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Kōji Yakusho in Perfect days di Wim Wenders
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Wim Wenders, vivere qui e ora: Perfect Days e il metodo Ikigai

Wabi sabi, metodo ikigai e cerimonia del tè, la filosofia giapponese per un’esistenza appagante e felice: da Perfect Day di Wenders ai i libri di Héctor García e Francesc Miralles e Noriko Morishita

Perfect Days di Wim Wenders è candidato all’Oscar come migliore pellicola straniera – il film è un inno alla filosofia zen

Perfect Days di Wim Wenders è candidato all’Oscar come migliore pellicola straniera. Hirayama, sessantenne di Tokyo, conduce un’esistenza essenziale, monotona e costruita attorno a piccoli rituali quotidiani. Vive in un appartamento di una sola stanza e un bagno. Il suo lavoro è pulire i bagni pubblici della città, compito che svolge con estrema dedizione e meticolosità. Nonostante la vita del protagonista di Wenders possa sembrare spoglia, a tratti noiosa, trasmette un senso di pienezza e serenità. Hirayama è felice, ha un animo gentile e riceve gentilezza. Nel film si intuisce un passato diverso che non si scoprirà mai, perché la narrazione è concentrata sull’oggi, sul qui e ora, nella pienezza dell’attimo. 

La telecamera segue l’uomo come un occhio nascosto nella sua quotidianità silenziosa. Hirayama non ha molta vita sociale, prova gioia nell’osservare la luce che filtra tra gli alberi, nella fotografia analogica, nell’annaffiare le piantine di acero che coltiva sulla finestra, nello stare disteso sul tatami il sabato mattina abbandonandosi al silenzio. La ritualità della vita del sessantenne è inquadrata in un’attenta pulizia personale prima, dopo quella dei bagni altrui, un panino al parco all’ora di pranzo, ascoltare la musica mentre guida il furgone. Hirayama ascolta Lou Reed, i Velvet Underground e Patti Smith, The Animals e Van Morrison, Otis Redding a Nina Simone, e quando è a casa legge William Faulkner e Patricia Highsmith, ma anche Aya Koda.

La fragilità umana di Hirayama: Wim Wenders dal Covid alla filosofia Zen 

Il protagonista raccontato da Wim Wenders incarna ideale della filosofia zen. La fragilità umana si supera traendo la felicità dalle piccole cose, dell’accontentarsi di poco. L’idea del film nasce dal Covid e dalla speranza di un cambiamento che non si è realizzato. Wenders durante il lockdown ha realizzato quanto la cultura occidentale sia incessantemente improntata all’avere sempre di più, al proseguire la carriera, al successo continuo, al vivere avido di cose ed esperienze. Mentre difficilmente ci si lascia un momento di silenzio, o di vuoto, non si sa più cosa sia la noia. Sono gli spettatori occidentali quelli più colpiti dal film che mostra una possibilità di vita a loro sconosciuta. Il film è stato premiato al Festival di Cannes e ha ottenuto 1 candidatura a Critics Choice Award. 

Che cos’è il wabi sabi, il concetto giapponese a cui si è ispirato Wim Wenders di Perfect Days

«Less is more», il meno e di più, è il concetto a cui il regista Wim Wenders si è ispirato per il film Perfect Days. Nella cultura buddista zen esiste un concetto ‘wabi sabi’ che è traducibile con “il limite dell’essenziale”, il concetto zen di vivere in maniera essenziale. Il termine “wabi” e “sabi” erano originariamente due concetti distinti. “Wabi” si riferiva alla solitudine e alla semplicità, mentre “sabi” indicava la bellezza che arriva con l’età. Questo concetto può essere applicato a diverse forme d’arte, design, architettura e anche al modo di vivere. Il ‘wabi-sabi’ abbraccia l’idea della bellezza imperfetta, transitoria e modesta. 

Gli elementi chiave del wabi-sabi includono la semplicità che può riflettersi nella scelta di materiali grezzi, colori naturali e design minimalista; le imperfezioni sono viste come parte integrante della bellezza, come le crepe nella ceramica, rughe nel legno o altre caratteristiche che mostrano l’invecchiamento e l’usura. Il wabi-sabi incoraggia la modestia e la sobrietà, evitando l’eccesso e l’ostentazione. Nel wabi-sabi si ritrova la connessione con la natura, gli elementi naturali, come le pietre, il legno e le foglie, che aiutano a riflettere sulla ciclicità della vita. Soprattutto il wabi-sabi sottolinea l’importanza di apprezzare il momento presente e accettare il fluire naturale del tempo.

Come scoprire il proprio ikigai o scopo nella vita

Il termine giapponese “Ikigai” combina le parole “iki” (che significa “vita”) e “gai” (che significa “valore” o “merito”). Il concetto dell’Ikigai è spesso descritto come il motivo per cui ci si sveglia al mattino, la ragione per cui si affronta ogni giorno. È diventato popolare come approccio per scoprire e perseguire il proprio scopo di vita. Il nostro scopo è interpretato come il perfetto equilibrio tra ciò che amiamo fare, ciò in cui siamo bravi, ciò di cui il mondo ha bisogno e ciò per cui siamo disposti a essere pagati. Trovare ciò che si trova all’intersezione di queste domande porta ad una vita significativa e appagante. 

L’Ikigai è rappresentato come un diagramma a quattro cerchi sovrapposti che rappresentano le seguenti quattro dimensioni: Ciò che ami (la passione), Ciò in cui sei bravo (le competenze), ciò di cui il mondo ha bisogno (la missione), ciò per cui sei disposto a essere pagato (la vocazione). L’intersezione dei quattro cerchi è il proprio ikigai, il punto in cui tutti questi elementi si uniscono. Trovare il proprio Ikigai può aiutare le persone a individuare un senso di scopo e direzione nella vita, promuovendo il benessere e la realizzazione personale.

Il metodo Ikigai. I segreti della filosofia giapponese per una vita lunga e felice di Héctor García e Francesc Miralles

La prefettura di Okinawa, un piccolo arcipelago al sud del Giappone, fa parte delle “Zone Blu” del pianeta dove la popolazione manifesta una longevità superiore alla media (tra le Zone Blu rientra la anche la Sardegna). Le abitudini alimentari e di vita degli abitanti di queste aree è stata studiata in profondità da diverse bio-medicine. Gli scrittori Héctor García e Francesc Miralles, studiosi e appassionati di cultura giapponese, hanno condotto anni di studi sul luogo per capire il perché della longevità di queste persone. Sull’isola giapponese di Okinawa si contano oltre ventiquattro centenari ogni centomila abitanti, un valore significativamente più alto della media mondiale. García e Miralles si sono recati  a Ogimi, il ‘villaggio dei centenari’ per individuare le ragioni di questa longevità stando a contatto con gli anziani del luogo e studiando le loro abitudini. Dai loro studi è nato il libro Best seller tradotto in oltre trenta lingue per vivere una vita lunga e felice.  

Cosa rende gli abitanti di Okinawa tra i più longevi al mondo: l’Ikigai secondo Héctor García e Francesc Miralles

Nel 2021 l’aspettativa di vita media a Ogimi corrispondeva a 85 anni, circa 13 anni in più rispetto al dato mondiale di 72 anni. Stando a contatto con gli abitanti di Ogimi, García e Miralles hanno scoperto che oltre a vivere molto a lungo, gli abitanti di queste isole hanno dei punti saldi nelle loro esistenze. Intervistando e osservando gli abitanti gli autori hanno scoperto un modello comune tra coloro che vivono a Ogimi e tutti hanno uno o più ikigai. Gli abitanti di Ogimi mangiano per lo più cibi a base vegetale e mangiano riempiendo lo stomaco solo fino all’80% così da non essere appesantiti. 

Hanno legami comunitari, per alcuni il servire gli altri e lo stare in comunità è il proprio ikigai. Si tengono fisicamente attivi principalmente con esercizi leggeri come camminare. Coltivano hobby che li appassionano, molti di loro coltivano l’orto, cosa gli permette passare tempo all’aria aperta, mangiare cibi sani e riconnettersi con la natura. Non credono nella pensione, per gli abitanti di Ogimi non esiste un momento in cui vanno in pensione perché non smettono mai di tenersi attivi, allontanando la vecchiaia. Quello che permette a queste persone di restare attive più a lungo è proprio l’Ikigai, ciò che li spinge ad alzarsi dal letto ogni mattina unito alla felicità di dedicarsi quotidianamente a ciò che amano. 

Una vita felicità secondo gli abitanti di Ogimi: qui e ora

Non esiste vita felice e lunga senza difficoltà o problemi, nemmeno per i longevi abitanti di Ogimi. Quello che caratterizza il loro atteggiamento alla vita però è proprio il come affrontano i problemi: «Tutto può essere tolto a un uomo tranne una cosa, l’ultima delle libertà umane: scegliere il proprio atteggiamento in qualsiasi circostanza, scegliere la propria strada». Secondo la filosofia dell’isola dell’arcipelago di Okinawa «Chi ha un perché per cui vivere (ikigaai) può sopportare quasi ogni come». Uno dei segreti per affrontare i problemi e le sfide della vita è vivere nel Qui e Ora, concentrarsi sul momento, vivere l’attimo e restare nel flusso del proprio ikigai. 

Ogni giorno è un buon giorno di Noriko Morishita 

Noriko Morishita è nata a Yokohama, nella prefettura di Kanagawa, nel 1956.  A vent’anni Noriko, convinta dalla madre, iniziò a frequentare le lezioni di cerimonia del tè della signora Takeda. Ogni giorno è un buon giorno è il racconto autobiografico delle lezioni seguite da Nordico e di una tradizione antichissima, dei suoi rituali, della sua filosofia piú profonda. I monaci buddisti del sedicesimo secolo hanno codificato ogni passaggio di questo rituale che, attraverso i gesti piú semplici, chiama i partecipanti a concentrarsi sulla profonda ricerca di se stessi. 

La prima parte del libro di Noriko Morishita racconta il rituale e le lezioni che segue in maniera pedissequa, spiegando ogni minimo movimento delle mani e ogni strumento che deve essere imparato a memoria nei minimi dettagli, senza che se ne spieghino le origini e le ragioni. La ritualità immutata attraverso i secoli, fa sembrare la cerimonia del tè sembra distante dalla vita di tutti i giorni. Lo sembrava anche a Morishita Noriko, che non sapeva che quelle prime lezioni sarebbero state solo l’inizio di un viaggio che durerà tutta la vita. La cerimonia del tè richiede passaggi difficili da compiere, e anche se una persona è portata, ci vogliono anni prima di riuscire a completare un rituale in maniera corretta. Noriko Morishita ha una bassa autostima, che rallenta il suo apprendimento ma la sua perseveranza la porterà a un risultato. 

Non smettere mai di imparare: la cerimonia del tè giapponese 

La cerimonia del tè non è soltanto un codice di comportamento. Attraverso il rituale vengono armonizzati elementi non immediatamente visibili: lo stato d’animo, il rapporto con gli altri, la percezione del tempo che scorre, le sensazioni portate dalle stagioni col loro alternarsi e dalla luce, dal calore, dal vento, dalla pioggia del giorno. Molti strumenti del rituale cambiano in base alla stagione e alcuni anche in base al ciclo dell’oroscopo cinese, tornando in uso non più di cinque o sei volte nell’intera vita del maestro. 

Così che il mostro continua ad essere un allievo. Sebbene la base della cerimonia rimanga la degustazione del tè matcha, cambia ogni giorno, perché i gesti liturgici del maestro e degli allievi si armonizzano coi fiori, col verso ornamentale a decorazione della stanza, con le decorazioni dei vasi, col chimono dell’officiante, con la luce che penetra da fuori, con le ombre, e con i suoni del giardino. La cerimonia del tè quindi è una metafora: il rito diventa vita, e la vita rito per guardare il mondo ogni giorno come fosse la prima volta, ascoltando la natura e assecondando le stagioni. 

Vivere qui e ora, la cerimonia del te giapponese e la vita zen

I momenti dedicati alla cerimonia del tè e alla meditazione che impone, diventano momenti per trovare un senso alle prove che la vita mette davanti a Noriko: un matrimonio annullato poche settimane prima della cerimonia, il tentativo di conciliare il lavoro con il privato, un trasferimento oltreoceano. Ogni giorno alla lezione di cerimonia del tè c’è una massima diversa appesa al muro su una pergamena scritta a mano con antichi caratteri, e i fiori nel vaso cambiano in base alla stagione, così come i dolcetti che vanno serviti insieme al tè. È una di queste massime ‘ogni giorno un buon giorno’ che porta Morishita Noriko ad una realizzazione. «La pioggia cadeva incessantemente. Rimasi seduta dov’ero, quasi senza fiato per l’emozione. Quando piove, ascolta la pioggia. Quando nevica, guarda la neve. Godetevi il calore dell’estate e il freddo pungente dell’inverno. Godere appieno di ogni giorno, qualunque esso sia. Questo modo di vivere è ciò che è contenuto nel Tè».

L’ Ikigai è nascosto in ognuno di noi

Trovare il proprio ikigai, la propria ‘raison d’être’ ci permette di condurre un’esistenza piena, soddisfacente e degna di essere vissuta. Ognuno di noi possiede il proprio, anche se non tutti ne sono consapevoli. L’Ikigai può essere qualunque cosa ci renda felici, che sia la scrittura o pulire i bagni di Tokyo come Hirayama. 

L’Ikigai è stato rappresentato come una sorta di flusso, un’esperienza immersiva che viviamo ogni qualvolta facciamo qualcosa che davvero ci appassiona e non ci rendiamo conto del tempo che passa: come il giardinaggio, la danza, la cucina, il teatro, l’apprendimento di qualcosa di nuovo, sono momenti gratificanti in cui la mente non si distrae ed è possibile raggiungere uno stato quasi meditativo di intenso appagamento.Il segreto degli abitanti di Okinawa, dove vi sono più di 24 centenari per ogni 1000 abitanti, e quello di Hirayama è  la consapevolezza delle inclinazioni personali, che conducono poi all’identificazione di un proprio ruolo nella società attraverso il quale sentirsi utili e impegnati fino all’ultimo.

Domiziana Montello

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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