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Tom Wolfe in 1968 in Manhattan
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Chi è il Radical Chic? Fenomenologia dai ricchi di Park Avenue ai borghesi italiani

Il linguaggio populista di oggi condanna gli intellettuali di sinistra tacciandoli come radical chic: dal ricevimento a casa di Leonard Bernstein all’Italia di oggi

L’espressione Radical chic da anni infiamma il dibattito pubblico, ma da cosa deriva?

A inventare il neologismo ‘radical chic’ fu il giornalista americano Tom Wolfe, utilizzandolo per la prima volta in un articolo, pubblicato sul New York Magazine nel 1970, intitolato ‘That Party at Lenny’s’: un resoconto del ricevimento organizzato dall’attrice Felicia Bernstein e dal direttore d’orchestra Leonard Bernstein per raccogliere fondi a sostegno del gruppo rivoluzionario delle Black Panthers, impegnato nella lotta per l’autodifesa e l’emancipazione degli afroamericani. 

La nascita dei Radical Chic a Park Avenue e le Black Panters

In quest’occasione, nel descrivere lo stridente incontro tra l’alta borghesia newyorkese e la politica di strada, Wolfe inventava l’espressione ‘radical chic’: una corrente, una moda che dilaga tra i ricchi borghesi di New York che sfoggiano ideali vicini a quelli della sinistra radicale, senza rinunciare ai lussi e ai privilegi insisti nella loro condizione. 

Mentre per le stanze dell’attico dei Bernstein a Park Avenue girano vassoi d’argento colmi di bocconcini di Roquefort ricoperti di noci tritate, l’idea stessa dei rivoluzionari che avevano lottato in prima linea per i propri ideali «attraversava la casa – scrive Wolfe – come un ormone impazzito», elettrizzando tutti gli esponenti dell’alta società presente. Le Pantere – con i loro capelli afro, gli occhiali da sole cubani e i dolcevita neri – soddisfacevano la sete radical chic di politica come atto estetico. In un clima di ‘deliziosa contraddizione’, si stava consumando quello che Wolfe descrive come ‘l’apoteosi dell’epoca radical chic’

I Radical Chic arrivano in Italia e l’espressione inizia a mutare di senso

Il termine arriva in Italia quando nel 1972 il Corriere della Sera pubblica un articolo di Indro Montanelli, ‘Lettera a Camilla’, rivolto alla scrittrice e giornalista Camilla Cederna che, dopo la strage di Piazza Fontana, aveva pubblicato un’inchiesta sull’anarchico Giuseppe Pinelli, morto precipitando da una finestra della Questura di Milano alla fine di un interrogatorio. Identificata da Montanelli come somma rappresentante del radical chic all’italiana, il giornalista le rivolge righe permeate, da un lato, di luoghi comuni maschilisti e, dall’altro, di accuse contro la sua presunta ipocrisia di ‘signorina di buona famiglia’ che sposa cause di classi sociali cui non appartiene. Da questo momento in poi, l’epiteto radical chic inizia ad essere impiegato con maggiore frequenza e sempre più lontano dal suo senso originario. 

Il radical chic oggi: chi è? 

Oggi l’espressione ha trovato il suo impiego nel linguaggio populista. Basta scorrere le pagine Facebook di alcuni politici italiani o guardarne qualche intervista per incappare nell’epiteto dispregiativo ‘radical chic di sinistra’. I radical chic, nell’accezione originaria del termine, esistano, tuttavia è lecito chiedersi chi, o cosa, siano, dal momento che l’appellativo non viene utilizzato solo nei confronti di chi possiede un reddito elevato e ostenta ideali radicali. Inizialmente, sfruttando il divorzio tra sinistra e popolo, l’espressione è stata impiegata come insulto nei confronti di quei politici ed elettori, in particolar modo del Partito Democratico, che avevano contribuito ad acuire quella separazione.

In seguito, l’epiteto è stato impiegato anche nei confronti di tutti gli elettori di sinistra, così come degli ideali di sinistra in generale. I ‘radical chic’, sembrerebbero essere sia il militante di sinistra, sia Chiara Ferragni. Chi frequenta i teatri, chi è appassionato di cinema, chi indossa una giacca di seconda mano, chi legge sul tram un libro comprato al mercatino dell’usato o chi mangia cibo biologico. Così come ‘radical chic’ sono tutti coloro che sposano la causa ambientalista e ideali di inclusione e tolleranza. 

Isaiah Berlin e ‘Il complesso di Cenerentola’: dove risiede l’odio populista contro i radical chic  

Come radical chic, anche il concetto di populismo è avvolto da una nebbia semantica e soffre di quello che il filosofo-politologo Isaiah Berlin definisce ‘il complesso di Cenerentola’: come il principe della favola non sarebbe riuscito a trovare un piede che calzasse a pennello la scarpetta, così trovare una definizione soddisfacente di populismo risulta poco plausibile. Tuttavia, per anni molti studiosi e accademici si sono occupati del fenomeno, riuscendo a individuare l’essenza, al di là delle varie manifestazioni storiche e locali. Ed è proprio in questo nucleo fondante di idee, che si può intuire come mai l’insulto ‘radical chic’ – rivolto contro qualsiasi forma politica e di pensiero che risulti irritante – sia caro al populismo. 

Loris Zanatta e la pulsione unanimista’ del populismo: il radical chic come nemico pubblico

‘Radical chic’ sono tutti coloro che si esprimono a favore del pluralismo e del multiculturalismo, nemici per natura del populismo per via della visione del mondo cui il quest’ultimo si appella. Lo studioso Loris Zanatta illustra, nel libro Populismo, come il fenomeno sia espressione di una visione del mondo antica, tipica di epoche dominate dal sacro. Epoche in cui le società umane erano intese come organismi naturali, la cui salute e il cui equilibrio comportavano la subordinazione degli individui a un piano collettivo che li trascendeva. L’idea di base del populismo è che le società sono corpi naturali e che il popolo costituisce un insieme unitario, coeso e indivisibile.

È proprio in questa visione che, spiega sempre Zanatta, risiede la ‘pulsione unanimista’ del populismo che lo spinge a non tollerare qualsiasi forma di pluralismo e diversità. Secondo una rigida logica manichea – che suddivide il reale in Bene e Male, amici e nemici – qualsiasi minaccia all’armonia e all’unità del corpo populista – coeso intorno a una fede, un’ideologia, un’identità e un leader – costituisce un ‘cancro’ per la società e il radical chic, così come viene dipinto, si presta a impersonificare il nemico, altrimenti più difficile da combattere. 

Giacomo Papi e Il censimento dei radical chic: l’intellettuale visto come uno snob di cui diffidare

Radical chic sono intesi anche gli ‘intellettuali di sinistra’, contro cui il populismo si scaglia. Sempre Loris Zanatta spiega che del ‘corpo populista’ il leader rappresenta la testa – nella misura in cui, con la sua guida, garantisce il corretto funzionamento dell’organismo – e dovrà quindi possedere un carisma tale da far scattare nel popolo un processo di identificazione. La guida populista dovrà sembrare un outsider. Se il populismo s’instaura durante una crisi della democrazia – momento in cui il popolo prova sentimenti di malessere nei confronti dei suoi rappresentanti politici, incapaci di soddisfare le sue aspettative – il leader populista dovrà dimostrare di non appartenere all’élite politica.

Non a caso impiegherà un linguaggio popolare e sarà solito semplificare i problemi, al fine di impersonare i modi di pensare ed esprimersi, di vestire, mangiare e divertirsi del popolo escluso. In quest’ottica l’intellettuale, radical chic, rappresenta un’altra volta il nemico: uno snob che usa la sua cultura per elevarsi al di sopra del popolo. Lo scrittore Giacomo Papi, nel romanzo Il censimento dei radical chic, estremizza la tendenza populista a identificare la cultura come forma di inganno e spiega come, quindi, l’appellativo ‘intellettuale radical chic’ serva a risvegliare negli elettori sentimenti di diffidenza nei confronti di quei valori e ideali che egli professa. 

Anna Radice Fossati

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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