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L’addio di Dries Van Noten – il giardinaggio ha a che fare con la moda più di quanto pensiamo 

Dries Van Noten è attento a non tagliare rami, fiori o fili d’erba, anche quando la lunghezza eccede, non vi è porzione di terra trascurata. Il manuale di giardinaggio – e moda – del couturier anti-sistemico

Piante e fiori: un paragrafo mancante nella storia di Dries Van Noten

Sono più di trent’anni che Dries Van Noten si dedica al giardinaggio. Si tratta di un’attività casalinga per il couturier belga, svolta nello spazio privato della sua residenza, il castello di Ringenhof, un edificio neoclassico contornato da cinquantacinque acri di terreno, poco fuori dalla cittadina medievale di Lier. Siamo nella provincia di Anversa, la città da cui nel 1986 è partito alla volta di Londra insieme a Walter Van Beirendonck, Dirk Bikkembergs, Ann Demeulemeester, Marina Yee e Dirk Van Saene – nomi difficili da pronunciare correttamente per chi non mastica il brabantino, il dialetto olandese parlato ad Anversa, e dunque ribattezzati col nome di Antwerp Six, «I Sei di Anversa». Non vi è manuale di storia della moda che non abbia un’intestatura di capitolo a loro nome e che non citi il British Designer Show di quel 1986 come una chiave di volta per lo sperimentalismo della decade successiva. 

Il capitolo sarà poi connotato di singole specifiche per ciascuno dei sei, con approfondimenti sulle asimmetrie di Ann Demeulemeester, sullo sportswear di Dirk Bikkembergs e via dicendo. Ebbene, giunti alla sezione di Dries Van Noten, si parlerà facilmente di stampe folkloriche e multietniche, motivi floreali – rose, soprattutto – e sovrapposizioni apparentemente casuali di strati di tessuto a formare complessi grumi materici. Come una T-shirt a righe sovrapposta a un paio di blu jeans, su cui poggia, a sua volta, un pareo da spiaggia: un’operazione di contrasti, dove il tutto, infine, si amalgama, come un impasto viscoso tenuto insieme dal collante di un’estetica ben precisa. Ma difficilmente si parlerà dell’attività di giardinaggio di Van Noten, cui dal 1986 ad oggi, alla conclusione di ogni fashion week, torna, nel suo castello di Ringenhof – e, da quest’anno, pare ci tornerà per restare. 

Nelle passerelle-giardino di Dries Van Noten non si taglia nulla 

Della floricoltura praticata da Van Noten si parla poco perché per diverso tempo le due attività della sua vita, quella di designer e quella di botanico amatoriale, hanno corso separate, come due filoni distinti, come «Stato e Chiesa» – ha affermato in un’intervista del 2018. Solo nel 2019, dopo essersi chiesto per diverso tempo come i due mondi potessero «collidere e colludere» in un disegno unitario, gli è parso di trovare il corretto metodo di fusione intingendo abiti di seta, trench laccati, giacche di pelle lucida e vortici di chiffon in ceste di fiori recisi dagli alberi del suo giardino. Si è trattato, a livello pratico, di selezionare, tagliare e fotografare piante e fiori passibili di una buona resa sul tessuto, per farne le stampe della successiva collezione, l’Autunno Inverno 2019. 

Nello stesso periodo è stato pubblicato anche un cortometraggio dove Van Noten veniva ripreso nel suo lavoro di giardinaggio, attentissimo nel non tagliare alcun ramo, fiore o filo d’erba, anche quando la lunghezza dei rami rendeva difficile il passaggio. Nella sua follia di progettista, Van Noten ha piantato ogni cosa secondo una disposizione precisa: non vi è porzione di terra lasciata priva di una qualche rarità botanica, recesso senza un qualche colore inatteso. Basterà un confronto fra il giardino di Van Noten  e le sue passerelle-giardino per comprendere come le progettazioni del designer partano sempre da un’idea di fondo: iniettare gli spazi interstiziali della terra e dell’abito di cortocircuiti visivi, espedienti di alterità, fiammate che sorprendono per placarsi nella qualifica comune di un «canonicamente bello». 

Non c’è rivoluzione né sovversione in Van Noten: la sua comfort zone è un bel giardino fiorito – parola alla critica 

A differenza degli altri cinque, e nonostante la rete di stampe e colori che anima come una forza biologica le collezioni di Van Noten, non gli è mai venuta meno una certa attenzione alla forma, alla proporzione fra le parti. Osare ma con parsimonia. Un fatto, questo, che gli ha valso un certo numero di critiche da parte dei sostenitori di uno sperimentalismo duro e puro, contrario al «canonicamente bello». In La moda contemporanea, ad esempio, il critico e professore Fabriano Fabbri avvia il ragionamento da una citazione dello stesso Van Noten «È perché amo le sovrapposizioni. Il ricco e il povero, il brillante e lo sbiadito, un maglione enorme con una gonna di chiffon alimentano l’intensità del design». 

Qualche paragrafo più tardi, Fabbri riprende la stessa citazione a conclusione della sua critica: «È sempre corretta, canonicamente bella la moda di Van Noten, ma proprio per questo defalcata dal friccico della sperimentazione, sempre pronta ad inseguire il  «ricco» ai danni del  «povero», per sfruttare le parole stesse del designer, in un ventaglio di esiti che per quanto variegato di picchi e di inventiva, alla fine rischia di apparire poco incisivo sotto il profilo della ricerca che conta». Stando alle parole di Fabbri, non c’è rivoluzione né sovversione in Van Noten: la sua comfort zone è un bel giardino fiorito. Per chi si aspetta da Van Noten una moda chiassosa, radicale nell’uso di stampe e ipercromie, rimarrà deluso: la sua è una moda di concetti ben perimetrati, sempre misurati – ma nondimeno belli. 

L’orologio della moda, spiega Van Noten altrove, procede velocissimo, e per questo bisogna avere alcune accortezze: «Madre Natura ti fa aspettare, mentre la moda procede con l’acceleratore, senza tirare mai i freni. Nella moda deve vigere il massimo controllo – la natura, dal canto suo, sorprenderà sempre». Se la moda di per sé presenta dei limiti – «il massimo controllo» di cui Van Noten parla è presumibilmente quello sui dati di vendita e fatturato, che devono essere necessariamente supervisionati per mantenere in piedi l’arte e il business – l’eversione di Van Noten si esprime al meglio nella sua veste di critico del sistema. Se nella realizzazione degli abiti vigono disciplina e accademia, queste vengono meno nel suo approccio al sistema moda, o meglio, nel suo essere «anti-sistema». 

La natura anti-sistema di Dries Van Noten: perché la moda contemporanea non è più divertente? 

Cresciuto in una famiglia di sarti, ostacolato dal padre che lo voleva a capo della boutique di famiglia, ma risoluto nel voler fare vestiti, piuttosto che venderli, Dries Van Noten inizia a farsi strada nella moda quando, ancora studente, viene notato dai buyers del grande magazzino di New York Barney, che ne acquista insieme ad altri la prima collezione. È così che si guadagna i soldi necessari per la Royal Academy of Arts di Anversa e che, insieme ad alcuni compagni di corso, forma il sestetto di Anversa, fino al debutto ufficiale nel 1986 e alla fondazione della Maison. Nelle prime recensioni a lui dedicate sulle pagine del New York Times all’inizio degli anni Novanta si legge: «Questa stagione, Mr. Van Noten, un designer belga, ha prodotto mix inaspettati di ricchi tessuti, […] C’erano sciarpe ricamate con paillettes avvolte sopra sottili giacche di acetato, sovrapposte a pantaloni di velluto a coste formato elefante. […] Mr. Van Noten ha certo perfezionato un’ambivalenza intellettuale verso l’abbinamento» o, ancora: «Il designer belga Dries van Noten ha mostrato la sua collezione di ispirazione indiana in una galleria con soffitti in vetro, fiancheggiata da negozi e ristoranti pakistani e indiani. Per compensare le perdite economiche dei commercianti, ha distribuito buoni da venti franchi […] La collezione è stata una delle migliori della stagione, fedele alla visione ricca, eppure grezza, del designer». 

Recensione dopo recensione, dove il termine più ricorrente è «rich», a indicare una materia appunto ricca, abbondante nelle coloriture e nei riferimenti multietnici, Dries Van Noten diventa un punto fermo nel settore, letteralmente. «Come un uomo che si muove lentamente, comodamente e con fiducia ad un incrocio frenetico», spiega bene il pezzo pubblicato su 1granary nel 2017 in occasione della centesima sfilata del designer. «La concorrenza, cercando di riprendere fiato mentre insegue la crescita trimestrale, non lo riguarda, mentre egli non  fa alcun appello al mercato di massa o alla pubblicità sulle riviste per ottenere che la sua storia venga raccontata», prosegue l’articolo. Nello stesso, si trovano alcune interessanti affermazioni di Van Noten, in parte anticipatorie di quello che seguirà. 

Interrogato sul perché non ritenesse la moda contemporanea «divertente», nel 2017 Van Noten rispondeva «Allo stato attuale la stampa ha un problema. Credo che quando una casa di moda in Inghilterra offre consegne immediate… […] è Burberry, per l’amore di Dio … Dunque, stiamo davvero parlando di moda? Certo, è un grande marchio, ma è davvero ciò a cui la gente pensa quando parliamo di moda? Con tutto il rispetto per Burberry, per me è un po’ come Zara in versione lusso, dove ogni cosa sa di prodotto, PR, marketing, merchandising …». Il riferimento è qui al modello see now/buy now messo in atto da brand come Burberry nel tentativo di star dietro al ritmo di produzione e di vendita – tentativo poi rivelatosi fallimentare. La natura anti-sistema di Van Noten si fa poi esplicita quando, appellandosi alle nuove leve della moda, chiede loro di cercare un altrove rispetto al solito tran tran al ritmo di «devo fare una sfilata, Anna Wintour deve essere in prima fila, Tim Blanks deve scrivere una bella recensione, e allora sarò un designer affermato». 

Dries Van Noten torna al castello di Ringenhof

Negli stessi anni, Van Noten cercava un suo altrove introducendo per la prima volta il suo giardino privato nella collezione Autunno Inverno 2019. Si è trattato, forse, di un ultimo tentativo per rendere la moda, di nuovo, «divertente». Contemporaneamente, il designer decideva di vendere la propria quota di maggioranza della Maison al conglomerato spagnolo Plug, operazione che gli ha permesso di espandersi nel settore beauty e che, allo stesso tempo, gli ha consentito  mantenere alto il fatturato pur procedendo nella misura di quattro sfilate l’anno – di contro alle dozzine richieste da un mercato sempre più insaziabile. Ebbene, dopo oltre cento sfilate e quarant’anni di carriera, Dries Van Noten ritorna nel suo giardino, lasciando la moda fuori dal recinto. 

Lo ha annunciato lo scorso 19 marzo, tramite una lettera: «Cari amici, negli anni Ottanta, ero un giovane ragazzo di Anversa che sognava di avere una voce nella moda. Attraverso un viaggio che mi ha portato a Londra, Parigi, e oltre, con l’aiuto di un infinito numero di sostenitori, quel sogno è diventato realtà. Ora, voglio dedicare la mia attenzione a tutte le cose per cui non ho mai avuto tempo». Non si tratterà di un addio totale, quanto di un allontanamento, che gli permetterà di guardare dall’alto del suo castello, e in veste diversa da quella di direttore creativo, la sua Maison, senza più preoccuparsi delle Anna Wintour e dei Tim Blanks del caso. 

Stella Manferdini

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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