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Intervista a Cosmo: il Pop Antipop e la metafora della masturbazione

«È sempre sottile il confine tra farsi una sega musicale e fare qualcosa di nuovo». Finché c’è in giro gente come Cosmo, il pop può dirsi al contempo al sicuro e in pericolo, intervista sull’ultimo album Sulle ali del cavallo bianco

Nell’ultimo album Sulle ali del cavallo bianco Cosmo esplora i meandri della mente difficilmente descrivibili a parole 

Finché c’è in giro gente come Cosmo, il pop può dirsi al contempo al sicuro e in pericolo. Nell’ultimo album, Sulle ali del cavallo bianco, il musicista di Ivrea ha giocato tutte le sue carte a disposizione per sradicare dalla comfort zone la musica di massa – pure quella di chiamare un guru dell’elettronica come Alessio Natalizia aka Not Waving. Antipop è il nome del documentario, disponibile su Mubi, che parla un po’ della storia musicale e personale di Cosmo – Marco Jacopo Bianchi, dai tempi della band fino al progetto solista e infine un successo che l’ha colto alla sprovvista, quando ormai non ci credeva più. Forse è proprio per questo, per esorcizzare la fama, per prendere un po’ per il culo la paranoia di trovarsi di nuovo squattrinati, che ogni disco per Cosmo è una sfida personale. 

Il Messaggio, la traccia finale dell’album di Cosmo Sulle ali del cavallo bianco

Questa volta, la sfida è stata tale che alcuni dei pezzi in scaletta sono talmente intensi, frutto di esperienze psichedeliche non narrabili a parole, che al momento della nostra intervista Marco non sapeva ancora come fare per suonarli dal vivo. Speriamo che per il 30 marzo, data inaugurale del tour, questi magoni insormontabili siano scalabili, se non attraversabili. Se per allora Il Messaggio, traccia finale del disco, sarà ancora motivo di lacrime a fiumi tra lui e Alessio, vorrà dire che al concerto ci faremo tutti una bella risata dopo aver pianto insieme.

Tra album e documentario, uno dei topos che più colpisce è quello del paradosso, del salire sul palco per scomparire, del pop fatto in modo Antipop, da qualcosa di molto personale come la scrittura di un brano che diventa un rito collettivo. «Mi piace muovermi in questa zona di confine, tra le varie contraddizioni. Sai che sto facendo il disco con Not Waving, con Alessio. La collaborazione con lui, che durerà probabilmente ad libitum, finché non ci uccidiamo, per ora procede bene. Fare musica con una persona che non ha mai fatto pop mi piace. Alessio ha la sua etichetta, la Ecstatic Recordings, e col pop normalmente non avrebbe a che fare. Assurdo fare con lui a bordo il mio disco più pop. Lui stesso ne aveva voglia. Perché la tensione che cerchiamo è quella: provare a darci al pop ma scardinando alcuni automatismi. Provare a fare una roba che, nella migliore delle ipotesi, non ha mai fatto nessuno. Almeno, provarci».

Cosmo, il documentario su Mubi Antipop e la metafora della mastrubazione

Nel documentario è usata la metafora della masturbazione per definire il processo che normalmente porta alla scrittura di un brano: un’urgenza personale e specifica alla fine però ha uno scopo e un pubblico molto vasto. Ne devono fruire tutti, ma sta proprio lì la sfida. «È sempre sottile il confine tra farsi una sega musicale e fare qualcosa di nuovo, che magari apre delle possibilità a livello di produzione, di invenzioni. Non so, se penso a qualcosa che ha colpito tutti, un disco gigantesco che ha scardinato tanti concetti è quello di Rosalia. Quel disco ha fatto per davvero il pop con una mentalità totalmente diversa». 

Se Rosalia ha puntato su un blend di elementi RnB, rap e folk, i dischi di Cosmo possono semmai citare qualcosa di molto noto in Italia e dell’Italia. «Di eporediese non c’è molto a livello musicale, non folk. Ma di tradizione melodica italiana ce n’è: nel singolo Sulle ali del cavallo bianco a un certo punto c’è un qualche tipo di melodismo napoletano. Ci abbiamo anche giocato, l’abbiamo esaltato. C’è sicuramente un qualche tipo di tradizione con cui possiamo andare a giocare. L’importante è non cadere nel manierismo. Su quello tiriamo sempre il freno a mano. Né tantomeno voglio essere elitario, con una musica difficile che può per forza piacere a pochi».

La musica può far rinascere il corpo, distruggere l’io, uccidere la competizione

Quando dice che la musica può far rinascere il corpo, distruggere l’io, uccidere la competizione, non allude forse a tutti i side effect del sistema capitalista? Equivarrebbe a dire che la musica potrebbe spazzare via il capitalismo. «Quello sarebbe il migliore dei casi, il best case scenario. Non credo, però. Sarebbe bello. Quello che dico in quella parte è quello che io vorrei fare con la musica. Sembra che la musica ultimamente sia o un’espressione della tua individualità interiore, un’esigenza espressiva, per cui chissenefrega di tutto. Oppure è un mero mezzo per fare soldi. Oppure, ancora ancora, con il rap e l’urban, un modo di rappresentare il tuo quartiere, la voce della strada. Eppure, la musica secondo me può essere tutte queste cose e anche di più. Me lo sono proprio chiesto: che cosa può essere la musica? Io vivo dentro la mia musica, dentro quella che metto nei DJ set, che ascolto, che produco, che canto. Mi sono sempre consolato, anche nei momenti in cui ero convinto che sarebbe finita a breve, sul fatto che sto creando una piccola community attorno alla mia roba. C’è una tribù più o meno ampia, a seconda del periodo o dell’occasione, che non è più soltanto “io che mi esibisco”».

Cosmo: il rapporto con il pubblico e Ivreatronic

Più che una setta di adepti che seguono il proprio sciamano, quella di Cosmo e del suo pubblico è una bella storia di persone che la pensano allo stesso modo, senza ordini gerarchici. «Siamo un po’ di persone che vogliono divertirsi tutte assieme. Stare bene con un approccio orizzontale della condivisione, non verticale. Con Ivreatronic abbiamo iniziato a mettere sempre la consolle a terra, non su un palco. Siamo di quella famiglia là. Quando abbiamo inaugurato l’installazione a Milano Centrale ero lì, in mezzo alla gente. Così come prima dei miei concerti, mi trovi lì tra tutti. Bisogna sgonfiare un po’ il rischio di quella dinamica da star».

Forse, il meccanismo da sgonfiare è figlio dell’industria dell’intrattenimento, dell’alienazione da social. «Può capitare forse di avere più bisogno di staccarsi fisicamente dal pubblico nei momenti di fomento più grande. In certe date particolarmente agitate, magari mi trovo a passare tra la gente e c’è un pochino di ossessione di avere una foto insieme. Lì magari mi distacco, perché è una roba che mi rincoglionisce e non mi dà gioia. In quei momenti magari diventi un po’ sfuggevole. Io capisco uno come Sfera Ebbasta. Quando arrivi a quel livello di notorietà c’è un livello di fanatismo per cui per forza ti distacchi. Io per fortuna ho un livello gestibile di notorietà, che non è una roba di massa, gigante. Pian piano il mio pubblico ha capito»

Una foto con Cosmo – e un aneddoto di Mara Maionchi su Lucio Battisti

Nel rapporto diretto coi fan, Marco preferisce di gran lunga una chiacchiera che una foto. In generale non è un problema: basta solo che l’occasione lo permetta. Per tutto il resto, si può sempre imparare dalle perle che gli ha raccontato Mara Maionchi. 

«Anche l’altro giorno in Stazione Centrale, qualcuno si è avvicinato chiedendo gentilmente una foto e io altrettanto gentilmente accetto. Mi rendo conto che magari tra i trapper famosi la gente arriva e PUM, ti fa la foto senza salutarti né chiederti o ringraziarti. Il mio pubblico è addirittura l’opposto: si fa persino le paranoie per chiedermi le foto [ride]. Perché sanno che a me dà fastidio e allora hanno quasi timore. Mi ritrovo sempre a dire: “Ma no, tranquilli, facciamola tranquillamente!” In certi contesti spiego che se la facciamo con uno, allora dovremmo farla anche con l’altro e non ne usciamo più». 

«Facciamo che ci salutiamo, ci abbracciamo, ci diciamo due cose. Alla fine spreco più tempo così che a fare le foto, ma fa anche più piacere. Tra l’altro, una volta Mara Maionchi mi ha raccontato che Battisti faceva così, ma allora c’erano gli autografi. Sprecava il suo tempo a spiegare perché il suo autografo non valeva niente. Della serie che avrebbe fatto molto prima a fare la firma e ciao. Mi ha raccontato che una volta la figlia voleva un autografo di Battisti. Lui alla fine le ha fatto un disegnino. Però non è da escludere che, ogni tanto, il buon Lucio abbia anche mandato a quel paese i fan insistenti».

A pensarci meglio, certi nomi non spuntano proprio a caso. Nella discografia cosmesca, e Sulle ali del cavallo bianco non fa eccezione, è facile trovare una certa somiglianza con una versione anfetaminica di Battisti. Come se i Soulwax in un viaggio temporale si trovassero faccia a faccia con Anima Latina. «Me lo dicono spesso e non lo nego. Me ne rendo conto e non me lo scrollo di dosso. Però ne L’Abbraccio c’è anche un po’ di Luca Carboni, forse. 

Cosmo, fragilità umana e ruvidità

Nell’ultimo pezzo in scaletta, Il Messaggio, e soprattutto nel documentario, la voce di Cosmo parla di un posto in cui è stato, un posto dove “non c’è tristezza né felicità” ma dove regna universalmente l’amore. Ruvidità e fragilità umana. Dove si trova questo posto? «È stato un trip psichedelico fortissimo, da cui sono tornato senza stringere in mano le cose che volevo. Senza poterle portare di qua. Come se fossi andato in un posto e c’era della roba, me la sono messa in tasca ma, quando ho attraversato di nuovo il confine al ritorno non ce l’avevo più».

«Non riuscivo a esprimere quello che avevo visto, quello che avevo imparato. L’unica roba che mi rimaneva era l’amore. È qualcosa che per forza doveva restare di là, ma di là non si può vivere. Si può stare poco. Entri in un altro reame. Sono tornato con la sensazione di avere le mani vuote, ma con dentro un residuo di amore puro. C’è un “ti amo” gigante. Tutto qui, solo ti amo. Dicendolo sembra quasi banale. È stato difficile da concludere quel pezzo. Ascoltavamo io e Alessio il loop col giro di accordi di archi e piangevamo. Io non sapevo come cazzo fare. L’abbiamo abbandonato lì per più session, perché non riuscivamo a non piangere. Alessio mi ha detto: “Devi dire ti amo! Dillo! Non l’hai mai detto in una canzone! Devi dirlo, è il momento!” Ti giuro che mi tornano le lacrime anche ora che ci penso. Ci è costato molto».

Per quanto il pezzo più difficile ormai sia stato scritto e registrato, il peggio non è ancora passato. «Stiamo facendo le prove del live. Quando si arriverà a Il Messaggio non so. Ancora non lo reggo dall’emozione. Metà delle volte ho pianto. Spero proprio di farcela dal vivo. Alessio anche. Si commuove su altri due o tre pezzi. Sono contento che sia entrato nella band. Siamo sempre noi quattro di sempre, io, Pan Dan, Rob e Pierre, e poi c’è anche Alessio alle chitarre. Sarà bello. Speriamo di farcela».

Claudio Biazzetti

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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