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Il viaggio in Islanda: forestazione ed energia pulita, elfi, vichinghi e burro

Terra di acqua e fuoco, l’Islanda sarà tra i primi paesi a eliminare le emissioni di carbonio: la nazione è ricca di energia ma povera di alberi: il raccontoa di un viaggio tra leggenda, storie e incontri sensuali

In Islanda, nel sottosuolo, l’acqua può raggiungere i trecento gradi centigradi: i geyser islandesi, Strokkur e Geysir, le sorgenti

L’acqua nel sottosuolo, in Islanda, può raggiungere i trecento gradi e rimanere allo stato liquido per la compressione che la roccia impermeabile riesce a produrre. A una tale temperatura, quando l’acqua trova una via di uscita – voluta dall’uomo o da un altro meccanismo geologico – l’acqua raggiunge la superficie e incontra l’aria, si espande in vapore, per poi ricadere come acqua calda.

Strokkur è un geyser che esplode ogni sette minuti. Intorno a Strokkur ci sono bolle di acqua calda, altre sorgenti che borbottano e che vanno al il ritmo di una percussione – come un brano rap, le bolle aumentano secondo la partitura – ma un geyser non è una sorgente come le altre. Sotto a un geyser, la morfologia della terra ha definito una camera di caricamento, come in un motore, dove l’acqua entra ma non esce, raggiunge una pressione tale da portare all’esplosione non di aria, ma di acqua: il getto di Strokkur raggiunge i venti metri di altezza. 

Risalendo il pendilo e superando Strokkur, si incontra Geysir. Geysir potrebbe essere il signore dei geyser dove al posto di ser, con un gioco di parole c’è la sillaba Sir. In questa zona, nel sottosuolo, l’acqua ha una temperatura media di 170 gradi, raggiungendo picchi di 240 gradi. Il getto di Geysir poteva raggiungere i settanta metri di altezza, e se ne parla al passato perché l’ultima esplosione è stata registrata nel 2016. 

Il nostro viaggio in Islanda: le placche tettoniche, le crepe e l’acqua filtrata dalle rocce laviche che permette una visibilità oltre i cento metri

Qui comincia il nostro viaggio in Islanda, un’isola che si posa sulla linea di contatto tra le due placche tettoniche, quella dell’Eurasia e quella del Nordamerica. Questa linea di frattura taglia il territorio – se cercate su Google la mappa delle placche, vedete l’Islanda posata come un bottone sui due lembi di una giacca. Le due placche sono divergenti, ovvero tendono ad allontanarsi tra loro: sperandosi, formano crepe nel suolo, canyon e, appunto, vulcani. In parole più semplici, e romanzandoci come fosse un pezzo di poesia, possiamo dire il nostro viaggio in Islanda è andato avanti così: con una camminata un po’ bossy, muovendo i fianchi come quando si balla hip hop – a ogni tuo passo le due placche tettoniche si spostano, un po’ di qua e un po’ di là. Quando il calcio è più forte, il vulcano erutta, le crepe si aprono; l’acqua del ghiacciaio inonda queste crepe, e noi andiamo a nuotarci dentro.

L’acqua del ghiacciaio ha attraversato le rocce laviche e porose come filtri, ne è riemersa a un tale grado di purezza che ai pesci non interessa. Non ci sono sali minerali, non ci sono alimenti organici – solo atomi di ossigeno per due di idrogeno. La visibilità è di oltre cento metri, considerando che anche nei mari più limpidi che immaginiamo alle Maldive, la visibilità non supera i trenta metri. Dalle rocce, ti sporgi e guardi verso il fondo, quasi hai le vertigini. Jake ci dice di provare a berla, perché in pochi altri luoghi al mondo esiste un’acqua così pulita. La temperatura è di qualche grado sopra lo zero. Indossiamo mute isolanti – dentro la tuta abbiamo una maglietta e le mutande – nessun liquido entra nessun liquido esce – sottolinea Jake – un secondo in più di posa alle ragazze, quelle che vanno in bagno più spesso. Una raccomandazione che diventa speranza, considerando quanto sia ovvio che queste tute siano state indossati da molti altri prima di noi.

In Islanda, nuotando nell’acqua del ghiacciaio – l’acqua più trasparente al mondo

La testa si immerge nell’acqua – il gelo si sente solo sulle labbra, che pulsano reattive – l’acqua stringe la pelle sotto il naso, i denti stringono il boccaglio, ma è meglio non resistere: i muscoli si rilassano, nel freddo e gli occhi volgono al fondo della sorgente. Un mondo di rocce lisce, volumi geometrici, puliti, disegnati a china. L’acqua non è mai stata trasparente, prima di vederla qui. Nuotando, lasciandosi trasformare dalla corrente che porta al lago riempiendolo, la vita appare: alghe verdi fosforescenti, fiori a campanula che respirano. Un pesce è raro da vedere, ma è qui – blu, lungo un metro, gli piace la verzura nuova. 

Jake è originario delle Hawaii, vanitoso, sa di essere bello. Su cosa ci sia venuto a fare dalle Hawaii in Islanda, Jake ti risponde quanto sia stupido, ma il ciglio si alza per far intendere l’opposto. Il pettorale si gonfia sotto la canottiera – c’è chi sospira e non le sopporta più, le canottiere sopra muscoli morbidi e peli ben disposti – la persecuzione dovrebbe fermarsi, almeno in Islanda. Jake ti aiuta a toglierti la tuta da immersione: te la devi abbassare sotto l’inguine, e tenerti saldo alla spalliera di legno dietro di te – Jake tira e ti libera, sembra soddisfatto – una bevuta la sera in città non sarebbe difficile da arrangiare.

Il Parlamento d’Islanda, il Parco Nazionale, una landa protetta dalla cresta tettonica

La frattura tra le due placche tettoniche, qui dove siamo appena usciti dall’acqua pure del ghiaccio oltre la lava, è una landa conosciuta come il Parlamento d’Islanda. Oggi, è un frammento di paesaggio intatto e protetto, nel contesto del Parco Nazionale – un tempo, questa piana a ridosso della parete rocciosa della placca era il luogo dove i signori di Islanda usavano trovarsi e radunarsi una volta all’anno, d’estate, per discutere le grida e le leggi, gli argomenti comuni, le strategie di difesa. La landa prometteva radure e prati per l’accampamento, disponeva di acqua in abbondanza – e il versante della cresta tettonica offriva grotte e cave per proteggersi dal vento e dalla grandine estiva.

I doni dei Norvegesi: cavalli, renne e pecore, la pulcinella di mare, il cigno selvatico e la volpe artica

I cavalli, le mucche e le pecore non sono autoctoni, in Islanda – furono portati dai Norvegesi. Ci sono circa 600 mila pecore – che con la stagione degli agnelli possono superare il milione di capi. Anche le renne arrivarono con i Norvegesi – oggi vivono a est e sono controllate in un’area limitata, così che una loro malattia non possa mai contagiare un cavallo. Per partecipare alla caccia alla renna, devi partecipare un concorso – è un po’ come vincere alla lotterie – la carne è molto buona, ci assicura Loie. L’unico mammifero autoctono in Islanda è la volpe artica. I cigni hanno la grafica del becco invertita rispetto al cigno che abbiamo in Italia: il giallo è vicino agli occhi – mentre da noi è il nero a essere vicino agli occhi. In Islanda c’è il cingo selvatico, nel Continente c’è il cigno reale. La pulcinella di mare nidifica sulle scogliere a sud, sopra la spiaggia nera – la custode del faro porta i capelli rasta su un lato, quasi rasati sull’altro – è una ranger – io scommetto sia anche un’icona lesbo per cui va bene perdere la testa.

Logi e la sua Ford: macchine come questa, ce ne sono forse 15 in Islanda: definizione aggiornata di Vichingo

Sul parabrezza della Ford c’è scritto Super Duty. Logi è al volante – Logi è la traduzione in islandese di Luigi e si pronuncia Loie e significa fiamma. Macchine come questa Ford ce ne sono 15 in tutta l’Islanda – Logi ne è orgoglioso – e c’è chi si ricorda quanto appagante possa essere un attrezzo di grosse dimensioni. Dire Vichingo è come dire Pirata, qui in Islanda. L’accezione mantiene storicamente una connotazione negativa, da criminale e furfante – anche se oggi, immaginando un vichingo, ogni donna considera Alexander Skarsgard che brucia nudo sul ghiaccio. Questa Ford appartiene a Loie, barba rossa sagomata dal barbiere poco prima di venire a prenderci in aeroporto, occhi verdi, una bambina a casa, altri figli in arrivo, credo. Un vichingo contemporaneo. Loie mi dice che questa Ford costa più di una Maserati. Quando la fotografo vicino a un pullman per turisti, mi accordo che è quasi lunga uguale – ma i posti sono dieci. Loie sorride quando fa il pieno, sembra la stia nutrendo di nettare atomico. Se l’è comprata nel 2016 – o meglio – ha comprato le componenti di due auto e le ha assemblate. Quando ci fermiamo per una sosta, la gente fotografa la Ford – ma nessuno si avvicina, per timore. La Ford salterà sulle rocce, guaderà i torrenti di acqua e silice – dalle casse, esce Thunder – Loie è uno stuntman per gli Imagine Dragons – poi ammette con un lieve fastidio che l’Islanda non ha mai vinto l’Eurovision (ogni anno, in Islanda la competizione per l’Eurovision è sentita quanto a Napoli si sentiva la finale di scudetto tre mesi fa). Loie ha fermato la Ford ai piedi del ghiacciaio – noi scendiamo e ci avviciniamo alla moto slitte. 

Il ghiacciaio, il colore del ghiaccio, le moto slitte 

La polvere nera dei vulcani è mossa dal vento, si posa sopra il ghiacciaio: si formano grumi di neri, e striature di ombre che reagiscono con la luce nei flussi di acqua che scorrono sulle scaglie di ghiaccio. In Islanda, d’estate, il ghiaccio non è bianco ma blu – l’invenzione di ogni gradazione di azzurro, dal verde di uno smeraldo al giallo del topazio. Il bianco è una composizione di scaglie di luna. Le moto slitte corrono, una dopo l’altra, lungo percorsi segnati – a volte possiamo spingerci oltre, volare più forte, come sciando su una curva a monte per poi ricadere a valle. Siamo nati bambini e vogliamo continuare a esserlo, bambini – fermando gli anni, le estati in Islanda che ogni anno rubano qualche centimetro ai paradisi in terra. Tra pochi mesi, il ghiaccio già smetterà di sciogliersi, le vene di acqua celeste che adesso sembrano scherzare con noi, si bloccheranno e tutto tornerà bianco. Intatto e ferme, sarà ricoperto dalla neve. Il ghiaccio tornerà a espandersi sul lago, nella pianura che vediamo sotto di noi, come una coltre di silenzio e pace – eppure, l’estate prossima altri centimetri saranno rubati ancora. 

La nascita degli Elfi, Adamo ed Eva e la Letteratura Norrena

In Islanda si racconta che, una volta cacciati dal Paradiso Terreste, Adamo ed Eva avessero tempo libero, e per non annoiarsi, continuarono a fare figli. Ne fecero molti, forse ne persero il conto. Il Signore scese per chieder loro come si trovassero, sulla Terra impervia – ed Eva, in pieno imbarazzo per tutta quella fornicazione, pensò di nasconderne metà del frutto. Sappiamo come il Signore tutto possa vedere, e come quei due genitori fossero facili a ingenuità variegate. Infastidito dalla recidiva bugiarda, il Signore decise che la progenie Eva gli aveva nascosto, sarebbe rimasta nascosta per sempre – e così, ebbero origine gli Elfi.

Gli Elfi si incontrano nella letteratura norrena – in alcuni scritti del Novecento si parla di sacrifici per gli Elfi così come altri sacrifici erano graditi agli Dei. Gli Elfi sono di frequente ritratti come esseri simili agli uomini: ma sempre alti, belli e ricchi. Nel corso della storia, nascondendosi da noi – ma non sempre – gli Elfi hanno saputo intanto acquisire tutte le nostre innovazioni – l’uso odei cavalli, degli strumenti musicale. Gli Elfi oggi potrebbero essere una metafora di Instagram – dove tutti sono felici e ritoccati, mentre nella realtà sono poveri e disagiati.

La conversione degli Islandesi nell’anno Mille, da pagani a cristiani

Con una decisione del Parlamento radunato nella crepa della placca tettonica, gli islandesi passano da essere pagani a cristiani nell’anno Mille, con precisone. Secondo la tradizione pagana, se esposto alla luce solare, il Troll si trasforma in pietra – era quindi più pragmatico ingannarlo, trattenerlo fuori oltre l’alba e risolverlo in un sasso – piuttosto che ucciderlo. Logica vuole che per ingannarlo non servisse la forza, ma l’intelligenza – non serviva l’eroe con i muscoli, ma un anziano saggio e pacato e furbo – o meglio dire, un prete.

Il Natale in Islanda, i tredici Santa e la loro madre, il troll Gryla e la canzoni pop italiane

In Islanda, quattordici giorni prima di Natale, a vagare tra i villaggi innevati, non c’è un solo Santa – o Babbo Natale, come lo chiamiamo noi – ma tredici. Tredici Santa, gnomi, barba bianca e pomi rossi. I bambini lasciano un dolce sul davanzale della finestra, in cambio i Santa lasciano un una mela o un altro piccolo dono se tutto va bene – o una patata marcia per il moccioso che fa tribolare in casa. I tredici Santa islandesi sono famosi per essere malevoli – sbattono la porta, apposta dimenticano la finestra aperta per il freddo, spaventano il gatto e rubano la torta e le candele – I Santa sono i figli di Gryla, loro madre, il troll più cattivo della notte. In Islanda, i canti natalizi sono cover delle canzoni pop Italiane – Enrico, la nostra guida, fa partire una playlist con Gente di Mare di Raf e Umberto Tozzi ritmata tra organo campane e campanelli e vocalizzi di dolcezza nordica. Seconda traccia della playlist è Felicità di Albano e Romina, ovviamente.

Islanda: il ciclo solare e l’aurora boreale, il picco l’anno prossimo – un paese presta a zero emissioni di carbonio

Il ciclo solare dura undici anni, avrà il picco questo anno che viene – in Islanda si attende un incremento del turismo per le aurore boreali più intense. I mesi migliori per un viaggio in Islanda sono quelli intorno i due equinozi – dove si incontra sia la notte per l’aurora boreale, sia il giorno per girare le strade. Vivono 350 mila persone in Islanda, di cui 180 mila nella capitale. Il settanta percento dell’energia è idroelettrica, mentre il trenta per cento è geotermica. C’è acqua calda quasi ovunque. L’energia è sostanzialmente gratis – se ne paga solo il trasporto nell’infrastruttura. Quando la mobilità elettrica avrà preso il controllo, l’Islanda potrà essere tra le prime nazioni a zero emissioni di carbonio. La terra vulcanica è fertile, le coltivazioni avvengono in serre sempre energicamente pulite. L’università è riuscita far crescere banane – mentre i pomodori sono per buona parte produzione locale. In campo, crescono le patate, e il fieno per gli animali. 

La riforestazione e la piantumazione in Islanda: le betulle, gli abeti, il muschio

In Islanda, le foreste furono buttate a terra per facilitare il pascolo. Oggi ci sono pochi alberi – e un impegno alla riforestazione è già consistente. Le betulle sono autoctone in questa terra – ma dopo la gravità del disboscamento che c’è stato, devono oggi scontrarsi con il vento e con il brucare delle pecore libere sulle pendici che ne mangiano i germogli. Per sopravvivere alle folate di aria violenta, le chiome rimangono poco folte: si crea così meno attrito, l’effetto paracadute si riduce, il tronco subisce una tensione minore, e diminuiscono le probabilità che sia spezzato. Le betulle appaiono con poche foglie attaccate ai rami più solidi – sembrano in germoglio dopo una potatura – ma è l’albero stesso che si evolve in questo assetto per resistere alle tormente. I boschi di betulle sono frammentati da filari di abeti – per le conifere, gli aghi sono organicamente più legati al legno, e più mobili nel vento. Sulle rocce, il muschio impiega sessant’anni a formarsi – è vietato calpestarlo.

Dal bosco arriva un uomo che porta una bottiglia di acqua vite – sono le undici di mattina. Nessuno di noi percepisce alcun senso di fame, tanto meno di sete di acqua vite. Porta anche un panno di stoffa con cui ha avvolto le uova fresche. Mette le uova a bollire in una sorgente nel suolo, una tra le tante. 

Poco distante c’è una botola, chiusa, trattiene il vapore di un’altra sorgente ancora, la adopera come forno. Da questa botola, l’uomo estrae un secchio, dentro il secchio c’è un fagotto di panno che scioglie. Ne rimane un volume in carta stagnola, quasi incandescente. Con mani d’amianto, ne leva una confezione di latte – usata come forma, la rompe e scarta, ne rimane un bauletto di pane che è stato cotto dal vapore di sorgente per venti ore. Logi mi suggerisce come questo pane sia buono tanto come tutta l’aria che ti fa formare in pancia – lo chiama il farty bread. È un pane di segale e melassa. Lo chef ne taglia una fetta, spessa un dito – e si raccomanda che lo stratto di burro sia almeno dello stesso spessore. Sopra questo burro, salato, ci pone un’arringa, uno spicchio di cipolla marinata e una frazione di uovo sodo dal tuorlo ancora cremoso. Momy, I want more

Carlo Mazzoni

Un ringraziamento particolare a Enrico Luigi Giudici per i racconti e le informazioni.

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L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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