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Kanye West in Italia: come mai niente sold out?

Le due date a Milano e Bologna sono forse il sintomo di una crisi più profonda del rapper: Kanye West si sta auto-sabotando, un po’ come il Battisti dell’ultimo periodo

Kanye West il 22 febbraio al Mediolanum Forum di Assago e il 24 all’Unipol Arena di Bologna

Alla fine, le due date di Kanye West si dovrebbero fare, con tutti i condizionali del caso. La prima il 22 febbraio al Mediolanum Forum di Assago e l’altra, due giorni dopo, all’Unipol Arena di Bologna. Lo show si chiama Ye x T$ – Vultures Listening Experience e non è propriamente un concerto. Anzi, non lo è affatto. È piuttosto un listening party, dove Kanye sta sul palco insieme all’altro collega che ha firmato il nuovo album, Ty Dolla $ign. Nessuno dei due ha il microfono in mano. Cantano e rappano sulla tracklist, che segue l’esatto ordine delle canzoni di Vultures 1, ma non è un live. È semplicemente un: “Ecco qui il disco, ascoltiamolo insieme”.

I condizionali servono perché, l’ultima volta che l’artista americano aveva annunciato lo stesso tipo di evento per lo stesso album, a ottobre a Reggio Emilia, dopo pochi giorni era stato tutto annullato. C’è da dire che la location scelta all’epoca, la RCF Arena conosciuta ai più come Campovolo, ha una capienza di più di 100mila persone. Decisamente tante, se paragonate alle attuali 16mila del Forum alle porte di Milano e alla metà del palazzetto di Bologna. 

Kanye West a Milano e a Bologna: nessuna delle due date è sold out

I biglietti sono stati messi in vendita su Ticketone venerdì 16 febbraio alle 15 in punto. Nessuna delle due date è sold out, ed è lecito a questo punto chiedersi perché. I live in Italia dei big rapper americani sembravano sdoganati. Per anni, l’assenza del nostro Paese nei tour mondiali dei vari Travis Scott o Drake è stata una presenza ingombrante, sia per i fan italiani che per gli stessi rapper. Ad aprire un po’ le danze era stato Post Malone con la sua comparsata al Rock in Roma nel 2018, annunciando poi un live nell’estate 2020 che, per forza di cose, fu rimandato ma mai più recuperato (se non con una breve strimpellata acustica per pochissimi, sempre nella capitale, nel 2022). La vera svolta c’è stata l’anno scorso, grazie a Travis Scott: prima le 80mila persone all’Ippodromo di Milano per gli I-Days a giugno, poi le 70mila ad agosto per l’evento Circus Maximus, nell’omonimo sito archeologico dell’Urbe, che hanno definitivamente dato la luce verde al grande hip hop live nei nostri confini.

In quella data del 7 agosto 2023, a sorpresa, Travis aveva chiamato sul palco Kanye West. «Non ci sarebbe Travis Scott, senza Kanye West» aveva detto al microfono il padrone del palco, ringraziando il suo mentore dopo aver cantato insieme alcuni missili del repertorio westiano, come Can’t Tell Me Nothing e Praise God. Fomentata all’inverosimile, quella sera la folla oceanica aveva saltato tanto da far impazzire i sismografi del Lazio. Era quasi necessario che il prossimo in Italia dovesse per forza essere Kanye West. Anzi, soltanto Ye, visto che dal 2021 è il suo nome ufficiale all’anagrafe (senza manco il cognome).

Quanto costano i biglietti per il silent party di Kanye West?

Come mai si fatica a riempire due palazzetti? Dicevamo, i motivi possono essere diversi. Il più banale è che, di nuovo, non si tratta di un live, però il costo del biglietto è quello di un live di Madonna o Elton John. Per Milano, si va dai 138 euro del settore numerato 4 (in alto) ai 207 euro del settore numerato 1. Se consideriamo che il (vero) live di Travis Scott al Circo Massimo costava circa 46 euro, e che a Milano il settore numerato 5 (ovvero, la cosiddetta piccionaia) è l’unico a essere sold out, la conclusione è solo una: se non siamo ancora al sold out delle uniche due date di Ye, è principalmente per una questione di soldi. Sono carissime rispetto a quello che poi è lo show, cioè un ascolto del disco alla cortese presenza dei suoi due interpreti.

Cosa ha detto e fatto Ye / Kanye West negli ultimi dieci anni – oltre il disturbo bipolare che forse ha decretato la fine della storia con Kim Kardashan, i pensieri razzisti

Nella stanza c’è un elefante, che è anche il vero ostacolo per chiunque voglia essere fan: il comportamento di Ye. E per comportamento, intendo tutte le cose che sta dicendo e facendo al di fuori dell’ambito musicale negli ultimi 10 anni. La frase “I miss the old Kanye” nella cultura Internet ormai è diventata un vero e proprio meme, perché onnipresente (e vera) sotto ogni suo video Youtube antecedente al 2015, cioè quando annunciò pubblicamente di volersi candidare alle presidenziali del 2020. 

Da allora, la gravità delle sparate di Ye è cresciuta esponenzialmente, tanto che, oggi, quei tempi in cui si faceva fotografare insieme a Trump con un cappellino “Make America Great Again” sulla testa ci sembrano quasi spensierati. È vero, di mezzo c’è una condizione diagnosticata di disturbo bipolare, demone che pare abbia messo fine anche al suo matrimonio con Kim Kardashian. Ma in nessun modo questa cosa può essere ricondotta ai pensieri razzisti di Kanye, che col tempo si sono fatti anche antisemiti.

Kanye West nel 2022 aveva lodato pubblicamente Hitler

Prima aveva detto che la schiavitù negli Stati Uniti era stata “una scelta” della popolazione afroamericana, poi si era scusato. Allo stesso modo, ospite del programma Infowars di Alex Jones, noto cospirazionista di ultradestra, nel 2022 aveva lodato pubblicamente Hitler. Poi aveva rincarato la dose dicendo che per gli ebrei sarebbe arrivato a “DEFCON 3”. Dove, per DEFCON, s’intende il Defense Readiness Condition, una scala che va da 1 a 5 per misurare il grado di allerta militare in caso di emergenza. 5 è uno stato di normalità e 1 è la massima allerta. Dopo tutto il polverone che ne era seguito, il rapper e produttore si è ritrovato senza etichetta (la Universal) e senza più contratti multimilionari con aziende di abbigliamento come Gap e Adidas.

Anche qui, a dicembre 2023, erano arrivate le pubbliche scuse verso il popolo ebraico, con un post su Instagram che da allora è stato cancellato. Parallelamente, le accuse di manipolare e opprimere l’esistenza della attuale moglie, l’architetta australiana Bianca Censori, non hanno fatto che allontanare ulteriormente una difendibilità ormai inesistente. 

Anche la vita privata e i pensieri personali di un artista, per quanto potente e influente, si stanno ripercuotendo sulla sua musica

Tutto questo per dire cosa? Che alla fine, anche la vita privata e i pensieri personali di un artista, per quanto potente e influente, si stanno ripercuotendo sulla sua musica. Qualche giorno fa, dopo un listening party come quello di Assago o Bologna, Ozzy Osbourne ha aperto Instagram e ha scritto: “Kanye West ha chiesto di poter campionare una parte strumentale della performance dal vivo di Iron Man registrata all’US Festival dell’83 e l’autorizzazione gli è stata negata perché è un antisemita e ha fatto soffrire in molti. L’ha comunque fatto e ha usato il campione ieri sera al listening party del suo album. Non voglio in alcun modo essere associato a quest’uomo”.

In una vicenda del tutto analoga, a distanza di qualche giorno anche gli eredi di Donna Summer si sono opposti all’uso del vocale di I Feel Love nella Good (Don’t Die), che ora è stata rimossa dalle piattaforme streaming per violazione del copyright. Kanye qui aveva sperato di bypassare il problema ricreando la voce della cantante con l’AI, ma la fredda lama del diritto d’autore è arrivata puntuale. 

Kanye, che firma beat dalla metà degli anni Novanta, è considerato uno dei padri del chipmunk soul

Per uno che ha basato molto della sua cifra artistica sui campioni vocali, questo è davvero un bel problema. Kanye, che firma beat dalla metà degli anni Novanta, viene considerato uno dei padri del chipmunk soul, ovvero l’uso dei sample di voce di pezzi soul e RnB degli anni Sessanta-Settanta, accelerati e quindi alzati di tono, come a ricordare le voci stridule di Alvin e i chipmunks, appunto. Alla stregua di un Tarantino della musica, Ye ha fatto propria l’arte di attingere dal passato e riproporre il tutto in un modo originale un prodotto. Come nel caso del regista di cui sopra (che si è salvato non so come dalla bufera del #MeToo), a essere discutibile è la qualità dell’essere umano in primis, non quella dell’artista. 

Forse siamo stanchi di essere fan di Kanye. Ci abbiamo provato, abbiamo portato pazienza e ci siamo detti anche tante cazzate. Ma anche la pazienza forse ha un limite. La verità è che nessuno vuole più essere associato al suo nome, tantomeno chi lo ascolta. 

Kanye West che si sta auto-sabotando

Ciò a cui stiamo assistendo è un Kanye West che si sta auto-sabotando, che si sta facendo terra bruciata attorno: è sia Napoleone nella campagna di Russia che il Generale Inverno. Un po’ come il Battisti dell’ultimo periodo, sta cercando di demolire, mattone per mattone, tutto ciò che il sé degli anni d’oro aveva faticato a costruire. Con la differenza che Kanye sta usando il tritolo (una condotta deplorevole e dischi sempre più scadenti), mentre Battisti, il piccone (una vita eremitica, dischi indigesti al grande pubblico ma bellissimi). 

La morte della madre di Kanye West Donda, nel 2007, è stata forse la chiave di volta che si è staccata per prima

Kanye è un uomo perso ormai, non solo nel suo percorso da rapper/produttore/imprenditore/politico, ma soprattutto nel suo equilibrio interiore. La morte della madre Donda, nel 2007, è stata forse la chiave di volta che si è staccata per prima, e la separazione con la moglie Kim gli ha dato la proverbiale mazzata. Ma ciò che succede nella sua vita privata non dovrebbe essere affare nostro. Eppure, da fan della prima ora, è finito per diventarlo. Perché, che non esca un disco memorabile di Kanye da almeno 6 anni (l’ultimo, forse, Kids See Ghosts con Kid Cudi), possiamo anche accettarlo. Ma che diventi un praticamente un suprematista bianco, no.

Ha ragione Donald Glover, alias Childish Gambino, quando dice che la sua importanza musicale va ben oltre le controversie, che sono tutti figli suoi. Prima che sia troppo tardi, è il caso di fare quello che spetta a tutti i padri e i maestri seri prima o poi: farsi da parte e lasciare che qualcun altro ne raccolga l’eredità. Perché, tanto, neanche quella ti può assicurare un sold out. 

Claudio Biazzetti

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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