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La Triennale di Milano decide il tema dell’Esposizione 2022

Con la città ferma, dalla Triennale sono arrivati i primi segnali di rilancio – mentre il virus ci obbliga a uno stile di vita che riduce le emissioni di inquinamento

Il Teatro della Scala nell’ultimo secolo è stato chiuso due volte: per i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e per un intervento di restauro tra il 2002 e il 2004. In entrambi i casi le rappresentazioni furono spostate altrove, questa volta sono state annullate. Il primo caso di coronavirus a Milano lo si è registrato lo scorso 22 febbraio. La notizia non arrivava inaspettata – il giorno prima in Lombardia erano stati trovati 15 contagiati. A cogliere impreparato il capoluogo lombardo sono state le misure subito adottate per contenere il virus. La città che non si ferma ha dovuto farlo.

Il 4 marzo, con la città ferma, dalla Triennale sono arrivati i primi segnali di resistenza e rilancio: intellettuali, scienziati, architetti e storici dell’arte si sono incontrati in un evento trasmesso in streaming per decidere il tema della XXIII Esposizione Internazionale, nel 2022. Dopo aver ragionato con l’edizione del 2019, Broken Nature, sui danni che l’uomo sta facendo alla natura, quella stessa natura sembra aver preso la sua rivincita sull’uomo, costringendolo a fermarsi: «Per un rapporto improvviso e incongruo tra un uomo e un pipistrello, la natura sta cambiando la vita sul pianeta, capovolgendo i ruoli e diventando da contaminata a contaminante», ha esordito Stefano Boeri, presidente della Triennale. «C’è un ulteriore paradosso. Nella tragedia, questo virus ha obbligato mezzo mondo a uno stile di vita che sta momentaneamente riducendo le emissioni di inquinamento e gas serra a livelli che fino a ieri nessuno avrebbe mai immaginato».

Tutte le persone invitate da Boeri a intervenire hanno concordato sul fatto che la prossima Triennale dovrà continuare a ragionare sul ripensamento del rapporto tra uomo e natura, in un’ottica di ecologia integrale. «Non è più possibile pensare alla natura come a una sfera altra rispetto all’umano: è quello che scrive anche papa Francesco nella sua enciclica, è quello che i fatti oggi ci mostrano», ha concluso Boeri. La virologa Ilaria Capua ha confermato che l’uomo vive immerso in un ambiente da cui non può prescindere, ogni danno inflitto ad esso è un danno a se stesso: «L’attuale emergenza, causata dall’endemizzazione nella popolazione umana di un virus che fino a tre mesi fa si trovava in una qualche foresta asiatica, dimostra che in un ambiente chiuso come il nostro il battito d’ali di una farfalla può veramente scatenare un monsone all’altro capo del mondo. L’uomo, per esempio nelle sue megalopoli, ha costruito situazioni esplosive in cui è fondamentale ristabilire un equilibrio che ora manca». Come la salute mentale è entrata a far parte del concetto di salute individuale più tardi rispetto a quella fisica, Capua ha spiegato che è arrivato il momento di affrontare la salute in modo circolare e globale, perché la salute umana è interamente dipendente dalla quella degli animali, delle piante, dell’ambiente.

Il tema più spinoso è la possibilità o meno di superare l’antropocentrismo. Il filosofo Emanuele Coccia da tempo ragiona sulla vita nella sua globalità, rispetto alla quale la specie umana sarebbe solo un piccolo tassello: «Il bruco che si trasforma in farfalla mostra il mistero di un io capace di abitare corpi, anatomie, ethos, sistemi di abitudini, contesti completamente diversi. La vita non è mai riconducibile a un’unica entità anatomica, etica, morale, ma le attraversa tutte. Quelle che consideriamo vite totalmente diverse in realtà sono la stessa vita. Ognuno di noi è la metamorfosi delle vite che l’hanno preceduto e generato; ogni specie, secondo la teoria dell’evoluzione darwiniana, è la metamorfosi di una specie precedente. Si potrebbe quindi pensare che tutte le forme di vita siano la farfalla di questo immenso bruco che è Gaia». Il filosofo ha proposto di istituire un Museo della natura contemporanea: «Partendo dalla consapevolezza che la vita che ci attraversa è la stessa che attraversa gli altri esseri, dovremmo cominciare a riconoscere loro le stesse proprietà e qualità che fino ad ora ci siamo attribuiti in maniera esclusiva: per esempio capacità di innovazione, tecnologia, creatività, arte. Allo stesso modo con cui visitiamo una mostra di arte contemporanea o assistiamo a una sfilata di moda per capire ‘dove stiamo andando’, dovremmo istituire un Museo della natura contemporanea, riconoscendole le capacità di innovarsi, mutare e anche suggerirci il nostro futuro».

Dal lato opposto tuttavia, il filosofo Leonardo Caffo ha avvertito che uscire totalmente dall’antropocentrismo è impossibile: «Sarebbe come uscire dalla nostra atmosfera cognitiva, o addirittura come uscire dall’atmosfera: non potremmo respirare là fuori. L’antropocentrismo ci ha dato la tecnica, la ragione, i concetto, il dominio. Il punto è che esso può essere forzato in negativo e in positivo: si tratta di usare correttamente questi strumenti». Con i nostri sensi e con l’aiuto della tecnologia, tuttavia, oggi possiamo spingerci anche ad esplorare luoghi un tempo inaccessibili. Vista dallo spazio, ha sottolineato Ersilia Scarpetta, Chief Diversity Officer dell’European Space Agency, la Terra ci fa sentire piccoli in un universo indifferente, ma dall’altro lato ci fa scattare anche un forte senso di appartenenza. La conoscenza, adottando una prospettiva ‘extra-terrestre’, riesce a farci immaginare una realtà svincolata dai limiti dei nostri sensi: «Quando guardiamo il cielo stellato in realtà stiamo guardando indietro nel tempo, ogni stella è un attimo di passato. Nello Spazio non si sente gravità. Fuori dall’atmosfera siamo tutti disabili. Il suono e la musica sono un privilegio della Terra: l’atmosfera non solo ci separa da un vuoto soffocante, da una notte eterna, ma allo stesso tempo ci permette di gioire della musica, impossibile altrove».

Più vicini ma paradossalmente a volte più sconosciuti dello Spazio sono gli oceani, come ha spiegato Nadia Pinardi, docente di Oceanografia all’Università di Bologna. L’uomo ha camminato sulla Luna ma non ha mai raggiunto molti angoli di oceano, eppure negli ultimi anni questa disciplina ha fatto passi enormi grazie alle nuove tecnologie: «Siamo ormai vicini ad avere nell’oceanografia qualcosa di simile a quello che dopo la Seconda guerra mondiale è successo nella meteorologia», ha spiegato Pinardi, «cioè sistemi di previsione attendibili basati sull’enorme quantità di dati che stiamo acquisendo sul fluido oceanico. Un vero e proprio ‘oceano digitale’ che sarà utile a risolvere problemi e prevenire pericoli sulle coste, dove la popolazione si addensa». Persino dai meccanismi della natura all’apparenza più banali, come il comportamento delle formiche, si possono ricavare informazioni preziose che travalicano la biologia per arrivare all’informatica, alla cibernetica, allo studio dei fenomeni di cooperazione, come ha spiegato l’etologo Donato Antonio Grasso.

Dallo Spazio cosmico a quello degli oceani, dalla filosofia alla robotica, la Triennale non solo si prepara ad abbattere gli steccati tra le discipline, ma anche a forzare i confini dell’umano. Osservare l’uomo da un punto di vista estraneo per restituirgli l’unico strumento utile a salvarlo, cioè la meraviglia della scoperta.

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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