Oliver ne annulla l’inadeguatezza con un cambiamento lento e vorace. Alla fine della pellicola, la supposta povertà di Oliver ci appare nuda (letteralmente), ruvida, felice nella sua cattiveria. Il mistero (o talento) di questo personaggio, in fondo, non sta né nella sua bontà, né nella fragilità umana. Neppure ha a che fare con l’inganno e l’imbroglio, come in altri film tesi al furto dell’identità, tra tutti The Talented Mr. Ripley (1999). Nel caso di Saltburn, siamo alle prese, in effetti, con un sorta di ironia ruvida e omicida, l’unica strada percorribile da un Oliver nudo che vorrebbe vivere in quella casa, con quelle natiche e quei piercing, sulle note di Murder on the Dancefloor. E deve capire come farlo. 

Saltburn: una parabola sulla povertà e sulla ricchezza, ben diversa dalle sue cugine di ossessioni 

Di Saltburn è stata sottolineata la morbosità, come anche l’intrattenimento camp superficiale e smutandato. Molti indugiano sulla cifra queer e omoerotica del film. Hanno fatto scuola alla Call Me By Your Name scene come quella improvvisata da Barry Keoghan di fronte alla tomba di Felix. Pure, la fotografia alla Euphoria e gli outfit codificati Gossip Girl partecipano a leggerlo come un pastiche di tutto quello che funziona o ha funzionato nella cinematografia delle ossessioni: dal premiato Parasite di Bong Joon-ho fino al riscoperto Teorema di Pasolini. Superato l’evidente citazionismo della pellicola, Saltburn ritrova però una cifra autoriale nella scrittura di una parabola sulla povertà e sulla ricchezza ben diversa da quella delle sue cugine sul piccolo e grande schermo. 

L’attrazione-narrazione dell’ultra-ricco – un filone cinematografico contemporaneo

Quello dell’attrazione-narrazione dell’ultra-ricco è un filone contemporaneo. Penso a successi come la serie White Lotus, ambientata negli omonimi resort in giro per il mondo, o a The Menu, horror/commedia del 2022 dove una giovane coppia parte per un’esperienza gustativa su un’isola un po’ fuori mano insieme a un gruppo di ricconi. In queste e altre produzioni la cifra satirica è molto evidente, tanto che a proposito di un altro successo HBO – la serie Succession – si è detto che le persone comuni sembrano non averne mai abbastanza di vedere dei ricchi bianchi comportarsi male e poi finire altrettanto male. Essere, insomma, miserabili e dispersi. 

Un feticcio di matrice carnevalesca – Eat the Rich

Il feticcio di matrice carnevalesca del vedere l’ultra-ricco piangere per poi supplicare (Parasite), vomitare dopo una cena lussuosissima (Triangle of Sadness), bloccato in una famiglia disfunzionale (Succession), scalpitare per avere attenzioni sessuali (Teorema) è sicuramente un amico fedele della cinematografia contemporanea, appoggiata a un sentimento sempre più comune, ben canalizzato nella popolarità della frase di Rousseau Eat the Rich: quello di vedere i ricchi perdere, cuocere nel proprio brodo e poi, forse, mangiarli. 

Saltburn non regala soddisfazioni feticiste – l’attenzione rivolta all’ultra-ricchezza si rifrange in povertà cattiva 

Saltburn non regala le stesse soddisfazioni feticiste: la linea di demarcazione tra una povertà buona e una ricchezza cattiva non è affatto delineata nella pellicola e la satira colpisce intelligentemente tutte le classi sociali. L’attenzione rivolta all’ultra-ricchezza si rifrange nei miliardi di specchi della tenuta di Felix per ritornare a indugiare su un tema che avevamo abbandonato da un po’: la povertà cattiva. Oliver d’altronde è ben diverso dai poveri rappresentati dal cinema neorealista: grandi lavoratori e ultimi detentori di valori positivi come la comunità e l’accoglienza in una società allo sbaraglio. Non somiglia neppure agli “accattoni” del cinema pasoliniano: sottoproletari che, seppur pericolosi e violenti, continuano a entrarci nel cuore perché comprendiamo le ragioni sociali della loro cattiveria: l’emarginazione, la diseducazione, e lo sfruttamento. 

Abigail di Triangle of Sadness e Oliver di Saltburn non creano la stessa empatia dei vecchi protagonisti neorealisti

Il corrispettivo più vicino alla rappresentazione di questa povertà “cattiva” sta forse nella Abigail di Triangle of Sadness: l’addetta alle pulizie della nave da crociera che, quando con i ricchi ospiti finisce su un’isola apparentemente deserta, si rivela senza scrupoli. La moneta che impone ai suoi compagni di disavventure per ottenere del cibo sono i favori sessuali. E l’omicidio costituisce anche per lei l’unico modo di mantenere il controllo psicologico sui suoi ex datori di lavoro. Insomma, Oliver e Abigail non creano la stessa empatia dei vecchi protagonisti in bianco e nero neorealisti. Nella parabola cinematografica sulla povertà e l’ingiustizia sociale, essi sono costruiti per essere così perversi da essere ingiustificabili. 

Se la disfunzionalità sociale e familiare non fosse solo la condanna dei ricchi ma anche quella dei poveri? Domande che Saltburn spinge sotto il sole 

Se non fosse il sogno della ricchezza a essere decadente e marcio, ma chi lo vive o lo desidera a renderlo tale? Se la disfunzionalità familiare e sociale non fosse solo la condanna dei ricchi ma anche quella dei poveri? Se i rituali, le consuetudini spicciole e le maschere performative appartenessero proprio a chiunque, così come quei falsi e meschini valori? Queste sono le domande che Saltburn spinge sotto il sole e le fa pure bruciare, senza darci troppe risposte. Scevro da ogni ragione storica e sociale, guarda alla ricchezza e alla povertà come stati assoluti, innati, indipendenti dal contesto storico e dalle politiche sociali che le determinano. E in questo è ben diverso dalle pellicole che gli sono state associate, citate poco fa. 

Un ultra-ricco anche se ti accoglie nella sua tenuta estiva e ti paga la vacanza, in qualsiasi modo deve morire? – Pasolini e il suo Teorema 

Tra queste, Teorema di Paolini (un’altra narrazione dove i giochi di potere si fanno con le politiche sessuali) si apre con un fatto di cronaca: un ricco industriale milanese – che poi è il padre della famiglia sedotta e abbandonata da un misterioso ospite – si spoglia di tutti i suoi beni e dona la sua fabbrica agli operai. Un inviato televisivo gli intervista tra i capannoni color seppia e le linee dei visi corrugati. “Un borghese anche se dona la propria fabbrica, in qualsiasi modo sbaglia?” si chiede. Per adattarla a Saltburn potremmo riscrivere questa domanda come: un ultra-ricco ereditiero anche se ti accoglie nella sua tenuta estiva e ti paga la vacanza (I love you, you pay my rent), in qualsiasi modo deve morire? 

Lo scandalismo che colpisce quotidianamente gli ultra-ricchi sta riscrivendo le percezioni della meritocrazia, il conflitto di classe nel cinema deve rispondere a nuove domande 

Il conflitto di classe – anche al cinema – deve rispondere a nuove domande e nuove consapevolezze generazionali, a un contesto sociale profondamente mutato dal ‘68 pasoliniano. Le ideologie assolutiste sono sparite per lasciare il posto a statistiche, la coscienza di classe a coscienze metriche. Metà della ricchezza del mondo appartiene all’1% e il 10% ne detiene l’85%. Lo scandalismo che colpisce quotidianamente gli ultra-ricchi sta riscrivendo le percezioni della meritocrazia, di quella ricchezza ottenuta con il duro lavoro e la fatica. Difficile che non sia una parabola costruita proprio da quel 10% che ci vuole chini nelle nostre fatiche da riscatto sociale. Difficile che la ricchezza non nasca sporca o ben presto si sporchi. Forse le vecchie lotte hanno guardato al dito invece che alla luna? 

La ricchezza come stato e colpa assoluta, opulenza decadente – ma qual è l’immagine di povertà che il cinema contemporaneo ci sta regalando?

La ricchezza si configura in Saltburn come stato e colpa assoluta. La sua immagine è quella di un’ opulenza decadente, intarsiata da piercing e canzoni trash/pop. Ma se da pellicole come Saltburn e Triangle of Sadness i ricchi escono poveri in spirito morale, perdenti e morti, che figura ci fanno le loro controparti più povere? Qual è l’immagine di povertà che il cinema contemporaneo ci sta regalando? 

Oliver e Abigail: gli ultra-poveri del nuovo cinema sono stanchi di aspettare la meritocrazia 

Un nuovo modus operandi: in  The Wolf of Wallstreet viene dissacrato il sogno americano, mentre ne Il Talento di Mr. Ripley il protagonista omicida è più un sentimentale morboso che un freddo calcolatore. 

Oliver e Abigail: gli ultra-poveri del nuovo cinema sono stanchi di aspettare la meritocrazia per far sì che avvenga la loro scalata sociale. Sono stufi pure di attendere un colpo di fortuna-sfortuna in pieno stile kafkiano oppure di truffare qualcuno che sta sopra di loro. Neppure sembrano pentiti, tristi nella loro ricchezza o in come l’hanno ottenuta.

Alessia Baranello

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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